Neoliberismo, impotenza o connivenza della politica, schiavizzazione globale dei lavoratori
La vera causa della crisi economica è nel cosiddetto neoliberismo. La mancanza di regole ha determinato un fenomeno finanziario sovranazionale e spregiudicato, consentendo speculazioni impietose. La globalizzazione ha aperto le porte all’avventurismo piratesco, figlio di un sistema portato continuamente all’esasperazione. Questo sistema teme d’incagliarsi, di perdere privilegi storici, propri del capitalismo individualista, quel capitalismo, vittorioso, in grado di tesaurizzare – travisandoli – i principi positivistici risalenti ad Auguste Comte. Il freno luterano che recita accumulazione per maggiore gloria divina è stato cancellato a favore del mantra che raccomanda accumulazione a proprio esclusivo vantaggio, quasi fosse una garanzia di immortalità.
Per ritornare sulla terra, va detto che i governi occidentali stanno mostrando tutta la loro incapacità di contenere il fenomeno: i governi tappano i buchi sociali prodotti dalla finanza e niente più. Sono conniventi – ci si augura in modo secondario – con la stessa, non sono capaci, né vogliono farlo, di porre dei limiti allo strapotere neoliberista. Non è, il limite, una questione dirigistica, è soltanto la risposta al buonsenso elementare, per cui non si può abbattere il prossimo (l’abbattimento può avvenire anche senza sparare un colpo: il capitalismo, che pure di colpi ne ha fatti sparare, lo sa benissimo). Non si tratta affatto di legacci, ma di misure civili opportune, peraltro previste da carte costituzionali, da dichiarazioni umanitarie sottoscritte in modo solenne almeno dal 1948. Ovviamente tutto questo non vale soltanto per la situazione occidentale, dove un potenziale benessere è stato sacrificato per decisione di pochi con ripercussioni lavorative e occupazionali gravi.
Vale anche per le condizioni dei lavoratori orientali, praticamente schiavizzati a Est e a Ovest. Tutto questo ha aggravato le economie europee locali, già deboli prima dell’introduzione dell’euro e ancora più deboli grazie a questo tipo di globalizzazione che logicamente ha fermato ancora di più la produzione indigena: non era per niente difficile prevederlo. Ma nel balletto della totale assenza di rispetto verso i più deboli (il razzismo non è affatto finito) nessuno ha previsto le ripercussioni sociali di un simile disastro. E questo perché il disastro è esterno al proprio mondo (troppi politici e troppi intellettuali vivono altrove).
Si deve avere una seria resipiscenza, per dignità, per decoro e per senso civile, così come quest’ultimo viene dipinto. Quindi si deve operare sulle banche, erogatrici di capitali, facendo un discorso responsabile su modi e tempi operativi internazionali, includendo tutti gli attori nella questione. Non è ingenuo affidarsi ai diritti umani quale riferimento ideale per il cambiamento, in quanto essi rispecchiano la lungimiranza del progresso umano. È ingenuo, e anche un po’ vile, pensare di risolvere il problema con piccoli aggiustamenti o con riavvii di un sistema che civilmente non è mai partito. E che culturalmente ha creato false speranze di arricchimento generale, con imbarazzante malizia e grossolana volgarità.
L’immagine: particolare di un manifesto sovietico.
Dario Lodi
(LM EXTRA n. 26, 15 novembre 2011, supplemento a LucidaMente, anno VI, n. 71, novembre 2011)