La poesia cui sta a cuore l’ambiente – Tra questi, l’Ecopoetry, di cui si parla in questo articolo. Si tratta di un particolare genere di poesia che si qualifica nell’affermazione di questi valori e che ben presto si diffonde nel mondo. Perché la poesia, con la capacità di suscitare emozioni, con la potenza delle sue suggestive visioni, con l’immediatezza e brevità del suo canto, è in grado di risvegliare le distratte coscienze degli uomini d’oggi. Questo risveglio predispone all’ascolto dei problemi del XXI secolo e, quindi, all’azione per risolverli. Ecopoetry vanta ormai numerosi saggi critici, manifesti, pubblicazioni, antologie, siti web, in molte parti del mondo. E in Italia? In Italia, un solo caso isolato, nel 2005 un libro di Ecopoesia riconducibile ad analoghi testi di Ecopoetry in lingua inglese: Ecopoesie nello Spazio-Tempo (Serarcangeli Editore, pp. 80, € 9,00) di Maria Ivana Trevisani Bach, che è anche l’autrice di questo articolo, oltre che di alcuni siti web su poesia e natura e di un Manifesto di Ecopoesia italiana. Da queste nuove attività letterarie hanno preso origine molti lavori di critica denominati Ecocriticism. Nel nostro Paese, il volume di Serenella Iovino Ecologia letteraria (Prefazione di Cheryll Glotfelty, con uno scritto di Scott Slovic, Edizioni Ambiente, pp. 160, € 16,00), che documenta le attività letterarie internazionali legate all’ecologia. In mancanza di recenti analoghi riferimenti italiani, la Iovino rivisita alcuni nostri autori (Calvino, Ortese, Pasolini, ecc.) alla ricerca del loro ambientalismo ante litteram. Si tratta di contributi significativi, ma sporadici e, comunque, non inquadrati in un consapevole movimento ecoletterario italiano.
La poetica dell’ecopoeta – Ma quali sono i contenuti di questa poesia? Non basta scrivere versi sulla natura o sull’ecologia per essere “ecopoeti”. L’ecopoeta è colui che si sente interconnesso con la creazione e ne riporta emozioni dal di dentro; l’animale torturato, l’albero sradicato, l’intera Terra inquinata, parlano direttamente attraverso i versi e mandano il loro messaggio di allarme o di dolore. Come scrive la poetessa inglese Helen Moore:
«May Gaia, our Great Mother, speak through me…
may I be a channel, a conduit, for Nature’s words!».
In definitiva l’ecopoeta è il tramite fra comunità umana e mondo naturale; non parla solo della natura, ma parla per la natura. Per farlo, non si mette su un piedistallo a indicare la via da seguire, non fa poesia altisonante e celebrativa, ma poesia semplice, umile come lo sono i soggetti oppressi che parlano attraverso di essa.
«Se ci sarà un paradiso gli animali ci saranno,
perché sono stati màrtiri, perché sono stati schiavi. […]
Se ci sarà un paradiso gli animali ci saranno
perché l’inferno lo hanno già vissuto.
…Se ci sarà un paradiso gli animali ci saranno,
e saranno i primi, perché sono stati gli ultimi… I veri ultimi…
…Se ci sarà un paradiso…».
Inoltre, l’ecopoeta instaurando un nuovo e paritario rapporto con la natura, acquisisce la consapevolezza dei diritti degli altri viventi ai quali riconosce una struttura biologica simile alla nostra. Da qui il dovere etico di non provocare loro sofferenze.
«Grandi, dolci, tristi occhi
d’un ignaro giovane vitello
che mi guardano, spaventati,
dietro lugubri inferriate d’un rimorchio,
in sosta ad un casello. […]
Corse, salti, lieti trotti,
sull’umida trapunta di erbe profumate […]
erba e fango, adesso rinsecchiti, sugli zoccoli feriti
dalle griglie di metallo.
Dolce, caldo, bianco latte […]
che ora cerchi, leccando le inferriate,
colla lingua secca dall’arsura,
inebetito di sete, di fame e di paura
mentre il dolore
ti batte nel cervello.
E poi, quando finalmente,
sospinto da altri sventurati, stordito, vacillante,
arriverai là dove, fredda, sicura, la canna di pistola
si poserà sul pelo nero della fiamma
che hai, al centro della fronte,
allora, in quell’istante, sentirai ancora,
la calda carezza d’amore della ruvida lingua della mamma».
La poesia si apre al mondo – Ma non solo gli animali. Si possono pubblicare dettagliatissimi e allarmanti dati sulla deforestazione oppure…
«Stridono, vibrando, i denti della lama d’acciaio,
e sbranano, ingordi,
il tronco bagnato del maestoso, solenne
ed altissimo Faggio.
Scricchiolando, il fusto si inclina su un lato
e, tentando un ultimo abbraccio,
intreccia i suoi rami coi rami fratelli.
Poi, s’abbatte di schianto, con immenso boato,
facendo tremare la terra
nella grande foresta sgomenta e atterrita
per l’ultimo oltraggio» […].
E immediatamente ci sentiamo alberi, foresta. Viviamo questo dolore come nostro. Com’è giusto che sia perché il destino della terra è anche il nostro destino. Sartre diceva di scrivere a nome degli uomini che non possono farlo. Così fa l’ecopoeta, che, invece di macerarsi sul proprio tormentato io, si apre agli altri esseri viventi dando loro voce. Si libera dall’isolamento delle chiuse culture letterarie erudite e usa una comunicazione poetica semplice e chiara comprensibile a tutte le culture, quindi anche facilmente traducibile per aprirsi al mondo. La poesia riconquista così il suo ruolo di comunicatrice di emozioni collettive.
Link
Per bibliografia e approfondimenti:
http://ecopoems.altervista.org/l%27ecopoesia_e_l%27attuale_crisi_ambientale.htm
I versi citati fanno parte di poesie che si trovano in:
http://ecopoems.altervista.org/
L’immagine: la copertina del libro Ecopoesie nello Spazio-Tempo (Serarcangeli).
Maria Ivana Trevisani Bach
(LucidaMente, anno IV, n. 38, febbraio 2009)