Nel panorama musicale internazionale, Glenn Gould occupa certamente una posizione di tutto rispetto e può essere considerato uno dei grandi pianisti del Novecento. Dopo la sua scomparsa, avvenuta nel 1982, molto è stato detto: documentari, saggi e trattati hanno finito col farlo diventare un personaggio, anziché un artista quale era. Ciò che si propone di fare Marco Gatto, con la sua nuova opera Glenn Gould: il suono materiale. Per un’estetica della resistenza (Edizioni Cattedrale, pp. 158, euro 16,50), è andare alla ricerca proprio della mitologia del genio, ovvero capire come sia possibile recuperare il senso della realtà, dell’arte e della musica trascendendo il consumo imperante che spesso tesse le lodi in cambio di guadagni.
L’artista Glenn e il personaggio Gould
Gatto racconta Gould attraverso la sua estetica e la sua specifica visione della musica, passando per la fitta letteratura che lo riguarda fino a scoperchiare il vaso di Pandora del business e dell’industria massificante del consumo. Ma la particolarità dell’autore è che non si ferma a un banale collage di tutto ciò che riguarda l’artista e di tutte le informazioni che altri hanno dato di lui, bensì avanza interpretazioni che si rifiutano di rimanere agganciate alle frasi scritte sui libri. Gatto indaga, mette a confronto, ipotizza e infine cerca di comprendere la vera essenza del pianista, ciò che trascende dalle sue vicissitudini personali.
Il grande progetto che l’autore mira a sviluppare è una ricostruzione, basata sulla liberazione dell’artista da quella squallida critica che crea stereotipi riducendo la qualità insita nell’opera. Gatto non è interessato alla grandezza del personaggio Gould, ma a un aspetto scarsamente studiato di cui pochi si sono curati: la materialità del suono nella prospettiva di una estetica dell’ascolto, vale a dire ciò cui Glenn ambiva di più.
La musica e il suo consumo «Rinunciando a divenire strumento della cultura di massa – scrive Gatto – la musica seria si isola alla ricerca di un luogo non dominato dalla coercizione del potere, e in questo stesso isolamento trova un’arma di opposizione a chi vorrebbe relegarla al silenzio. Nel medesimo tempo, sancendo il suo divorzio dagli ascoltatori, essa rispecchia al negativo la situazione di precarietà in cui versa, ci restituisce, cioè, un’immagine netta del dominio esercitato dal capitale sulle arti. E’ il tema, quanto più attuale, della fine dell’autonomia creativa».
Sostanzialmente Gatto suggerisce che per contrastare il consumismo, che svuota e spersonalizza il gusto soggettivo fino a farlo divenire prestabilito e standardizzato, si debba andare a monte del problema, al suono prodotto, il quale deve essere in grado di sviluppare e far crescere la dialettica musicale dell’ascoltatore. Insomma, tutto dovrebbe essere a disposizione della nitidezza e dell’essenzialità, constatato che l’obiettivo ultimo è giungere alla fisicità materialistica del suono.
L’ascoltatore passivo
Secondo Gould, la società moderna è imperniata sul consumo nella sua forma più generica. E in ambito musicale, è proprio questa tipologia di società che ha fatto del pubblico una massa uniforme di ascoltatori passivi e accomodanti, senza preferenze e senza “orecchio”, come scrive Gatto: «Gould si spinge addirittura ad affermare che l’ascoltatore è concepito come ostacolo e come pericolo. Difatti, un ascoltatore capace di esercitare spirito critico e di praticare un ascolto consapevole rappresenterebbe un vero e proprio scacco per la concezione capitalistico-consumista della ricezione musicale».
Ma allora cosa auspicava il grande pianista canadese? Quale soluzione aveva trovato al problema? Semplicemente la modificazione dei soggetti attivi nella comunicazione, come riporta l’autore: «Da un lato, un interprete umile e capace di offrire al destinatario un’esecuzione giustificata ma passibile di critica; dall’altro, un ascoltatore consapevole del proprio bagaglio musicale, capace di entrare nella partitura attraverso l’esecuzione fornitagli dal musicista e in grado di formulare un proprio giudizio estetico, finanche modificando, attraverso la tecnologia, quegli aspetti dell’esecuzione che non lo convincono, e dunque disponendosi a una sorta di sperimentazione compositiva che ribalta ulteriormente il suo ruolo passivo».
In questo modo, come spiega Gatto, il destinatario diviene partecipe attivo dell’esperienza musicale: «Da semplice ricettore, sulle cui abitudini specula la pianificazione di un’industria culturale che lo concepisce come mero consumatore, diviene, nell’idea di Gould, una sorta di attivista musicale che, come ultimo anello della catena della comunicazione, detiene la possibilità di un’effettiva realizzazione dell’esperienza sonora».
L’utopia gouldiana
Nonostante Gould si batta strenuamente e sia altrettanto convinto della necessità di una rivoluzione delle parti in gioco nel panorama musicale, la lotta all’imbarbarimento dell’ascoltatore non è il suo sogno più grande. Ciò a cui ambisce il pianista è trovare un suono perfetto e condiviso, un’estetica della resistenza che proietti l’ascoltatore in una dimensione paritaria e democratica, senza compromessi con l’autorità, ma nel rispetto del rigore e dell’autenticità dell’arte.
Quello che in tanti non hanno compreso e che in pochi hanno studiato è la particolarità delle incisioni gouldiane, un suono creato alla perfezione per trasmettere un potenziale filosofico che deve essere ricostruito attraverso gli strumenti della ragione.
L’immagine: la foto di copertina del libro di Marco Gatto.
Jessica Ingrami
(LM MAGAZINE n. 10, 15 maggio 2010, supplemento a LucidaMente, anno V, n. 53, maggio 2010)