La televisione di oggi è quella della mercificazione dei sentimenti, dello svilimento degli affetti. Amore, amicizia, tenerezza, sono prodotti in saldo al supermercato dei valori. Basta accendere lo schermo fin dal primo pomeriggio per rendersi conto che nemmeno la cosiddetta “fascia protetta” sembra essere più rispettata. E non stiamo parlando solo di immagini, ma anche e soprattutto di contenuti.
Pensiamo a programmi famosi e purtroppo apprezzati come Uomini e donne, in cui giovani e “non-più-giovani” si mettono in fila a corteggiare il “tronista” di turno, tra innamoramenti giurati ed effusioni discutibilmente sincere, sbandierate davanti alle telecamere, davanti a tutto il paese, dentro le nostre case, tutti i pomeriggi per quasi due ore. Corteggiare pubblicamente qualcuno seduto su un trono, tra liti furibonde e insulti gratuiti. Che esempio trarranno da queste scene al limite del patetico i giovani uomini e le giovani donne? È lecito pensare che tutta questa “mala educazione” si rifletta sul futuro di quelli che oggi sono bambini e passano ore davanti alla televisione, trattenendo come spugne ciò che vedono, scimmiottando comportamenti di adulti che vengono presi come tristi modelli di riferimento. Uno dei giochi più gettonati nei cortili delle scuole potrebbe diventare proprio “il gioco del tronista”: bambini e bambine che litigano e si insultano come fanno in televisione, bambini e bambine che giocano a innamorarsi, a corteggiarsi, che imparano a vivere l’amore come passatempo, come mascherata.
Pensiamo poi ad Amici, altra trasmissione seguitissima dai più giovani, una trasmissione che qualcosa di educativo potrebbe pure avere: favorire l’arte, la musica, la danza, la recitazione. Tutto questo passa però in secondo piano, soppiantato ancora una volta dalle liti, dagli insulti. E compare un aspetto anche più diseducativo: quelli che vengono chiamati “professori” sono trattati come individui senza spessore, la loro autorità è costantemente sminuita. Il bambino e l’adolescente che guardino una trasmissione del genere imparano a mancare di rispetto alle figure che dovrebbero aiutarli a crescere. Se in televisione è lecito mancare di rispetto a un professore, perché non dovrebbe essere permesso fare la stessa cosa con quegli insegnanti che si vedono tutti i giorni a scuola? Il messaggio che passa è questo. Per non parlare poi del valore dell’amicizia. Chiamare Amici una trasmissione dove si fa a gara per infangarsi a vicenda, dove non si fa altro che parlare male degli altri, dove si costruiscono gruppetti separati di compagni, è assolutamente un paradosso assurdo. E non è tutto: i concorrenti vengono addirittura divisi in squadre e la loro bravura, le loro capacità artistiche, la loro sensibilità, tutto passa in secondo piano per alimentare polemiche e battibecchi che fanno audience. Non è sana competizione, non è pura meritocrazia: ha più successo chi conquista il favore del pubblico, chi mostra carattere. E il carattere emerge dall’alzare la voce in tafferugli verbali infiniti.
O potremmo parlare degli innumerevoli reality che in questi anni hanno invaso il palinsesto mediatico. Guardiamo il più famoso, il primo: il Grande Fratello. La vita quotidiana di un gruppetto di individui sbattuta sotto gli occhi di tutti. Una decina di persone rinchiuse dentro una casa lussuosa a fare assolutamente nulla. Nulla di costruttivo, almeno. Tutto ciò che si vede sono, di nuovo, liti furibonde, maleducazione, ignoranza e dichiarazioni d’amore sbandierate davanti a tutta l’Italia dopo pochi giorni di convivenza. I sentimenti sono messi in vetrina, diventano svaghi in un gioco in cui i concorrenti hanno spesso storie drammatiche alle spalle, storie che vengono tirate fuori da una puntata all’altra in un susseguirsi di tragedie affrontate in diretta, tra lacrime e presunte sofferenze. E, ancor peggio, da molti protagonisti la partecipazione al reality viene definita come un’esperienza di vita, un’esperienza in grado di formare interiormente, di edificare, addirittura di migliorare un individuo!
E la vita vera chi ce la fa vedere? Forse i tiggì? Ma tanti telegiornali e tanti talk show dichiaratamente “seri” non restano indifferenti al fascino perverso della vita-reality: i sentimenti come merci di scambio, i pettegolezzi, l’ingresso prepotente nelle vite degli altri, esistono anche qui. E la cosa più agghiacciante è quando il dolore vero sembra essere soltanto un mezzo per fare aumentare gli ascolti. Casi di cronaca nera, tragedie, sofferenze: tutto viene spremuto. E così per mesi sentiamo parlare di Avetrana, di Cogne, di Erba, di Garlasco, di Novi Ligure, solo per citare alcuni casi. Sentiamo supposizioni e giudizi saltando da un canale all’altro, continuamente. Accuse su accuse, telecamere che stringono sugli occhi lucidi di pianto dei familiari, degli amici di vittime reali. Il dolore passa in secondo piano, non viene rispettato, viene preso a calci. Vicende raccontate fino alla nausea, tanto che allo spettatore sembra quasi di conoscerne i protagonisti, trasformati in fenomeni da baraccone, gettati sulla bocca e sotto gli occhi di tutti. C’è allora da stupirsi di fronte al “turismo dell’orrore” e di fronte alle folle di curiosi che affollano le scene delle tragedie? Indignarsi è lecito, stupirsi no.
E pensare che la televisione potrebbe essere uno stupendo strumento non solo d’informazione, ma anche e soprattutto di educazione, se intelligentemente strutturata. Ma oggi pare proprio che più sia sciocca e superficiale, più sia interessante, come disse Jean-Luc Godard, famoso regista francese. Parafrasando le sue parole: la televisione come rubinetto da cui, mischiato all’acqua, si diffonde veleno.
Michela Allegri
(LucidaMente, anno VI, n. 62, febbraio 2011)