Tentiamo di fare luce e mettere ordine tra le diverse posizioni che da alcuni anni si focalizzano su questa nuova frontiera della riproduzione umana
“Maternità surrogata”, “utero in affitto”, “gestazione per altri” sono tre definizioni diverse che vengono utilizzate per indicare una medesima pratica su cui si sono recentemente concentrati molti dibattiti assai accesi. Ciascuna di queste definizioni implica una visione etica differente su questa moderna tecnica di riproduzione umana.
“Utero in affitto” è quella che potremmo definire più invisa a coloro che ne sostengono la sua bontà e validità, ma forse anche la più immediata per rendere l’idea degli interessi economici enormi che vi girano attorno. “Gestazione per altri” è, al contrario, quella più politicamente corretta, mentre “maternità surrogata” è la definizione standard utilizzata dalle cliniche che direttamente offrono questo servizio. Ma di che cosa si tratta esattamente? Stiamo parlando della pratica per cui delle donne si offrono (generalmente dietro compenso) per portare avanti delle gravidanze per altre/i, ossia gravidanze il cui bambino non sarà allevato da colei che lo ha partorito (che rimarrà per lui solo la “gestante” e non la madre), ma verrà consegnato al parto a dei “genitori intenzionali” terzi, o committenti. Ovviamente le implicazioni etiche di una simile pratica sono assai delicate. E così, da diversi anni, si sono svolti dibattiti anche molto infuocati intorno a esse.
Ma cosa ha portato al boom di questo tipo di mercato dei bambini nati nelle cliniche dietro commissione? Soprattutto difficoltà legate ad avere figli, unitamente ai progressi della scienza che hanno reso possibile, dalla fine degli anni Settanta, il concepimento in laboratorio. Ma fondamentale è capire che lo sdoganamento di questa pratica, a livello sociale, è dovuto passare per il concetto che a un desiderio corrisponda per forza di cose un diritto (e al diritto il fatto che ci siano delle persone disponibili a soddisfarlo).
Ecco così che il nodo centrale della discussione è diventato la liceità e l’esistenza (o meno) del “diritto al figlio”, laddove esso non possa arrivare per vie naturali (anche per motivi non necessariamente legati a problemi di salute o sterilità, come nel caso di coppie omosessuali). Ma cosa dice la legge al riguardo? Per quanto concerne l’Italia, occorre innanzitutto ricordare come la legge 140 del 2004 sulla procreazione assistita vieti espressamente non solo la surrogazione, ma anche la sua pubblicizzazione in qualsiasi forma, con pene assai severe che vanno da multe al carcere per chi non rispetta tale divieto (pene in realtà quasi mai comminate, soprattutto per quanto riguarda la pubblicizzazione). Nonostante ciò, numerosi sono i casi di coloro che si sono recati all’estero per farvi ricorso; particolarmente famosi quelli dell’ex senatore Sergio Lo Giudice (Pd) – relatore, tra l’altro, della recente legge sulle unioni civili – o dell’ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola (Sel).
A livello europeo, l’utero in affitto è dichiarato illegale in quasi tutti i paesi membri dell’Unione. Eccezioni importanti sono rappresentate da Grecia e Portogallo, dove la surrogazione di maternità è recentemente diventata legale. In altri paesi, come l’Olanda o il Regno Unito, essa in linea teorica è consentita solo nella forma “altruistica” della “gestazione per altri”, che contempla solo un rimborso spese per la gestante (in realtà però, aggirandosi dai 30 ai 50mila euro, assai vicino a un vero e proprio compenso). Cliniche della fertilità assai numerose e molto frequentate da coppie italiane si trovano invece in paesi dell’Est come Ucraina o Russia, dove la legislazione è molto più permissiva e i costi anche molto più accessibili.
Ma cosa dicono le femministe di questa nuova forma di riproduzione? Le opinioni non sono uniformi nemmeno all’interno dei movimenti femministi, anzi la spaccatura è forte e talvolta ha raggiunto culmini di vera e propria violenza. Inoltre essa ha coinvolto in modo parallelo e molto netto i movimenti Lgbt. In modo particolare in Italia, lo scorso dicembre, tale spaccatura si è resa visibile con la vittoria, alle elezioni del direttivo di Arcilesbica nazionale, delle tesi delle “estreme”, ossia coloro che pongono un fermo rifiuto a qualunque idea di sfruttamento e mercificazione del corpo femminile (contrariamente alle posizioni delle associazioni gay, nettamente favorevoli alla pratica). La presidentessa di tale associazione, Cristina Gramolini, è infatti una delle portavoci in Italia del concetto della femminista inglese Julie Blindel, secondo cui «l’interno del corpo di una donna non è un posto di lavoro».
Sulle medesime posizioni si sono schierate molte giornaliste e femministe di rilievo, come Luisa Muraro, Monica Ricci Sargentini, Marina Terragni, le femministe di Rua (Resistenza all’utero in affitto) e tante altre. Anche i movimenti pro-life e di ispirazione cattolica hanno lodato il lavoro di contrasto a questa pratica da parte delle “estreme”, attirando così su di loro le accuse di essere alleate e rappresentanti di un oscurantismo religioso di ritorno.
Quello che, a livello politico, più colpisce nel dibattito è il fatto che in Italia, diversamente che negli altri paesi europei, sono i partiti e i movimenti di sinistra a sostenere maggiormente l’idea (molto liberista, per la verità) che nulla possa limitare il desiderio e l’iniziativa umana, e che, quindi, niente possa essere vietato ma solo regolamentato. Partiti e movimenti di destra invece sono più concentrati a preservare il divieto della legge già vigente. Proprio recentemente anche il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha rilasciato una dichiarazione in merito, sostenendo a Pontida: «Mi fa schifo solo il pensiero dell’utero in affitto e di bambini in vendita nel centro commerciale». E facendo così guadagnare alle femministe estreme, per via di questa opposizione comune, oltre all’accusa di essere oscurantiste, anche quella di essere “fasciste”…
Le immagini: dall’alto in basso, manifestazione contro la maternità surrogata, Julia Blindel, Sergio Lo Giudice e vecchio manifesto femminista.
Chiara Cazzoli
(LucidaMente, anno XIII, n. 153, settembre 2018)
Ottimo articolo che bene pone in risalto il rovesciamento delle posizioni. Devo confessare che, da “libertaria” quale ero, sempre più mi ritrovo ad essere “conservatrice”. Certo lo sono sull’argomento oggetto dell’articolo. Trovo che l’utero in affitto rappresenti l’apoteosi del mercato e del patriarcato!
Gentilissima Maria Laura, stessa mia ambascia.
Del resto, non significa essere coerenti uscire sempre senza ombrello, anche se piove a dirotto, perché c’è stato per un mese il sole, né assumere sempre l’aspirina, che ci ha guarito tante volte, quando invece abbiamo bisogno di enterogermina per il mal di pancia!
Oggi il mondo è cambiato. Le istanze di emancipazione reale non appartengono più alle forze che fino a dieci-venti anni fa se ne erano fatte promotrici. Tali forze hanno abbracciato la speculazione finanziaria, le lobby, il postumanesimo, la virtualità delle telecomunicazioni, una sessualità senza dignità, una scienza antiumana, lo sfacelo della scuola pubblica (annichilita e vandalizzata anche come ascensore sociale) una cultura effimera e senza radici, lo sfruttamento degli esseri umani a livello globale, ecc. ecc…
Guardiamo, quindi, ad altri schieramenti politici e culturali.