“Donne, comprate, pochi soldi bastano per portarvi a casa un bel vestito! Donne, comprate! Fermatevi!”.
L’ambulante più chiassoso del mercato cittadino grida i suoi inviti agli acquisti per tutta la giornata. Arriva presto al mattino, prepara il banco e dentro a grandi contenitori vende roba usata.
“Roba bella, roba fine, viene dall’estero!”.
Ogni tanto smucchia la roba, le ridà aria, tira fuori quello che sta sempre sotto, appende qualche capo a una gruccia. Ferma una ragazza sorridendole:
“Vieni, vieni a provare questo abito di seta! Ti starà a meraviglia. Oggi regalo!”.
Sempre gridando, affinché lo sentano tutte le donne che passano di lì. Donne che vanno al mercato per curiosità, per poter desiderare qualcosa, per cercare, toccare, rovistare, provare, potendo lasciare sul bancone senza problemi o portare a casa qualcosa con poca spesa.
“Donne, woman, madam, vulevù cumprè? Comprate!”.
Ultimo slogan a metà mattina, prima di andare al bar per un panino e una birra. Ma anche da lì sorveglia il suo banco e appena una si avvicina si spolmona:
“Arrivo subito, guardi pure, oggi regalo!”. Ha sempre un capannello di donne che rovistano. Anch’io sono una di quelle.
Oggi ha aggiornato il suo vocabolario: russo, slavo, albanese, polacco. Grida forte “donne!” in tutte le lingue.
“Si è preparato? Ha studiato?” gli chiedo a mo’ di battuta.
Ride compiaciuto:
“Oh sì! Mi sono informato. Sa, mi piacciono queste donne! Sono… belle, stuzzicanti! Hanno portato una ventata di carne fresca e disponibile al mercato! Una meraviglia per noi single attempati!”.
Lo guardo scuotendo il capo, ma sento che è amorevolmente sincero.
Con la sua voce allegra attira le clienti alla bancarella.
“Donne robuste, grandi, alte,” continua divertito, un po’ parla rivolto a me e un po’ a loro, “donne con acconciature vaporose che mi ricordano tanto la mia amata nonna, che vestono attillato fregandosene della loro silhouette, mettono in mostra pance, seno, cosce prorompenti. Mi piacciono tutte, mi fanno voglia! Si provano le gonne sopra a quella che già indossano, io le aiuto a infilarsi le camicette, porgo lo specchio. Dico loro che sono molto belle. Oh, mi piace il mercato adesso, si vedono tutte le sfumature di colore, si ascoltano tante lingue. E a lei?”.
“Mi piace sì, anche a me, specie quando c’è il sole”.
“Eh, a voi di qua vi piace il sole, loro invece sono color mozzarella, voi volete il caldo, queste vengono dal freddo, non sono mica patite per il magro come voi! Sono belle sode. E senta, senta cosa dicono!”.
Due donne bionde e curate parlavano fra loro scambiandosi sorrisi.
“Dicono che io sono il più bell’ambulante del mercato, vero?”.
“A me pare che ci vedano bene e parlino di tutt’altro!” rispondo io, stando al gioco.
Ma lui continua con il suo monologo.
“E, poi, le slave” e si avvicina a una di loro abbassando il tono della voce “scopano senza problemi, un letto caldo e ti fanno contento. Qualcosa di buono il comunismo l’ha lasciato, giusto?”.
Io guardo da un’altra parte per non vedere la faccia della signora che, invece, gli risponde con calma:
“Io capisco quello che dice”.
“Non l’ho mica offesa, vero? Volevo farle un complimento! Le regalo quest’abito! Tenga, le starà bene!” ripara in corner l’ambulante.
“Complimento sì o complimento no, io volevo restare in Ucraina ma sono qui: lavorare tanto e un poco scopare. Mio marito in Ucraina lavorare un poco e tanto scopare. Almeno questo non ce lo toglie nessuno!”.
L’ambulante le fa una carezza. L’ho visto con i miei occhi. I suoi erano commossi.
La signora rovista ancora nel mucchio e mi sorride.
(L’ambulante)
Roberta Giacometti
Quarantenne insegnante imolese, l’autrice è solita “leggere” e far conoscere nelle osterie e nei circoli culturali romagnoli la sua lunga serie di racconti (Lavori in corso), incentrati su donne e figurine umane maschili colti nel loro mestiere. Ultimamente ha pubblicato, per Bacchilega editore, Pennellate di vita (1941-1995).
IL COMMENTO CRITICO
L’approccio col mondo multietnico di una cittadina emiliana borghese e industrializzata avviene attraverso ambiti settoriali: i cantieri edili, dove operai e manovali parlano quasi tutti altre lingue e dai loro corpi colorati emanano odori diversi; gli ospedali, dove gran parte del personale di supporto ai malati proviene da altri paesi, e infine i mercati rionali, dove gli utenti si mescolano più variamente tra chi è lì perché solo al mercato può riuscire a comprare quanto gli serve e chi è lì per curiosare e aggiungere, con qualche euro, qualcosa che certo non gli è indispensabile, ma può dare quel senso di leggerezza che, come tutti sappiamo, proviene dal fatto stesso di spender soldi.
In questo bozzetto narrativo troviamo un venditore ambulante che, a modo suo, ha capito quanto di buono l’integrazione reca con sé: più donne disposte a provare, comprare, chiacchierare e – perché no? – scopare, senza che ciò comporti scelte di vita importanti.
In particolare qui si tratteggia il ritratto delle donne dell’Est Europa che approdano in Italia per lo più per accudire i nostri anziani o per riassettare le nostre case.
Il fascino delle donne dell’Est – Di loro sappiamo tutti bene cosa si sottolinea: sono brave lavoratrici, tenaci e pazienti con chi non ha più tanto da dire al mondo che lo circonda, veloci ad imparare la nostra lingua; qui si aggiunge con schiettezza anche un altro aspetto, di solito legato agli ambiente equivoci delle strade o dei night: le donne dell’Est sono belle, sode, formose, disponibili nel mostrarsi e nel fornire un caldo abbraccio anche a chi non lo ottiene più così facilmente da altri tipi di donne. Luoghi comuni, stereotipi, che il mondo dell’immigrazione porta con sé – sui quali molti si fanno una risata -, ma pure tratti descrittivi che la gente comune riconosce in parte come veri e rassicuranti. L’aspetto particolare di questo breve ritratto è che l’identificazione di questo genere di figure femminili avviene attraverso l’occhio sorridente e non certo sprezzante di un uomo che, con le donne, tratta da sempre, in virtù del suo mestiere di ambulante, e quindi dimostra di conoscerle bene, anche attraverso uno sguardo rubato mentre le aiuta a indossare un nuovo abitino.
Lo sguardo dell’autrice – Un secondo aspetto che si può sottolineare riguarda l’immediatezza e la freschezza con cui l’autrice consegna ai lettori i suoi brevi ritratti di mestieri e figure di vario tipo che appartengono alla raccolta Lavori in corso a cui da anni si dedica. Per capire il tratto più significativo della scrittura di Roberta Giacometti non occorre essere critici di mestiere, anzi, forse, questi le “starebbero stretti”: flash rapidi, tocchi sinceri, che arrivano spesso al cuore, sono trasmessi attraverso una scrittura narrativa semplice e lineare. Sintassi leggera, discorsi diretti, concisi, punti di vista alternati in un rapido succedersi di frasi riprese dalla realtà quotidiana e per questo immediate, vere. L’autrice è una grande divoratrice di libri, curiosa, schietta, veloce nella risata come nella battuta pungente: conoscendola, non stupisce questo suo modo di scrivere perché è come lei, diretto, intelligente, non presuntuoso, a volte profondo, altre volte sarcastico. Vi piazza in faccia i suoi occhi azzurri, di un azzurro bruciante e, se provate a chiederle se nella sua scrittura preferisce il discorso diretto, l’indiretto libero o il monologo, la polifonia o altro ancora, state attenti che non vi mandi a quel paese direttamente perché, certo, lei potrebbe farlo!
L’immagine: particolare di Infanzia rosa del nostro fotografo Martino Gliozzi.
Angela Verzelli
(LucidaMente, anno II, n. 21 , settembre 2007)