Si sono da poco concluse le elezioni regionali, tempestose e “scorrette” come non mai. Di loro cosa ci resta, al di là della valanga di polemiche, di attacchi, di propaganda più o meno aggressiva? E di percentuali, numeri, eletti, seggi? Il nostro “vecchio” collaboratore Antonio Nicoletta, nel testo che segue, compie una satira semiseria della campagna elettorale e del ricorso alla pubblicità personale.
Proponendo anche qualche correttivo…
All’improvviso, come l’arrivo di un maremoto, si apre la campagna elettorale. Il brusio, le riunioni notturne esplodono all’improvviso nella battaglia mediatica che per circa trenta giorni ci sommerge, come nelle migliori tradizioni carnevalesche, con un nugolo di manifestini, simili a coriandoli, che pubblicizzano l’uno o l’altro candidato. I bar e i luoghi frequentati da pubblici avventori portano su banconi e banchetti, in bella vista, una torma di visi sorridenti, ammiccanti, accattivanti, che sembrano, pur nella loro immobilità, sollecitare un contatto, uno sguardo, un “portami via”.
Il ricorso ai “santini” – Per trenta giorni vengono esibite le fattezze dei candidati, lustre, laccate e qualche volta riciclate in manifesti che, più che sollecitare la nostra attenzione, sembrano sorvegliarci notte e giorno. In realtà, percorrere a piedi, specialmente quando è buio, un tratto di strada fiancheggiato da cartelloni elettorali diventa inquietante per quella teoria di busti che pare ti seguano con gli occhi per tutto il tratto del percorso. Al ridursi dei comizi, si è infatti contrapposto, sempre più, il ricorso ai volantini e a quelli che per la loro dimensione vengono chiamati “santini”, poiché ricordano le immaginette religiose di buona memoria. È importante conoscere il viso di chi si è candidato a rappresentarti nel consiglio del comune in cui vivi: ma la ricognizione del volto ti colpisce se lo conosci già, altrimenti come ignoto era il nome, ignoto continuerà a essere anche il viso. E questo vanifica buona parte dell’effetto cercato, cioè il “farsi conoscere”. Anche perché in nessuno di questi manufatti compare uno straccio di curriculum o di presentazione. Praticamente si chiede il voto solo per il viso che si presenta.
Parlare la lingua dell’elettore – Il termine candidato, secondo il vocabolario Devoto-Oli, serve a designare “chi si sottopone al giudizio di elettori o esaminatori, per il conseguimento di una carica o di una promozione”. Perciò, chi vuole essere votato deve proporsi, in maniera più o meno palese, con una campagna pubblicitaria, che abitualmente si realizza cercando lo slogan più idoneo (il vocabolo slogan deriva dall’urlo di guerra “sloo gan” che i mercenari scozzesi lanciavano prima della battaglia per caricarsi) e cercando un’immagine che ne rappresenti il concetto. Non contano le premesse e le promesse, conta quello che si percepisce, il mondo immaginario in cui si vuol portare l’elettore. La strategia viene pensata e strutturata partendo dal target di riferimento: i possibili acquirenti, ovvero i votanti. Se ne studia la psicologia per parlare la loro stessa lingua, per far capire che si conoscono i loro bisogni. Ancor prima che essi stessi li avvertano e li esprimano.
Immagini senza contenuti – La concorrenza tra prodotti sempre più simili ha spostato il contenuto della comunicazione elettorale non tanto sul valore effettivo dei candidati, quanto sull’immaginario simbolico. Allo stesso modo avviene nella pubblicità, nella quale per esempio le automobili corrono tutte su meravigliose strade infinite (con colonna sonora ad hoc) e, a seconda del target, si evidenzia la prestazione, il design, l’abilità nella guida… Ma sfido chiunque a ricordare esattamente il nome della marca alla fine dello spot! E così per i detersivi, le merendine, i dentifrici. Nessuno ha più nulla di nuovo da dire, né da vendere. L’analisi del mutamento del linguaggio pubblicitario va fatta di pari passo con lo studio dell’evoluzione (o involuzione?) della società. L’immaginario sta lasciando il posto alla convenienza e al successo: ci sono sempre mamme intelligenti che danno le merendine più buone ai figli e c’è sempre il mondo dei testimonial che sopravvive. Tante immagini e pochi contenuti.
Servono nuove regole… – Pertanto, occorrerebbe porre dei paletti nelle competizioni elettorali. Il primo principio a cui dovrebbero ispirarsi le nuove regole è che il denaro non possa avvantaggiare un candidato che lo possiede ai danni di un concorrente che non ne ha. Gli strumenti consentiti nella campagna elettorale dovrebbero essere uguali per tutti e limitati tassativamente ai comizi e alla propaganda porta a porta, con la distribuzione del proprio programma politico stampato. Manifesti e “santini”, che premiano la visibilità di chi se li può permettere, andrebbero vietati, pena l’esclusione dalle liste. Inoltre, anche il luogo fisico dei comizi dovrebbe essere messo a disposizione dai comuni e offerto gratuitamente ai candidati. Non si vuole, tuttavia, prospettare alcuna limitazione nella libertà di comunicare: comizi e rapporti diretti con i cittadini potrebbero essere più che sufficienti, tali da mettere nero su bianco il programma dei candidati.
…e drastici tagli alle spese elettorali – Si parla sempre di alti costi della politica. Sarebbe ora di adottare norme più severe che taglino drasticamente le spese delle campagne elettorali, le rendano più riflessive e meno legate alla creazione di false immagini e suggestioni. Così si limiterebbe l’esposizione di garruli questuanti di voti, dispensatori munifici di “santini”, che finiscono invariabilmente con l’imbrattare, a guisa di policromo e cartaceo tappeto, i marciapiedi e le strade delle nostre città.
L’immagine: “Alle urne, alle urne!”.
Antonio Nicoletta
(LM EXTRA n. 20, 15 aprile 2010, supplemento a LucidaMente, anno V, n. 52, aprile 2010)