Via dalla “civiltà”: “L’anno della lepre” (Iperborea) del finnico Arto Paasilinna
Non si contano più le ristampe e le edizioni uscite in vari paesi de L’anno della lepre (1975, tit. originale: Jäniksen vuosi) dello scrittore finlandese ex guardaboschi ed ex giornalista Arto Paasilinna. In Italia il libro è pubblicato – e siamo oltre la ventesima riedizione – ovviamente dalla milanese Iperborea, specializzata in letteratura del Nord Europa (si veda il bellissimo sito http://www.iperborea.com/web/index.htm). E, altrettanto ovviamente, nel raffinato formato allungato che caratterizza le pubblicazioni di tale casa editrice. Un romanzo amato da libertari, ecologisti, anarcoidi, insomma da tutti coloro che non sopportano più “il disagio della civiltà”, le città snervanti, le regole, lo stato onnipresente e opprimente, anche se “democratico”…
Senza ideologie
In realtà Paasilinna non assume alcuna posizione politica, né corretta, né “scorretta”: le avventure di Kaarlo Vatanen, il protagonista – insieme a un leprotto che egli salva da morte certa e che, ormai addomesticato, lo segue per tutto il libro -, sono quelle di un “uomo qualunque”, il quale quasi suo malgrado, senza nessuna “presa di coscienza ideologica”, improvvisamente, spontaneamente, come un “atto naturale”, lascia moglie rompiscatole, casa, città, lavoro (è un giornalista, quindi, se non altro per questo, un alter ego dello scrittore) e si inoltra sempre di più nel paesaggio inviolato della Finlandia.
E, via via che penetra tra le foreste e i boschi – metafore di libertà e dei desideri, ma anche delle paure dell’essere umano -, egli riacquista energie, equilibrio, forze ancestrali che aveva dimenticato. E a noi sembra di sentire i profumi degli alberi, di ascoltare i silenzi sospesi della natura, di avvertire il gelo del clima, di immergerci, col personaggio, nelle acque incontaminate, di scorgere i movimenti della lepre…
Una natura bellissima, ma senza idillio
Peraltro, non bisogna immaginare che la natura rappresentata così bene ne L’anno della lepre sia totalmente idilliaca, senza violenze o sangue. Se l’umanità è permeata dalla malvagità (alcune pagine mostrano tale aspetto senza veli), anche il confronto con la natura non è privo di momenti truci (il protagonista uccide, a volte anche con crudeltà, alcuni animali selvatici).
Del resto, Paasilinna presenta alcuni aspetti comuni con Henry David Thoreau e la sua opera più celebre: Walden, ovvero La vita nei boschi (1854). Se la vita a contatto con la natura è esaltante e foriera di gioia e di libertà, per gli sprovveduti essa sarebbe esiziale. Occorre forza, coraggio, sapersela cavare e anche essere spietati. Un’altra affinità con la letteratura americana: L’anno della lepre è senz’altro un romanzo “on the road”. Al posto delle strade di Jack Kerouac, dei paesaggi statunitensi o urbani, dei giovani “hippie”, troviamo villaggi sperduti, renne, neve, rudi e ospitali abitanti di località vicine all’Artico, ma senz’altro comune è il “genere romanzesco”, caratterizzato dal senso del cammino, della libertà, della provvisorietà, repentinità e arbitrarietà degli spostamenti di chi non ha radici, in quanto il suo albero è il mondo intero.
Il folle piacere di narrare
Il piacere di narrare, di spostare il lettore nei luoghi, di farlo incontrare con un’umanità sempre diversa e spesso eccentrica, appartiene senz’altro anche alla letteratura inglese.
Il protagonista di Paasilinna s’imbatte in una variegata folla di personaggi, a volte “marginali” o emarginati, costituita da ubriaconi, eccentrici, fantasiosi scopritori di immaginari “complotti”, “sacrificatori di animali” secondo un’antica religione finnica, preti bizzarri, e molti altri.
La libertà, la leggerezza, la facilità e imprevedibilità narrativa, lo scoppiettio di invenzioni, trovate, incontri, avventure, la repentina velocità degli accadimenti, ci hanno ricordato Gilbert Keith Chesterton, il narratore che Borges ringraziava per avergli regalato alcune delle gioie maggiori nel campo della narrativa (“forse nessun scrittore mi ha dato tante ore felici”). In particolare, L’uomo che fu Giovedì (1908), con gli inseguimenti, le ambiguità e le mutevolezze del reale, che non è mai quello che appare, il continuo movimento, il trascinare il lettore nella sorpresa, l’allegra, folle leggerezza…
Sempre in ambito inglese, come non ricordare le avventure esilaranti de Il circolo Pickwick (1836) di Charles Dickens e, su un piano ancora più comico, Jerome Klapka Jerome e i suoi Tre uomini in barca (per non parlare del cane) (1889) o i Tre uomini a zonzo (1898)?
La comicità e la satira
Dunque, l’aspetto predominate della narrazione di Paasilianna è la vivacità, lo “scoiattolismo”. Innumerevoli sono le scene e le situazioni buffe, grottesche, o apertamente comiche: a volte sembra che lo spirito di Charlie Chaplin aleggi nel romanzo. Anche perché, come Charlot, anche Vatanen deve spesso fare i conti con le autorità (alla fine del romanzo lo si accusa di aver commesso decine di reati “gravissimi”), che davvero appaiono ridicole con le loro innumerevoli e intrusive norme in aperto contrasto con la libertà, la sensibilità, la dignità umana.
L’opera si viene a configurare, pertanto, come una sottile satira della società, dello stato (anche di quello “sociale” – tema che troviamo in tanti scrittori scandinavi), del potere, delle “regole”, della “normalità”, del perbenismo, di uno stile di vita repressivo e “paternalista” nelle sue buone intenzioni di “proteggere” il povero cittadino, che, invece, vorrebbe semplicemente vivere, anche se correndo qualche rischio.
In questo, lo spirito di Vatanen alla fine risulta più “sovversivo” di quello dei “rivoluzionari” di professione e di ideologia…
L’immagine: la copertina de L’anno della lepre.
Rino Tripodi
(Lucidamente, anno V, n. 50, febbraio 2010)