Partendo dagli spettacolari programmi divulgativi statunitensi di astronomia, alcune “libere” riflessioni…
L’estate è arrivata e ci invoglia a osservare il cielo stellato. Smog e condizioni meteorologiche permettendo, potremo vedere un magnifico spettacolo e, verso il 10 agosto, le meteore.
In queste settimane Focus (canale 56 del digitale terrestre) sta trasmettendo, tra gli altri, programmi di divulgazione astronomica quali Le meraviglie dell’Universo o Come funziona l’Universo o La storia dell’Universo (The Universe), splendidi documentari televisivi di produzione statunitense, talmente apprezzati da raggiungere decine e decine di puntate e svariate stagioni. A immagini spettacolari – reali o ricostruite – esplicative dei fenomeni e delle teorie astronomiche esposte di puntata in puntata, si alternano interviste ad alcuni dei più brillanti ricercatori viventi quali Alexei Filippenko, Clifford Johnson, Michio Kaku, Amy Mainzer e altri ancora (vedi Gli enigmi del cosmo). E il profano scopre che l’astronomia è una delle scienze che ha compiuto scoperte che in pratica annullano vertiginosamente ciò che gli studenti di qualche anno fa apprendevano a scuola.
Oltre a galassie, nebulose, stelle, pianeti, comete, ecco molti altri fenomeni misteriosi come l’antimateria, i buchi neri, i quasar, le stelle di neutroni, le nane rosse, bianche o nere, l’energia oscura, i raggi cosmici… Una realtà complessa, enigmatica, quasi insondabile, di certo affascinante, meravigliosa, visivamente spesso splendida. La bella notizia, dunque, è che l’Universo, la vita e le sue forme sono meravigliosi e stimolanti. Osservare le stelle o la fotografia di una galassia ci dona una sensazione di serenità, di maestosità, di ordine. In realtà, in ogni momento, dappertutto, si sta combattendo una spietata lotta per la vita e ciò che appare solenne, perenne, regolato, è invece mutevole, precario, destinato comunque alla fine, alla morte.
La legge delle leggi è, infatti, l’entropia. L’ordine si trasforma in disordine, l’energia si disperde, la luce finirà nell’oscurità: tutto decade, tutto si deteriora, tutto volge verso la morte. Quest’ultima, la fine di tutto, però, tende – per fortuna o purtroppo – alla rinascita di qualcos’altro. Affinché qualcosa di nuovo nasca occorre che il vecchio sparisca. Altra legge di natura universale e terribile. Probabilmente l’Universo che conosciamo svanirà in quanto tutti gli oggetti che lo compongono si stanno allontanando l’uno dall’altro e finiranno per spegnersi uno alla volta, come fioche candeline. Oppure il movimento sarà inverso: tutto ritornerà a riaggregarsi finché ogni cosa sarà compressa in pochissimo spazio e, forse, vi sarà un nuovo Big Bang, un’enorme esplosione. E tutto ricomincerà.
La brutta notizia, pertanto, è che l’Universo è ovunque un posto pericoloso e, nel suo continuo movimento ed evoluzione, precario e, comunque, mortale. Un ciclo di nascita, morte, rinascita, sembra caratterizzare ogni fenomeno. A queste conclusioni era già pervenuto il nostro Giacomo Leopardi, ad esempio nel Dialogo della Natura e di un Islandese. Resta l’interrogativo che già il grande recanatese si poneva: che senso ha questa eterna sequenza, apocalittica, distruttiva, mortale, per l’Universo tutto, per i suoi componenti e per le singole creature che lo popolerebbero? Certo non è un bell’augurio o speranza pensare che, dopo la morte, finiremo “in cielo”.
E sembra che le leggi che stanno alla base dell’Universo, del macrocosmo, siano identiche dappertutto: nel microcosmo, nella vita biologica, nel sociale. Ciò che sta in alto funziona come ciò che è collocato in basso; e viceversa. Sono le cosiddette immodificabili, sempre e in ogni luogo uguali leggi di natura, che ci delineano un quadro nel quale prevale la violenza, la brutalità, la sopraffazione… in ultima analisi l’assurdità. Anche tra le stelle c’è una continua lotta per la sopravvivenza. Allora ci viene spontaneo operare infiniti accostamenti e analogie. Come una coppia felice, esistono stelle binarie che ruotano armoniosamente l’una attorno all’altra per un lunghissimo tempo. Ma capita che l’una si sottragga all’altra, fuggendo via, come un amante che lascia il partner, magari attratto da un altro corpo (celeste). O, come un amante possessivo e distruttivo, succede che uno dei due corpi distrugga o fagociti l’altro. Dopo essere state tra le più grandi e luminose, alcune stelle bruciano rapidamente (nel senso dei tempi cosmici) la propria energia e finiscono per consumarsi e spegnersi, magari con un ultimo intenso bagliore (supernove). Non somiglia la loro sorte a quella di certi uomini che consumano la propria vita in pochi, vivacissimi e dispendiosi anni?
Invece, come esseri umani più “prudenti” o banali o “mediocri”, stelle secondarie, meno scintillanti, meno vivide, durano più a lungo. I buchi neri sono talmente densi e fagocitatori da inghiottire tutto ciò che sta attorno, a tal punto che neanche la luce può sfuggire loro. Questo “carattere” sembra quello di alcuni esseri umani talmente avidi e famelici che il loro appetito non si sazierà mai. E le complessive sensazioni di ammirazione, stupefazione e incanto verso galassie, nebulose e stelle possono accostarsi a quelle per una splendida foresta pluviale: mirabile a vedersi da lontano o in un bel documentario di Quark, ma provate a entrarci e ad avere a che fare con serpenti, insetti, piranha e scolopendre…
«Noi siamo figli delle stelle», cantava nel 1977 Alan Sorrenti, nel suo passaggio dal pop impegnato, sperimentale, alla leggerina disco music. Eppure non si sbagliava. Sembra, infatti, che la vita sulla Terra provenga da oggetti provenienti dallo spazio (comete, asteroidi, altro), che vi hanno portato acqua, carbonio, molecole, in pratica i mattoni della vita. Anzi, c’è una teoria secondo la quale tutta l’acqua degli oceani sarebbe stata recata nel corso di milioni e milioni di anni da oggetti provenienti da lontano, carichi di H2O, magari sotto forma di ghiaccio. Di tutta l’immensità la Terra (e l’umanità) costituisce una parte infinitesimale e trascurabilissima. Eppure il nostro pianeta avrebbe più volte vissuto in passato cataclismi planetari prima neanche immaginati dagli antichi astronomi, così come gli oggetti che li hanno provocati. Ad esempio, la continua, pericolosissima, “caduta” sul pianeta azzurro di meteoroidi provenienti dalla fascia degli asteroidi; il pianeta Theia, dal cui scontro con la Terra sarebbe nata la Luna; la nube di Oort, dalla quale partirebbero le distruttive comete, che l’hanno di volta in volta annientato “azzerandolo” (e facendovi del tutto scomparire tutte o parte delle forme viventi); l’oscura, invisibile, stella nana Nemesi, che provocherebbe ciclicamente la morte sul pianeta Terra, appunto causando un incremento dell’arrivo di comete dalla nube di Oort.
In questo Universo tumultuoso e violento, dalle condizioni estreme, la vita sembra essere una eventualità rara e precaria; la vita intelligente quasi impossibile. Basterebbe che una sola condizione, anche minima, nella quale si trova la Terra (la distanza dal Sole o dalla Luna, l’atmosfera, il clima), mutasse, e niente più umanità né – probabilmente – qualsiasi forma di vita sul nostro pianeta. Solo diecimila anni fa la Siberia orientale e l’Alaska erano unite dal ghiaccio. Se l’attuale mutamento climatico è attribuibile alle emissioni industriali, già ben prima, senza alcuna responsabilità umana, il clima era stato troppo freddo o troppo caldo. Forse a causa di un meteorite? Forse a causa dello spostamento del sistema solare in qualche particolare zona della Galassia?
L’ipotesi della vita in altri luoghi del cosmo, dunque, è un’idea ardua da sostenere. Nel “tranquillo” sistema solare non ve n’è traccia. Figuriamoci in posti ancora meno “vivibili” e più disordinati. La congettura sull’esistenza della vita nell’Universo può reggersi solo sul calcolo delle probabilità. Essendo miliardi di miliardi di miliardi gli oggetti del cosmo, e ancora di più le loro interrelazioni, può essere capitato che la vita sia sorta anche altrove. È quasi impossibile che lanciando cento dadi (in altre parole, i vari fattori che servono a determinare la vita), essi cadano tutti con la faccia in su sul “sei”. Tuttavia, provate a gettarli ogni dieci secondi per miliardi di volte…
Siamo soliti osservare e ragionare sull’Universo, le sue galassie, le sue nebulose, le stelle e gli altri straordinari elementi che lo compongono come se si trattasse di un fenomeno a noi esterno (un’ameba, una pianta, un sasso…): ma la realtà (e il problema) è che noi ci siamo dentro. Fino al collo. Siamo come insettini che si ritengono al sicuro per l’eternità nel loro habitat, ma questa sicurezza, rapportata ai tempi cosmici, è come se stesse durando da pochi secondi e un’enorme ruspa può spazzarci via da un momento all’altro. L’essere umano, così fragile, violento, arrogante, superbo, egoista, è completamente impotente nei riguardi di un minimo sommovimento della Terra e del cosmo.
L’unico modo per vivere e provare persino ottimismo di fronte a ciò che l’umanità non può controllare è fare come essa ha sempre fatto nei riguardi di tutto, ad esempio della Storia (un calderone di guerre e massacri, fanatismi e violenze, crisi economiche e miserie, dai quali quasi nessuno è mai scampato): chiudere gli occhi. In tutto questo immane spettacolo, in questo straordinario “caos organizzato” costituito da confusione, assenza di senso, eppure con delle ferree leggi fisiche, chimiche, ecc., non traspare alcun finalismo, alcuna teleologia divina: tutto appare inutile e assurdo. Dio non sembra esserci o, forse, si è davvero limitato a “giocare a dadi”, e dopo si è nascosto. Ma non è dato saperlo, né immaginarlo.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno IX, n. 103, luglio 2014)
Caro Direttore,
la Sua analisi è puntuale e conforme alla scienza ed alla filosofia dominanti. Tuttavia, quest’ultime non sono esenti da gravi deficienze.
1) L’idea che l’universo non sia antropocentrico è già formulata da Galileo Galilei come conseguenza del decentramento della Terra. Ciò che non ha impedito né a lui, né a Copernico, né a Newton, né a Cartesio, etc., di essere deisti.
2) La scienza, accogliendo il protagonismo del caso e, quindi, essendo passata al nichilismo, ha cessato di essere tale, è divenuta mera tecnica. Se non esiste un principio (latamente inteso) ordinante e razionalizzante il tutto, la scienza non può darsi, essa non ha più voce in capitolo, se non, appunto, per la tecnologia.
3) Nichilismo e antiumanesimo sono termini sinonimi. Essi sono una induzione del sistema capitalistico della produzione di cui soddisfano le istanze egemoniche: «Se il sogno della verità è finito, […] questo significa anche che lo sfruttamento di classe e la violazione dei diritti dell’uomo non sono sintomi di un’”ingiustizia”» (E. Severino).
4) Per saperne di più – dispiacendomi dell’autoreferenzialità – rinvio al mio: “Scienza della natura ed etica”.
Caro Direttore,
scusandomi, faccio seguito a quanto appena esposto: il nichilismo è anche la via maestra alla riviviscenza dei fondamentalismi religiosi, in primo luogo, di quello cattolico.
Gentilissimo prof. Donati,
grazie per i suoi due davvero interessanti commenti.
Il direttore
Sono io che ringrazio.
Cordialmente,
A.D.