Chi di noi non ha mai pensato di lasciare tutto e andarsene via? Senza avere una meta precisa o un progetto definito ma mosso dalla sensazione di non essere utile a nessuno, nel qui e ora. Si è sponsorizzata talmente tanto questa “globalizzazione di servizi e persone” che si ha davvero l’impressione che “tutto il mondo è paese” e che l’ambiente in cui viviamo sia, per così dire, intercambiabile.
Ci si sposta, si lasciano ambiti lavorativi e ci si crea nuove vite in un batter d’occhio. Le difficoltà da affrontare nel trasferirsi da un posto all’altro sono diventate così esigue che difficilmente ci si sente stranieri in un altro stato. Forse, sono più frequenti quelle in cui ci si sente esclusi nel proprio.
Il nostro collaboratore Luca Manni, poco più che ventenne, ha lasciato la rossa Bologna per la ridente Spagna, stabilendosi dapprima a Valencia, in cerca di una vita diversa, e poi nel sud, per dare un senso a questa esperienza. Ecco la prima parte del suo personalissimo “reportage” letterario, sotto forma de Il diario della granja, con uno stile “scorretto” (ad esempio, l’uso costante delle minuscole al posto delle maiuscole) e dal sapore vagamente “beat” o bukowskiano.
mercoledì 20 gennaio – 17.46. ho deciso di partire per questo posto che non conosco, vado a fare il volontario, a offrire le mie (esili) braccia e la mia (scarsa) energia in cambio di vitto, alloggio e presumibilmente molto di più, intendo a livello umano. la mia destinazione è una comunità di persone che gestiscono una fattoria ecologica chiamata cortijo al-hamam nel sud della spagna in provincia di almeria, precisamente a lucainena de las torres. svolgono attività coi bambini e ospitano gruppi di persone per corsi di roba spirituale, che ne so. ho bisogno di darmi qualcosa da fare, qualcosa che qualcuno si aspetti che io faccia, con un orario da rispettare, un “dovere” insomma. e sicuramente così riuscirò a dedicarmi di più alle cose che mi piacciono e che voglio fare, e che ora la pigrizia e l’indolenza sotterrano e reprimono. parto.
sabato 23 gennaio 2010 – 21.08. poco fa stava piovendo. molto piano e per pochi minuti, ma qua ogni goccia che cade dal cielo è oro puro. infatti, generalmente, il clima è più come quello di ieri: 25 c° all’ombra. sotto il sole dell’una, spalando merda in maniche corte, ovviamente sudavo ma non eccessivamente). in realtà anche oggi sono stato a tratti in maniche corte, mentre piantavo le patate assecondando le poco e male espresse idee balzane di juan padre (cioè il padre di juan che si chiama anche lui juan).
mi hanno detto che ogni tanto compare qui alla fattoria (anche perché credo ne sia il proprietario) e inizia a dettar legge in maniera un po’ sconclusionata e noi poveri manovali dobbiamo stare ai suoi capricci e fare lavori che poi risultano inutili e vengono disfatti o “prenderci dei nomi” perché stiamo facendo male una cosa, poi arriva lui e ci fa vedere come si fa: esattamente come la stavamo facendo noi.
bernhard (il nostro boss diretto, austriaco, e non per niente.) dice che questo è il modo di lavorare andaluso: dieci persone sul posto di cui, a turno, otto stanno a guardare cosa fanno le altre due, mentre tutti insieme si commenta, si valuta e si decide man mano il da farsi. daniela è su di giri, non sopporta il modo di fare di Juan padre che effettivamente è piuttosto irritante e ridicolo, a me invece diverte abbastanza, anche perché alla fine si lavora cinque minuti e si sta fermi a guardare gli altri un quarto d’ora, grazie all’impeccabile organizzazione del vecchio.
domenica 24 gennaio 2010 – 11.18. la mia prima domenica. oggi naturalmente non si lavora. il tempo è piuttosto bello anche se il cielo non è perfettamente terso. a pranzo ho intenzione di cucinare dei legumi (fagiolo mungo) che non avevo mai sentito nominare prima di ieri pomeriggio quando, cercando disperatamente dei ceci in lungo e in largo, bernhard mi ha invitato a usare questa cosiddetta soia verde al loro posto. ho preso giù qualche informazione da internet al riguardo, spero mi servano. voglio farli con patate e pomodori perché dovrebbero compensarsi bene i rispettivi principi nutritivi.
ieri sera mini-festa in cucina. è arrivato il ragazzo di daniela da malaga insieme a qualche litrona di mahou classic. daniela aveva promesso di fare una cena spettacolare poi, tra una cosa e l’altra, si è ridotta a cucinare alle dieci per cui abbiamo mangiato tardi e un po’ a tratti. però gli involtini di cavolo al forno con riso e verdure non erano niente male, e oggi ne abbiamo ancora una teglia da sbafarci (insieme ai miei fagioli mungo).
in questo momento sono nella sala/internet-point, dove ci sono il diffusore del segnale di rete, alcuni computer e giochi per i bambini. dalle finestre entra prepotente la luce del giorno meraviglioso che è oggi, infatti sarei tentato di andarmi a fumare una paglia fuori, ma prima vorrei scrivere qualcosa di più su questo posto e su come mi sento.
mi sento abbastanza bene. come nella classica bolla di sapone, nella bambagia, l’atmosfera in cui mi sento immerso è ovattata, l’eco della vita “normale” arriva molto attutito. anche i miei pensieri sono attutiti, non riesco a sentirli bene, devo affinare al massimo il sesto senso per poterli decifrare. il posto fisico è incantevole, non potrei chiedere di meglio, finalmente la vera natura, la vera campagna, i veri animali (anche se per me di fatto sono schiavi).
il ritmo della giornata mi va benissimo: sveglia alle 8, colazione con gli altri, si sistema e si lava i piatti insieme, esercizi spirituali tipo biodanza, cantici e roba così (che ancora mi lasciano abbastanza perplesso), e alle 9.30 si inizia a lavorare secondo le direttive di bernhard. le cinque ore di lavoro passano abbastanza, anche se ovviamente già verso le 13 o le 13.30 comincio a fremere per staccare e buttarmi sul pranzo. ma sono convinto che se dovessi lavorare due ore, dopo un’ora e tre quarti sarei messo uguale, per la beffarda legge secondo cui più ti avvicini alla meta più ti sembra che si allontani.
a parte questo, come già sapevo, lavorare, e forse di più impegnando il fisico, stimola nel mio organismo (e suppongo anche negli altri) la produzione di sostanze che mi provocano euforia. questo stato dura qualche ora finché, con il calare delle tenebre, si trasforma in una sensazione più cupa, malinconica, riflessiva, incerta, il cui naturale sbocco, come bere un bicchiere d’acqua da assetati, è fumarmi una paglia da solo nella quiete della notte.
ieri, per esempio, dopo la cena e le birrette, si sono tutti pian piano dileguati e io mi sono sistemato in uno dei tavoli sotto la tettoia a stabaccare, eludendo la zona adibita a fumare per proteggermi dalle pur scarse gocce di pioggia. mi hanno seguito il gatto e il cane, non so se il motivo fosse perché facevo odore di cibo o perché volevano compagnia e coccole.
in questi giorni ho l’impressione che tutte le nostre azioni e pensieri siano viziate dalla consapevolezza che è un periodo di passaggio, la situazione è provvisoria, fra poco sarà tutto diverso. molto spesso quando chiedo qualcosa mi si risponde che adesso è così ma normalmente le cose stanno in un altro modo, per cui anche per me si è creato il mito di questa “straordinaria routine” che imparerò a conoscere fra una settimana circa.
sostanzialmente adesso non c’è nessuno, sono tutti in giro e i volontari devono ancora arrivare. in questo momento siamo in cinque: noi quattro volontari e il nostro diretto responsabile bernhard, che fa parte dei quattro che dirigono il cortijo. Gli altri tre sono juan figlio e due ragazze che si occupano dei bambini, le monitoras. a febbraio poi arriveranno gli altri woofer (che saremmo noi volontari), una decina probabilmente, più altri monitores eccetera. quindi a regime ci sarà molta più gente di adesso.
nel momento di confronto settimanale, giovedì scorso, bernhard ha confessato che gli mancano molto il ritmo solito e gli altri boss. io, in tutta sincerità, punto molto sui nuovi arrivi e le nuove conoscenze perché, in effetti, quello che ancora mi manca qui è un rapporto sereno e rilassato con gli altri. non è che mi senta escluso (anche se sono il più piccolo e l’ultimo arrivato) anzi, però faccio fatica a sentirmi completamente a mio agio, a essere me stesso, che è un po’ uno dei problemi fondamentali che mi porto dietro da tempo e che a valencia, per esempio, sentivo molto presente.
vorrei riuscire ad avere un rapporto disteso con tutti, senza paure di fraintendimenti, senza velleità di conquistare la simpatia di nessuno o timore di offendere o sembrare un coglione. liberarmi dagli imbarazzi e lasciarmi semplicemente andare.
solo con robert, più o meno, ho raggiunto l’equilibrio (mio personale): ha due anni più di me, è qua da due settimane ed è l’altro “piccolo” della granja, la fattoria. è tedesco del mar baltico, alto alto magro magro e biondo biondo. si autodefinisce “il tedesco pazzo” dopo che gli hanno regalato questo appellativo in un’altra fattoria in cui è stato come volontario. da due anni gira per la spagna fermandosi a lavorare come volontario in agriturismi e case di riposo (così ha detto, ma non credo siano “le nostre” case di riposo). è vegetariano e ha qualche strana idea in testa sulla spiritualità e cose del genere, infatti conosce correnti e stili di vita su cui mi sono informato ultimamente, come la gente che vive senza mangiare né bere o quelli che si nutrono di energia solare.
gli altri due volontari sono cesare e daniela, italiani. cesare è la seconda volta che viene qua, e ora è al cortijo da un mese. ha una cagnolina che ora è il suo problema più grosso perché gli ha detto bernhard che con lei non si può fermare qua, visto che non si accettano ulteriori animali. quindi o la sistema da qualche parte o se ne va. da quanto ho capito, però, cesare aspetta che torni juan, il vero capo, che dovrebbe essere più accondiscendente e tollerante di bernhard, e spera che lui gli dica che pepita può rimanere.
daniela è l’altra mia compagna di stanza, oltre a robert, e dorme nel letto sotto al mio. ieri notte, però, l’ha passata in un’altra stanza con il suo ragazzo che è venuto a trovarla e suppongo si fermi solo per il week-end. lei è una tipa forte, sicura e decisa, forse un po’ troppo, nel senso che a volte si incazza ancora prima che nasca il problema o reagisce immediatamente a situazioni o affermazioni che non le vanno a genio. comunque sembra che non porti rancore, che alla fine è la cosa più importante.
i primi due giorni poi ci sono stati itx e magnolia, una coppia “matura” di informatici che hanno sistemato un po’ di cose per il cortijo, tipo il sito e una rete sociale non so di che. anche loro decisamente fuori dal sistema, infatti andavano a barcellona per unirsi a un collettivo anti-capitalista. la sera prima della loro partenza siamo andati a fare tapa in un baretto di lucainena, che è in tutto e per tutto un pueblo blanco, decisamente molto carino. tutti a prendere lomo (bistecche) e prosciutto crudo, e io che credevo fossero tutti vegetariani qua. solo cesare è vegano come me (e bob, come ho detto, vegetariano). bernhard mi ha spiegato che al cortijo non si mangiano animali perché juan, il boss, è vegetariano, ma lui (bernhard) farebbe fuori volentieri qualche gallo perché ce ne sono troppi (dieci! altro che “due galli in un pollaio”.).
venerdì 29 gennaio – 19:38. avrei mille cose da scrivere e nessuna, o una sola grande, che è quanto sto bene e quanto mi sto rendendo conto di questo. mi si attorcigliano i pensieri se provo a focalizzare l’origine di questo benessere interiore (ma anche fisicamente non sto affatto male, anzi), e in fondo forse non ha neanche senso rifletterci troppo, ma si sa che siamo fatti così (siamo proprio fatti cosììì) e ci viene spontaneo ragionare fino a scervellarci, almeno su certe cose. naturalmente non ho raggiunto il nirvana, ma se c’è stato un momento negli ultimi tempi in cui ci sono andato vicino, è sicuramente questo.
ieri è tornato il sole dopo tre o quattro giorni grigi freddi e umidi. ha piovuto parecchio e le prime ore erano tutti contenti perché la terra finalmente poteva dissetarsi e dissetare le coltivazioni, ma poi abbiamo cominciato a romperci le palle anche perché l’acqua causava non solo disagi ma anche danni, non essendo il terreno e le costruzioni “abituati” a sto tempo di merda. entrava acqua praticamente in tutte le stanze del cortijo, molte zone erano allagate quindi impraticabili, il freddo e l’umidità nelle ossa durante le ore di lavoro, che ovviamente doveva svolgersi per la maggior parte al chiuso.
non lunedì però, almeno per me: sono stato mandato da bernhard ad aiutare juan padre vicino a lucainena, ai limiti della sua proprietà. in realtà poi sono rimasto quasi tutta la mattina con basilio, il vero aiutante (pagato) del vecchio. basilio è rumeno e assomiglia a jorge lorenzo, ma è molto più grosso e sorride di più (infatti in cinque ore l’ho visto accennare un sorriso un paio di volte). è stato il mio capo per quasi tutta la giornata lavorativa, un capo silenzioso e spiccio, che mi diceva cosa fare a monosillabi o con cenni vaghi che io non capivo e che doveva ripetere più volte.
la maggior parte delle volte cmq faceva da solo e quando mi rompevo particolarmente le palle di starlo a guardare o gironzolare, gli chiedevo se potevo fare qualcosa e mi dava un compito. dopo un po’, però, veniva da me e finiva in cinque minuti quello che io avrei impiegato mezz’ora a terminare. sostanzialmente dovevamo fissare una specie di cancello.
23:18. due grossi buchi per terra, piantare i pali e ricoprirli col cemento. fatto. arriva juan padre e dice che non va bene così perché il cancello rimane troppo alto e da sotto può passare chiunque. gli faccio notare che cmq il cancello è alto meno di due metri e chiunque avesse voglia di sdraiarsi per passare da sotto potrebbe altrettanto comodamente scavalcarlo anzi, io personalmente sceglierei quest’opzione. rifiuta con noncuranza la mia osservazione e ci dice di rifare tutto e piantare il cancello mezzo metro più in là, in modo che la pendenza del terreno lo faccia stare più giù. togli il cemento ancora fresco, estrai i pali, fai altri due buchi, ripianta i pali e fissali col cemento.
quando il vecchio torna si rende conto che il cancello non andava messo lì bensì dieci metri prima, per chiudere il passaggio all’origine. si dà dello stupido da solo due o tre volte e ci aiuta (cioè aiuta basilio perché io continuo a stare a guardare) a rifare tutto. martello pneumatico a manetta eccetera, non riesco a vedere il risultato dell’operazione perché si fanno le due e mezza e il mio orario per fortuna scade.
oltre a questo, durante la mattinata abbiamo dovuto anche staccare da terra degli altri pali che stavano lì abbastanza inutilmente. la tattica utilizzata consisteva nell’agganciarli con un cavo d’acciaio attaccato al land rover del ’32 e tirare con quest’ultimo. il mio compito era quello di tirare il palo da sopra nella direzione opposta al pick-up mentre questo tirava dalla base del palo. avevo la sensazione che quel ruolo fosse abbastanza pericoloso per me e infatti un paio di volte il mio braccio ha rischiato di staccarsi dal mio corpo come il palo dal suolo.
se di cinque ore ho “lavorato” sì e no una, durante le altre quattro ho combattuto stoicamente contro un vento pungente che passava attraverso il mio maglione di lana come un tir in una galleria. grande sofferenza. a nulla serviva pensare agli insegnamenti del maestro goenka, secondo cui tutte le sensazioni sono impermanenti per cui non vale mai la pena reagire ad esse, anzi bisogna totalmente ignorarle.
stasera era prevista la festa della luna piena ma ha fatto un vento della madonna per cui il grande falò intorno al quale avremmo dovuto sederci per suonare e cantare risultava sconsigliabile. il più deluso dalla mancata festa credo di essere stato io, per cui ho istigato la gente a condividere con me almeno un bicchiere del litro di san miguel che avevo comprato ieri di ritorno dalla gita sulla neve.
la gita sulla neve. ieri mattina è nata la proposta di pranzare a tahal, paesino dei dintorni, per poi andare a tirarci le palle di neve e a scendere coi sacchi tipo slittino. benché fossimo tre vegetariani e un vegano su otto persone, il bar-ristorante designato era uno di quei tipici posti spagnoli con i prosciutti appesi alle pareti. non per niente la cameriera (una notevole giovane rumena di un metro e ottanta), messa al corrente delle nostre preferenze alimentari, ci fa: «vegetariani? e cosa vi dò io da mangiare?!» appunto. alla fine gran patatine fritte, verdure lessate, pane con salsa di pomodoro e poco altro. io avevo una fame incontrollabile, forse perché la sera prima non avevo cenato e la mattina avevo fatto una colazione scarsa per cercare di seguire la mia nuova idea salutista di mangiare meno.
mandata a cagare la mia nuova idea salutista di mangiare meno, mi sono finito i dolci di tutti, in tutto tre, pieni di panna, cioccolato, crema e soprattutto uova. ho deciso di contravvenire alle mie ristrettezze vegane in quanto quei dolci andavano cmq buttati, per cui non avrei nuociuto a nessuno se li avessi “buttati” nel mio stomaco. poi la camminata sulla neve. molto bello, anche se alla fine la neve era forse troppo fresca e con il sacco sotto alla pancia non siamo riusciti a fare più di mezzo metro di discesa.
la mattina alle sei e mezza c’è lo yoga nella sala di meditazione, mi piacerebbe un sacco andarci e un paio di volte ho messo la sveglia per farlo, ma la prima volta non avevo le forze per alzarmi e la seconda ho pensato che se dormivo così poco poi non avrei avuto energia per lavorare tutta la mattina. per cui ciccia.
in compenso un paio di volte (tra cui oggi) sono stato alla meditazione della sera, che si svolge quasi tutti i giorni alle otto. nonostante ormai dovrei essere abbastanza avvezzo alla meditazione, mi sento ancora piuttosto ridicolo a fare cose specie di danze ripetitive per mezz’ora continuata o abbracciarsi in cerchio e soffiare tutti sulla candela nel centro e spingere simbolicamente il fumo verso l’alto. mi trovo già meglio con la meditazione classica, cioè rimanere in silenzio seduti per terra in posizione di medio loto con gli occhi chiusi e cercare di svuotare la mente (che porta alla facile battuta “tanto per te non dovrebbe essere difficile”). i dieci giorni di vipassana sono stati una buona palestra almeno per questo.
è già mezzanotte e sono tutti a letto. ora vado anch’io, ma prima volevo ricordare il tragico fallimento dei miei fagioli mungo cucinati l’altro giorno con patate e pomodori. sarebbe stato un normale stufato come tanti altri, senza infamia e senza lode, se non fosse stato per quell’etto e mezzo (faccio per dire) di curcuma che gli ho malauguratamente versato sopra. la mia fama di cuoco ha subito un altro duro colpo dopo la cosiddetta “cena vegana” da pepelù di un paio di settimane fa.
se è vero che la prima impressione è quella che conta, sono rovinato. l’umiliazione è stata poi ultimata da bernhard che è entrato nel piccolo comedor un paio di giorni dopo (durante i quali il mio stufato era rimasto in frigo senza che nessuno lo sfiorasse neanche col pensiero), e dice: «questo qua lo vuole ancora qualcuno o lo butto nel bidone dei maiali?» naturalmente ho risposto solo io affermando timidamente che forse la sera me ne sarei mangiato una scodella. poi per fortuna la ottima inma si è offerta di farne delle polpette per cercare di riciclarlo.
inma è la mia preferita. credo sia una di quelle persone che piace a chiunque. è impossibile che possa stare sul cazzo a qualcuno. è simpatica e gioviale, ha un modo di fare affabile e scherzoso, mai invadente o aggressivo. è la “parrucchiera” della granja e oggi mi ha tagliato i capelli. mi sento molto bene con lei e proprio per questo forse a volte esagero con le battute provocatorie e la confidenza.
è sempre stato così, mi ricordo che anche alle elementari, con le “ragazze” più grandi, e in particolare con quelle che mi piacevano, assumevo questo atteggiamento che probabilmente potrebbe risultare irritante, provocatorio, addirittura offensivo, arrogante. non che inma mi piaccia da un punto di vista sentimentale-sessuale (come amo dire), semplicemente mi piace come persona, mi piace il suo modo di fare, il suo carattere, il suo atteggiamento.
poi sono arrivati anche tutti gli altri, ormai giorni fa. juan, il (figlio del) boss; manu, il più vecchio, quarantenne, spirituale e chitarrista; felix, volontario, trentaduenne, altro abbastanza spirituale e chitarrista; valeria, una monitora di reggio emilia, con la vocina da bimba, molto dolce e carina di modi. mi sento bene, mi sento davvero bene.
lunedì 1 febbraio 2010 – 19:18. il taglio di capelli che mi ha fatto inma non sembra essere stato il massimo: io non mi sono visto e non mi voglio vedere, ma mi è stato detto da manu, poi confermato da altri, che di dietro la linea del coppino è un po’ alta, che mi ha lasciato i peletti (che poi erano quelli che volevo mi tagliasse) e ha tagliato i veri capelli. fatto sta che per vari motivi sono stato preso in mezzo per lunghi momenti molto divertenti. soprattutto cesare si è accanito sulla “tragedia”, ma la ragione è che in realtà voleva bonariamente rompere le palle a inma, quindi mi “utilizzava” come appoggio, come trampolino per tonteare con lei.
questo è stato il leit-motiv di sabato sera, quando io daniela ivàn e cesare siamo andati ad almeria per prendere il fumo e dopo ci siamo beccati con inma e le sue tre amiche al postigo, vicino alle cuatro calles. erano già abbastanza su di giri perché dicevano che erano in giro a bere dalle due. avevamo già fumato un porrito e iniziare a bere mi ha fatto diventare euforico, stavo molto a mio agio e si scherzava. la mitica gag del calostro, iniziata perché una delle amiche di inma, che io mi sono chiesto se fosse mentalmente del tutto sviluppata, non finiva più di spiegarmi, ripetendo la stessa cosa per decine di volte, cos’era questo calostro (il primo latte della madre), e perché era importante per il cucciolo e le proprietà che possiede.
il discorso era nato perché io cercavo di spiegarle come mai potevo berlo, nonostante il mio veganismo. e lei argomentava che era il latte più importante per il cucciolo perché costituiva la base alimentare con cui formarsi. da lì la cosa è degenerata: io non sono riuscito a esprimere il mio concetto perché lei non mi lasciava parlare e ripeteva la stessa cosa. allora ho cominciato a prenderla un po’ per il culo ma lei sembrava non rendersene conto. cesare mi appoggiava la gag, poi è entrata daniela e mi sa che lei invece era seria e io le ho detto che stavo scherzando da un quarto d’ora e lì mi è sembrata che si imbarazzasse parecchio. sicuramente il fumo ha avuto un ruolo fondamentale in questo, ho riconosciuto i tipici pensieri contorti e torbidi del suo effetto, ma credo che grazie alla birra questi siano rimasti abbondantemente sopra la soglia del positivo, dell’allegro.
poi siamo andati al lili, in cui scommetto una birra con inma che il posto anni fa si chiamava “bolerita”, mentre lei dice “bodeguita”. la verità è che si chiamava prima bodeguita ma poi ha cambiato in bolerita, ed è quando l’ho conosciuto io. quindi pareggio, ma la birra me l’ha offerta lo stesso (poi ricambiata). le amiche vanno a casa e noi stiamo un po’ fuori in un vicolo mentre daniela e ivàn si fanno un cannone. le vibrazioni dell’hashish sono percepibili e mi sento vagamente preso in mezzo, ma non capisco se sono loro che si burlano di me o se siamo tutti un po’ in altre dimensioni coi nostri viaggi. entriamo al cinco, non c’è nessuno, l’alambique totalmente vuoto, ripieghiamo sul porròn, bello carico. un paio di birrette, vedo david con la giacca di pelle di icius ma non mi va di andarlo a salutare, aspetto di incrociarlo, ma non succederà.
mercoledì 3 febbraio 2010 – 16:30. ora l’euforia mi viene solo alla fine dell’orario di lavoro. stamattina è stata particolarmente dura, altro che euforia. oltre alla forza e all’energia fisica di cui sono pesantemente deficitario, oggi ci si è messa anche una cagarella molesta che mi ha importunato da dopo la colazione alle prime due o tre ore della mattinata. durante il lavoro spesso mi sento fiacchissimo, nei momenti peggiori mi aspetto quasi di cadere per terra esangue da un momento all’altro. non so cosa possa essere. il cuore? i lunghi mesi (ma anche tutta la vita potremmo dire) senza fare un cazzo? mangiare troppo, mangiare poco, dormire troppo (non credo), dormire poco. chissà, le ho già provate un po’ tutte.
per ora so solo che non cenare e mangiare poco a colazione è abbastanza deleterio, anche se non posso neanche essere sicuro che siano state quelle le cause della mia estrema debolezza l’altro giorno, visto che questa rimane abbastanza una costante. ieri in riunione ho reso pubblico il mio problema e oggi, come se non avessi mai detto una parola al riguardo, manu mi ha fatto trascinare una carriola piena di cemento fresco per i duecento metri che separano il laboratorio dall’aranceto.
neanche la seconda volta che me l’ha chiesto ho voluto dire di no, anche se in teoria avrei dovuto trasportare meno peso, ma dopo aver caricato la carriola ho scoperto che non ce la potevo fare, anche perché avrei dovuto sollevarla oltre due alti gradini, almeno credevo che questa fosse l’unica soluzione. alla fine sono tornato giù a mani vuote scusandomi, e cesare ha eseguito il compito al posto mio.
poi ho continuato da solo il lavoro iniziato ieri: disboscare le canne indiane con la zappa. un’attività brutale e violenta, che il mio sadismo represso alimenta, generando in me una specie di cattiveria fine a se stessa, come se mi stessi ribellando contro la mia stessa vile azione. in pratica la stessa furia cieca che mettevo nel distruggere le canne era un modo di scusarmi con loro per stare eseguendo un ordine impartitomi. tipo il soldato semplice che spara ai nemici sentendosi colpevole nell’ammazzare e proprio per questo lo fa con ulteriore veemenza. muy complicao.
in compenso, dicevo, la fine dell’orario di lavoro è un momento di felicità profonda, è la riconquista della libertà, nonché l’ora di avventarsi sul pranzo, sempre ottimo.
a proposito di cibo, l’altro giorno ho riprovato a cucinare. stavolta la ricetta, che ho deciso di creare e distruggere io stesso, è stato il risotto alle mandorle che mi è venuto bene se non fosse che dopo un’ora e passa di rimescolo (se smettevo cinque secondi si attaccava) era ancora praticamente crudo. la pressione della gente che voleva mangiare e il mio braccio indolenzito mi hanno indotto a dargliela su e a dare prematuramente per terminata la preparazione del risotto. ora sì che la mia reputazione di cuoco è definitivamente compromessa.
in realtà le uniche cose che fanno godere il mio ego sono la musica e, purtroppo, anche l’ostentazione delle mie capacità: mi rendo conto che cerco molto l’approvazione degli altri, che addirittura suono più per fare il bullo che per me stesso. anche se poi suonare da solo mi da’ cmq molto gusto. ieri dopo pranzo ci siamo trovati con manu alla chitarra, ivàn al cajòn e io ancora senza strumento perché stavo fumando. manu intima a ivàn di lasciare il tamburo a me, evidentemente perché seguo meglio il mantra che sta suonando manu.
soddisfazione per me ma mi è dispiaciuto per ivàn, che ha sempre una gran voglia di suonare insieme, anche se non è il massimo come percussionista. molto piacevole cmq accompagnare la canzone ripetitiva e semplice a cui manu tiene parecchio, la forza del mantra, la sua circolarità, il testo simbolico ecc.bello. è anche una scusa per cantare, soprattutto nella meditazione della sera, bellissimo momento.
la meditazione di osho, molto sponsorizzata da juan, non mi ha entusiasmato, forse non sono ancora pronto, e in ogni caso non si può valutare dopo solo una volta. si tratta di mezz’ora di un movimento continuato e ripetitivo: in piedi, si fa mezzo passo in avanti alzando il braccio rispettivo, poi con l’altra gamba e l’altro braccio, poi di lato, poi indietro. si va a ritmo di musica, ovviamente si “balla” su un brano apposta, la stessa melodia e lo stesso ritmo e piccole variazioni nell’arrangiamento. segue la mezz’ora di silenzio, che mi piace e continuerò a fare.
ieri, eccezionalmente, c’è stata un’ora di yoga di pomeriggio. manu è anche insegnante di yoga, veste in cui in assoluto lo preferisco (sicuramente è meglio che nella qualità di capo sul lavoro, almeno per me). mi è piaciuto parecchio anche lo yoga, e mi hanno detto dopo che il suo “tipo” di lezione è abbastanza forte e “fisica”. vorrei proprio continuare, ma normalmente la sessione è alle sei e un quarto del mattino e ovviamente non ci va nessuno.
(Luca Manni, da Il diario della granja, inedito)
L’immagine: la fattoria Cortijo Al-Hamam vista dall’alto.
Jessica Ingrami
(LucidaMente, anno V, n. 51, marzo 2010)