Mentre il referendum greco fa traballare le fondamenta dell’Europa, gli stati membri cominciano a reclamare sempre maggiore autonomia. Quali sono le cause?
L’affermazione, negli ultimi anni, dei movimenti euroscettici dimostra come gli stati europei richiedano sempre maggiore sovranità, perché stanchi del modo col quale l’Unione europea dirige le politiche economiche comuni.
Il concetto di sovranità nazionale ha visto discussa la propria importanza dopo la seconda metà del Novecento. Gli stati europei, memori dei disastri della guerra, hanno acconsentito a limitare le proprie prerogative, consegnandole in parte a un ente internazionale – l’Unione europea – dai contorni sfuggenti. L’obiettivo era quello di ponderare insieme le politiche economiche e fiscali che avrebbero avuto, inevitabilmente, effetti comuni. Il fallimento di questa visione è sotto gli occhi di tutti. Le cause che hanno portato alla crisi dell’eurozona sono molto difficili da isolare. Certamente rilevante è il modo fantasioso col quale si atteggiano i tre organi principali dell’Unione, vale a dire il Consiglio, la Commissione e il Parlamento. Scindere due poteri, quello esecutivo e quello legislativo, in questi tre organi ha dato vita a istituzioni parziali e poco rappresentative.
Il Parlamento è tale di nome, ma non di fatto, dato che divide il proprio potere con il Consiglio. Quest’ultimo, poi, non solo è titolare del potere legislativo in concorso con il primo, ma è composto da soggetti – i ministri – che nei Paesi d’appartenenza sono espressione del potere esecutivo. Ciò, inevitabilmente, finisce con l’ostacolare il potere d’azione della Commissione, che in base ai trattati dovrebbe costituire il “governo” dell’Unione, con tanto di rapporto di fiducia che la lega al Parlamento. A complicare il quadro, poi, sta il Consiglio d’Europa, organo un tempo ufficioso e ora ufficiale, composto dai capi di stato e di governo dei vari paesi membri e al quale spetta un’altra fetta di potere politico.
È chiaro come un sistema decisionale così macchinoso non abbia potuto garantire la giusta innovatività nel plasmare l’Ue. Anche laddove le idee si sono mostrate, la loro attuazione si è sempre scontrata con un muro di burocrazia, aggravato dagli interessi particolari di ogni stato. Forte di questi difetti, oltre a un’unione bancaria da più parti criticata e tacciata di derive quasi dittatoriali, il referendum greco ha fornito la prova definitiva di un ritorno ai vecchi nazionalismi. Nella notte del 5 luglio troppi paesi europei, tra cui il nostro, hanno gioito insieme ai greci. La sovranità nazionale sta subendo l’ennesimo processo di rivalutazione, questa volta in senso contrario, dall’Unione verso gli stati.
L’incapacità dell’Europa di migliorare le condizioni dei paesi meno diligenti, come Grecia e Italia, ha alimentato quelle correnti euroscettiche che premono affinché si allentino i vincoli con le istituzioni europee e torni quel potere decisionale una volta ceduto. La nuova stagione referendaria inaugurata dai greci potrebbe proseguire con il progetto di referendum consultivo anti euro pensato e portato avanti dal Movimento 5 stelle in Italia e dal referendum sull’uscita dall’Unione promesso entro il 2017 al Regno unito dal premier David Cameron. Questa nuova dialettica si scontra con il pensiero portato avanti all’indomani della propria nomina dal presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi, secondo il quale l’Ue non sarebbe altro da noi, ma soltanto un luogo privilegiato in cui discutere del benessere comune. E contrasta anche col movimento federalista ideato da Altiero Spinelli che lotta per rendere possibile la nascita degli “Stati Uniti d’Europa”.
Quale futuro, dunque, per il Vecchio continente? Il riaffermarsi dei nazionalismi e la continua ricerca della sovranità perduta sembrano condurre, inevitabilmente, alla scissione. La prima potrebbe essere proprio quella della Gran Bretagna, già da tempo insofferente dai diktat dell’Ue ed estranea all’euro. Pericolosa, poi, è la situazione della Grecia, al momento tutt’altro che definita. Resta da vedere quale futuro possa avere il progetto federalista. Sebbene al momento le troppe divisioni sembrino renderlo impossibile da realizzare, un’unione federale potrebbe essere la fisiologica evoluzione del progetto disegnato all’indomani della Seconda guerra mondiale.
Riccardo Camilloni
(Lucidamente, anno X, n. 115, luglio 2015)