Era il marzo del 2000 quando a Lisbona si riuniva un Consiglio europeo straordinario dedicato alla coesione economica e sociale dell’Unione europea. In quella sede nasceva la Strategia di Lisbona, veniva cioè delineato un processo di coordinamento per far diventare l’Europa “l’economia basata sulla conoscenza più competitiva del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale”.
La strategia di Lisbona si basava, insomma, su una serie di riforme di sistema negli ambiti dell’occupazione, dell’innovazione, dell’economia, della coesione sociale e della sostenibilità ambientale.
Gli stati membri si impegnavano ad intraprendere le riforme strutturali necessarie per il raggiungimento del principale obiettivo fissato nel 2010: arrivare ad un tasso di occupazione del 70 per cento.
Lo snodo delle politiche europee – Lisbona rappresenta dunque lo snodo delle politiche europee, non solo dal punto di vista della filosofia di policy comunitaria ma forse, e soprattutto, per l’avvio di un processo di ricerca identitaria proprio in relazione al concetto di cittadinanza europea. E’ da quel momento che viene lanciato il tema della governance, che ha come idea centrale la partecipazione dei cittadini alla costruzione di un modello di sviluppo possibile, partendo proprio dal governo delle singole realtà territoriali. Se l’inizio del nuovo millennio coincide con le svolte epocali prodotte dalla globalizzazione, i cambiamenti che le società tutte si sono trovate innanzi richiedono una gestione coerente con i propri valori. Economia della conoscenza, innovazione, modernizzazione, occupazione diventano le parole d’ordine del nuovo modello di cittadinanza, linea di demarcazione tra i processi di esclusione/inclusione dei cittadini… Ma, a distanza di sei anni, a che punto è la costruzione di questo nuovo modello? Nel marzo di quest’anno a Bruxelles l’ennesimo Consiglio europeo ha fatto il bilancio sullo stato dei lavori, nel corso del quale i paesi membri non hanno potuto che prendere atto dello stallo sugli obiettivi intermedi posti nel 2000.
I drammi delle nuove generazioni – Ma, prima di capire come le istituzioni europee intendano rilanciare la Strategia di Lisbona, ci sembra interessante ragionare sul contesto continentale di questi anni, sui conflitti, sulle lacerazioni politiche, sulle violenze sociali. In tal senso vogliamo delimitare il campo al vissuto delle nuove generazioni europee, primogenite della globalizzazione di inizio millennio. Il luogo ideale da cui partire per ogni ragionamento ci sembra la Francia, che proprio negli ultimi mesi è stata protagonista di aspre fratture sociali. Se è vero che negli ultimi tre secoli il paese d’Oltralpe è stato quello che ha precorso i tempi nel far esplodere le contraddizioni del vecchio continente, da cui possiamo far risalire i valori della civiltà contemporanea, è possibile dunque individuare proprio lì i sommovimenti che ci indicano come possa essere ardua oggi la creazione di un modello di sviluppo omogeneo… “L’immigrazione va assolutamente fermata, prima che sia troppo tardi. E non per quelli che emigrano ma per i loro figli che nascono francesi senza mai diventarlo…”. Sono le parole, un po’ paradossali, di un droghiere algerino trapiantato a Parigi, rilasciate ad un inviato de la Repubblica nel novembre dello scorso anno, quando esplodeva la rivolta nelle banlieu. “Sono giovani senza ricordi, senza nostalgie e senza l’aspirazione all’integrazione. A loro importa solo procurarsi soldi…”.
La vita nelle banlieu – Il contesto nel quale vivono questi giovani senza passato né futuro, senza una identità, che il ministro francese Sarkozy ha definito “cailles“, cioè feccia, l’abbiamo conosciuto lungo quei terribili giorni… Ricordiamolo per un attimo. Clichy Sous Bois è la banlieu dove è scoppiata la rivolta: il patrimonio dell’edilizia pubblica versa in condizioni disastrose, circa il 10 per cento è inabitabile a causa della mancata manutenzione e della pessima qualità degli immobili. Nel 2004 erano stati annunciati investimenti destinati alla riqualificazione urbana per milioni di euro, finalizzati alla demolizione e ricostruzione di 1.600 appartamenti e agli interventi sul territorio. Ma niente è stato fatto. I collegamenti con il resto della regione parigina, che solitamente sono assicurati da stazioni della Rer, metrò veloce suburbano, sono molto lontane, e i servizi di autobus insufficienti, tanto che la sera sono state eliminate le corse per evitare proprio la “transumanza” dei poveri verso il centro di Parigi. Clichy doveva essere servita anche da un’autostrada che non è mai stata costruita. Ci ha colpito una frase riportata in quei giorni dai giornali. A pronunciarla prima della sua scomparsa, era stato François Mitterand: “Cosa può sperare un giovane che nasce in un quartiere brutto, che vive in un palazzo brutto, circondato da altre bruttezze […] con una società che preferisce voltare lo sguardo e intervenire soltanto se bisogna punire…”. Siamo dunque davanti al fallimento delle politiche di integrazione in Francia, possibile chiave di lettura per l’assenza di coesione sociale in Europa? Certo è che quei giovani francesi, socialmente disconosciuti, di fronte alla protesta dei loro coetanei non immigrati, appartenenti alla borghesia, svoltasi in marzo contro il cpe, cioè il licenziamento senza giusta causa, rispondevano che a loro modo di vedere esso poteva rappresentare almeno il sogno di una prima esperienza di lavoro: meglio il cpe che la disoccupazione permanente. È evidente che nel giro di pochi mesi in Francia sono stati portati all’ordine del giorno i punti di saturazione del nuovo conflitto sociale, che vede lo scontro dei diseredati e dei precari su fronti opposti…
Una tragedia del nostro tempo – C’è un’altra storia che vogliamo raccontare però… Una storia di giovinezza rubata che fa in qualche modo da contraltare a quella che abbiamo visto essere una vera e propria divaricazione delle classi sociali: anche questa è storia europea dei nostri giorni. È una storia che ne raccoglie tante altre, anzi rappresenta un vero e proprio fenomeno di massa. È la storia di Sarah, così la chiameremo, anch’essa primogenita della globalizzazione in Europa… Sarah ha ventitre anni, è una ragazza solare e giunonica che viene dalla Croazia, uno di quei paesi che nell’arco di un paio d’anni entrerà a far parte dell’Unione Europea, uno di quei paesi su cui la strategia di Lisbona dovrà puntare in termini di coesione sociale, dove saranno indirizzati i nuovi fondi strutturali della Commissione europea, mediante la riprogrammazione 2007-2011. Sarah fa la prostituta in una fermata d’autobus adiacente al quartiere fieristico di Bologna. Sorride sempre e questa è la cosa che più colpisce: “È un anno e mezzo che sono qui, ma ancora due settimane e smetto, ho già comprato una casa e un’auto, adesso posso realizzare il mio sogno, un piccolo ristorante nel mio paese…”. Quando le chiediamo se ha un protettore, lei risponde con decisione: “No! Non ce l’ho un capo… Qui alcune ragazze ce l’hanno, ma io no, ci mancherebbe che do i miei soldi a qualcuno. Una volta c’erano degli albanesi che volevano prendermi, ma io li ho mandati a quel paese…”. Sarah parla un buon italiano, ci dice di essere arrivata in Italia consapevole di fare questo “lavoro”, consigliata da un’amica che era già qui, perché in Croazia non aveva di che vivere. Parla della sua esistenza attuale come di un semplice momento di passaggio, ci racconta della sua famiglia e degli amici che ha lasciato, nessuno naturalmente è a conoscenza di quello che fa in Italia. È una ragazza normale Sarah, potrebbe essere la sorella, la cugina, la nipote, la figlia di uno di noi: se fosse italiana magari andrebbe all’università, felice di vivere la sua età. Ma Sarah è stata tradita da un mondo ingiusto… “Non mi è mai successo niente di male, anche perché so riconoscere la brutta gente. I peggiori sono i marocchini e gli albanesi, ma io non ci vado con quelli. Lavoro in una casa con altre ragazze, e per questo mi sento tranquilla…”.
Le politiche comunitarie lontane dalla realtà – Giovinezza rubata, dicevamo, pur considerando che, tutto sommato, Sarah è una delle più fortunate, giacché la maggior parte delle ragazze provenienti dai paesi dell’Est, appartenenti o meno all’Unione europea, che si prostituiscono nel nostro Paese, sono “le nuove schiave” nelle mani dei racket e delle mafie. Ma, allora, sarebbe azzardato definire questi eventi come il termometro delle politiche sociali ed economiche dei governi europei? “Contro lo scetticismo e un certo cinismo – ha affermato il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso, all’ultimo Consiglio europeo – l’Europa va avanti e il vertice ha dimostrato che è possibile realizzare progressi. Il messaggio è chiaro: l’Ue deve rispondere ai problemi di crescita e di occupazione. Il Consiglio ha infatti preso decisioni importanti per attuare la rinnovata strategia di Lisbona ed ha stabilito un processo di follow up per valutarne i risultati”. Parole che sembrano lontane dalle realtà che abbiamo raccontato, ma che comunque ci dicono che la costruzione di una vera cittadinanza europea, portatrice di diritti e libertà, non è certo vicina. “Occorre anche far fronte all’invecchiamento della popolazione – ha continuato Barroso – e alla globalizzazione e, al riguardo, è necessaria una stretta collaborazione tra il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali per rispondere alle esigenze dei cittadini…”.
L’immagine: l’emiciclo del Parlamento europeo di Strasburgo.
Marco Marano
(LucidaMente, anno I, n. 5, giugno 2006)