Intervista al noto criminologo e psichiatra Francesco Bruno: come agire sulle problematiche del disadattamento giovanile
Nato a Celico in provincia di Cosenza nel 1948, il criminologo e psichiatra Francesco Bruno attualmente vive a Roma. Laureatosi in Medicina e Chirurgia nel 1973, nel 1976 si è specializzato in Neurologia e Psichiatria. Dal 1979 è consulente della Presidenza del Consiglio e dal 1986 del Ministero dell’Interno-Dipartimento della Pubblica Sicurezza. Dal 1980 svolge la funzione di consulente scientifico per vari organismi internazionali tra cui l’Organizzazione delle Nazioni Unite. Inoltre ha diretto e coordinato diversi programmi di ricerca internazionale sui problemi criminologici, giuridici e sociali collegati all’abuso di droga.
È docente di Criminologia e di Psicopatologia forense in varie sedi universitarie. Ha un notevole curriculum che per motivi di spazio non possiamo riportare, ma ricordiamo che è un volto noto per la sua presenza nelle ricostruzioni di Porta a Porta relativamente a casi di crimine di difficile comprensione. Da sempre ha dichiarato la colpevolezza di Anna Maria Franzoni nel delitto di Cogne ed è il criminologo che ha seguito il caso relativo al mostro di Firenze.
Abbiamo avuto la possibilità di intervistarlo presso l’Università degli studi della Calabria dove presta docenza in Pedagogia della marginalità e della devianza minorile nel Dipartimento di Scienze dell’educazione. Ecco domande e risposte…
Qual è stata la motivazione profonda che l’ha spinta all’insegnamento di una materia con sfaccettature nuove rispetto agli interessi precedenti, se pur sempre molto collegata?
«Fino a ora mi sono occupato di criminalità, quando essa sfocia ed emerge in casi gravi, ora sto cercando di fissare l’attenzione su quelli che sono i problemi della prevenzione, che devono passare per forza dalla famiglia e dalla scuola. Se è più semplice coinvolgere la scuola, perché si può parlare di pedagogia con insegnanti, non può dirsi lo stesso per le famiglie; in tal caso deve essere utilizzato un modo indiretto, coinvolgendo per esempio i medici di famiglia e il mondo universitario».
Quale può essere l’influenza della separazione dei genitori sui giovani adolescenti?
«Il problema dell’aumento delle separazioni causa un trauma nel ragazzo, che può reagire bene o male. Purtroppo il problema non è la separazione in sé ma il fatto che essa avvenga in un contesto che favorisce reazioni negative. Spesso le ferite che ci sono nel ragazzo si esacerbano ed egli può rivolgersi alle droghe e ad altre sostanza nocive. C’è un malessere e da questo poi si passa a un disagio. Questo è il meccanismo che va rivisto sostanzialmente, perché le procedure con cui noi oggi cerchiamo di agire non sono corrette, anche se devo dire che sono migliori rispetto al passato. Nel tempo si stanno ottenendo alcune acquisizioni anche sotto il profilo sociale e culturale».
Quali altri elementi stanno alla base della devianza giovanile?
«La scarsa cultura e la mancanza di valori sostenenti, non più sostituiti da nuovi valori. Noi per anni – e quando dico anni, intendo centinaia di anni, ossia intere generazioni – siamo cresciuti all’ombra di valori importanti che nessuno metteva in crisi. La famiglia stessa è un valore che va salvaguardato. C’era l’autorità dei genitori sui figli. Questo principio è venuto meno e non è stato sostituito da un altro di pari livello, quindi, se la famiglia ha perso l’autorità sui figli, i figli sono sì diventati più liberi ma hanno smarrito quel principio di autorità che era fondamentale. Allora dobbiamo fare uno sforzo per individuare nuovi valori, non possiamo ritornare al passato. Al passato non si torna mai. Una volta c’era una regola sociale che tutti condividevano: oggi non c’è più. Quindi ci sono situazioni anarchiche. Questo vuoto non è solo dell’Italia ma riguarda anche gli americani e altre popolazioni e non è stato colmato».
Il percorso di rieducazione attuato nelle carceri minorili è sufficiente a restituire alla società il giovane completamente rieducato?
«La rieducazione è in contrasto con le attuali dinamiche sociali. Cioè una società che premia il successo indipendentemente dai mezzi utilizzati per raggiungerlo. Noi non possiamo predicare a giovani che hanno avuto problemi di comportamento deviante, di comportarsi bene e immergerli poi in una società nella quale tutti si comportano male. Questo è il problema. I nostri istituti minorili, le nostre carceri funzionerebbero bene se poi la società in cui riammettiamo queste persone fosse diversa. Ma noi invece da una parte predichiamo bene, dall’altra razzoliamo molto male».
Non potevamo concludere la nostra intervista senza domandare al noto criminologo e psichiatra forense quali siano stati i casi che l’hanno colpito maggiormente nella sua carriera professionale.
«Sono molti i casi che mi hanno colpito. Ho dedicato molta attenzione al caso del mostro di Firenze, perché è stata un'”epopea” molto importante. Poi il caso di Cogne. Il delitto di Cogne è stato un grande problema mediatico. Io ho vissuto tale situazione. La signora Franzoni è sicuramente colpevole, affetta da un disturbo “borderline” di personalità, un disturbo abbastanza simile alla schizofrenia».
L’immagine: il criminologo Francesco Bruno.
Dora Anna Rocca
(Lucidamente, anno V, n. 56, agosto 2010)