“Dio a perdere” (Prospettiva editrice) di Giovanni Nebuloni, un noir “globale”
Integraliste islamiche convinte di aver trovato l’incarnazione del nuovo Imam, un virus mortale generato da plasmodi, il ritrovamento di opere d’arte e una storia d’amore inaspettata si condensano nel quarto romanzo di Giovanni Nebuloni, Dio a perdere (Prospettiva editrice, pp. 242, € 12,00).
Leggendo le prime pagine, un lettore precipitoso potrebbe considerare Daniele Calefi il protagonista del libro. Professore universitario, latin lover, viene rapito da un gruppo di fanatiche religiose, i Soli di Allah, che lo credono l’incarnazione del tredicesimo Imam. Un corpo speciale costituito esclusivamente da donne, addestrate a ogni tipo di combattimento e a districarsi in ogni situazione pericolosa. Esse auspicano «che, senza altro sangue, il Mahdi metta d’accordo le numerose religioni, a cominciare dalle tre monoteiste più importanti». Da diversi anni Calefi era confidente dell’Agenzia per le informazioni e la sicurezza interna (Aisi), la quale a sua volta stava indagando su di lui, in quanto sospettato di doppio gioco.
In realtà, deceduto, a causa di uno strano virus, il sosia del professore, usato come controfigura dai Soli di Allah, prendono colore altri personaggi non meno importanti: l’amico e collega dell’Aisi, Paolo Bonera, l’anonima impiegata alla Sovrintendenza per i Beni archeologici della Lombardia, specializzata in paleoarteologia, Valeria Cavanna, e Massimo Aliprandi, comandante di polizia, esperto in biologia. Bonera chiede a Valeria di studiare i dipinti rinvenuti in una grotta scoperta a seguito di un terremoto, avvenuto nel luogo del decesso del sosia di Calefi, simile a quella di Lascaux, da cui – come afferma lo stesso autore – prende ispirazione il romanzo. La ragazza si avvale della collaborazione di Massimo, che si sincera della presenza dei plasmodi: «Da lei non emanava parvenza di sex appeal ed era una cozza da allevamento, una racchia sciatta come uno scialle liso, punto e a capo». I due si innamoreranno e consumeranno il loro amore proprio all’interno della caverna, dove uno dei due troverà la morte a causa dei Soli di Allah, che cercano di impossessarsi del virus…
Le azioni dei servizi segreti e i piani in nome di Allah lasciano largo spazio allo studio dei dipinti della grotta e al delinearsi dei personaggi, dei loro lati deboli e delle loro peculiarità. Trapelano il disprezzo degli agenti della Cia, poco attenta ai sentimenti propri e altrui, nei confronti dell’Aisi, le loro manie di grandezza e superiorità, che li rendono insensibili, facendoli passare sopra a tutto pur di venire in possesso dei plasmodi. Pregiudizi verso la cultura islamica che fanno affermare a uno degli agenti nordamericani la possibilità di risolvere il “problema” con la «vecchia storia dell’atomica», da far esplodere sui Paesi arabi per evitare che si impossessino del mondo intero. «E delle donne e dei bambini che sarebbero morti “forse” innocenti, certo non gli importava nulla, perché ai musulmani cosa importava dei bambini e delle donne occidentali?».
La stesura del romanzo ha sicuramente richiesto allo scrittore un accurato studio della cultura islamica, del Corano, di nozioni di medicina legale, paleontografia e archeologia. L’intreccio di questi ingredienti, studiati ad arte per mantenere viva la concentrazione e l’interesse del lettore, creano una trama e un finale per nulla scontati, che dovrebbero condurre il lettore a riflettere su se stesso e sul significato della propria fede, di un dio che promana da ogni individuo. «Il più importante o l’unico dio per ogni uomo che si rapportava a Dio era stato, era o sarebbe stato sempre lo stesso individuo che credeva nell’idea di un dio. Un dio generato da ogni persona, da ogni “io”, il “dio me stesso”». Un Dio a perdere…
L’immagine: la copertina del libro di Nebuloni.
Francesca Gavio
(LucidaMente, anno VI, n. 69, settembre 2011)
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