Qualche riflessione su femminicidi e cultura sottostante: occorre educare dai primi anni di vita
Sono tanti i passi fatti negli ultimi anni per contrastare il fenomeno del femminicidio e, in generale, quello della violenza contro le donne, sessuale, psicologica o fisica che sia. Sono tanti, ma mai abbastanza. L’attuazione del piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere è però lenta, se non ferma, e, intanto, i centri antiviolenza sparsi nel paese chiudono per mancanza di fondi o arrancano attendendo ancora i finanziamenti statali del 2013-2014.
Solo recentemente Maria Elena Boschi, che nello scorso maggio ha avuto la delega alle Pari opportunità, ha fornito qualche segnale annunciando su Facebook che «il governo ha istituito la commissione che dovrà valutare i progetti di attuazione del piano antiviolenza»; ma per ora si tratta solo di “post”. La ministra ha anche riferito che nei primi cinque mesi del 2016 si è registrato un calo del fenomeno femminicidio del 20% rispetto ai primi cinque mesi del 2015. I numeri, tuttavia, rimangono comunque alti: 60 donne uccise dall’inizio dell’anno.Il giorno del funerale di Sara, una delle ultime vittime del proprio ex compagno, la ministra ha detto: «Il femminicidio non è una questione femminile, serve l’impegno di tutti gli uomini». Il che è proprio vero: la questione è tutt’altro che femminile.
La soluzione al fenomeno non va cercata, però, a detta di molti, nelle punizioni, per loro natura successive al fatto, nei centri antiviolenza o nelle cosiddette case rifugio, comunque fondamentali nel proteggere la donna. È necessario agire alle origini culturali del problema, nelle scuole, predicando l’uguaglianza di genere e la morte della famiglia patriarcale. Ma è altresì fondamentale sia il dialogo nello stesso ambiente familiare sia l’educazione del minore, oggi sempre più viziato e sempre meno in grado di metabolizzare le “sconfitte” della vita, dalla perdita del lavoro alla fine di una relazione d’amore.
Per lui la donna è simile al ciuccio che non si sopporta sia tolto di bocca o a un giocattolo infantile, per cui “guai a chi lo ruba”. La strada per combattere il fenomeno è ancora lunga perché la tradizione, il pensiero che “i panni sporchi vadano lavati in casa”, la concezione della donna come soggetto non avente lo stesso diritto di autodeterminazione dell’uomo, l’idea che la donna non possa decidere le sorti di un rapporto, serpeggiano ancora ovunque. È la nostra cultura, è il nostro passato, forse ancora troppo vicino. È solo nel 1970, con la legge sul divorzio, che viene intaccata la struttura piramidale della famiglianonché l’indissolubilità del matrimonio e si fa strada per la prima volta il principio di uguaglianza giuridica e morale dei coniugi. È soltanto nel 1981 che sono state abrogate le disposizioni sul delitto d’onore. Sono tempi troppo recenti.
Nonostante la sua sconfitta formale, ancora oggi sopravvive nella società l’idea di una supremazia maschile. Ancora nel 2009, la Cassazione ha dovuto giudicare un caso di maltrattamenti in famiglia in cui il marito giustificava le violenze nei confronti della moglie sulla base di un superiore fine, ovvero quello di educarla a diventare una brava donna di casa, esperta nella gestione domestica.
Lo scopo dell’uomo sarebbe stato quello di insegnare alla propria compagna delle regole di organizzazione e vita inerenti alla famiglia. In sostanza, egli avrebbe perseguito quel “fine educativo” che aveva tradizionalmente legittimato l’esercizio della potestà maritale. È da questa tradizione e dalla debolezza umana, che trova sollievo solo nell’esercizio di un potere, che scaturisconouomini vili, non in grado di sopportare il peso della sofferenza. E, qualche giorno fa, anche Adriano Celentano, in un sermone forse disorganico, ma diretto, ha dichiarato a il Fatto Quotidiano: «Ma che uomini di merda siete se di fronte a un abbandono non avete neanche il pudore di soffrire un po’?». Del resto, affermava Isaac Asimov, «la violenza è l’ultimo rifugio degli incapaci».
Elena Corsini
(LucidaMente, anno XI, n. 127, luglio 2016)