Da una storia vera, un romanzo di Antonella Cosentino ambientato nella Calabria tra Ottocento e Novecento: “Dalla mia finestra si vedeva il mare” (Vertigo Edizioni)
«Dalla mia finestra si vedeva il mare e quando il sole ci si tuffava dentro strizzavo gli occhi, così mi rimanevano tra le ciglia le scaglie luccicanti che sommergevano i tetti bruciati». Questo il sorprendente, poetico incipit – e, con poche modifiche, anche explicit – del riuscito romanzo di Antonella Cosentino Dalla mia finestra si vedeva il mare, da poco pubblicato per Vertigo Edizioni (pp. 96, € 12,90).
È la narrazione della propria vita che la protagonista, Grazia, rievoca in prima persona. Calabrese di nobile famiglia, rimasta incinta sedicenne di un uomo sposato, abbandona la famiglia natia e affronta, nel paese di lui, tutte le immaginabili difficoltà psicologiche e sociali. Il tempo trascorre tra dolori, disagi, malattie, esclusioni, ma anche orgoglio e dignità, un nuovo amore, altri figli, inaspettate e insospettabili solidarietà. Tra parentesi, occorre aggiungere che è realmente esistita la donna dalla cui vicenda esistenziale trae spunto la Cosentino per imbastire il proprio libro. Sullo sfondo, la realtà e il contesto storico (la miseria sociale, la grande emigrazione, il terremoto, la Prima guerra mondiale, l’avvento del fascismo…, mentre lentissimi sono gli auspicabili cambiamenti sociali); così come la bellezza della natura di una delle regioni più selvagge e, quindi, proprio per questo più affascinante («il sapore del vento che proviene dalla montagna, carico di profumi di erbe selvatiche e di terra umida, che spazza iroso l’onda argentea degli ulivi»).
Diciamo subito che l’autrice riesce a evitare tutti i rischi connessi all’argomento e alla situazione narrata: il meridionalismo, il femminismo, il vittimismo, il biografismo, la nostalgia per il bel tempo andato, il paesaggismo, il bozzettismo, e via dicendo. Questo grazie a uno stile raffinato, a un impasto linguistico misurato e colto, a un tono elegiaco elegante e delicato, a intelligenti soluzioni narrative. I 36 brevissimi capitoletti nei quali è diviso il romanzo sono come preziosi scrigni dai quali fuoriesce il soffice mondo interiore della protagonista, unico universo che occupa l’intero libro (mancano i dialoghi – ed è una graditissima originalità, visto che tanti cattivi libri odierni ne sono infarciti). La narrazione, pertanto, è poetica, lirica. Predominano la sensibilità e la pudicizia. Manca l’enfasi, la retorica, l’urlato, anche quando ce li aspetteremmo come naturale conseguenza di alcuni drammatici accadimenti subiti da Grazia.
Ed è appunto la “grazia” la condizione costante della protagonista. Una serenità che non nasce, come ci si potrebbe aspettare, visto il contesto, dal cattolicesimo, presenza costante nel mondo meridionale, particolarmente in quello femminile. Al contrario, in Dalla mia finestra si vedeva il mare la religione risulta pressoché assente. La storia di una donna diventa emblematica e finisce per essere la storia di tutte le donne discriminate, col loro tesoro di passioni amorose, di maternità, di sogni: «Da troppo tempo so che la felicità non è in quello che si ha ma in quello che si è. Una volta a un’ostetrica arrabbiata che sosteneva che le donne sono nate per soffrire dissi che le donne sono nate per amare. E per essere amate, aggiungo ora». Tutto ciò senza che mai la scrittrice sfiori la retorica dell’attuale femminismo bipartisan vittimista, sguaiato e intollerante.
Giocando ancora col nome della protagonista, possiamo concludere che davvero in uno stato di grazia si è trovata la Cosentino nello scrivere la propria opera, una sorta di sorprendente perla letteraria nel mare della banalità e del cattivo italiano che caratterizza le pubblicazioni dell’editoria del Belpaese dei nostri giorni. Un ritorno alla buona letteratura, un libro di esseri umani e di sentimenti, di vite difficili e ritirate, eppure ricchissime di avvenimenti e palpiti interiori, costellazioni luminose e sonore in grado di dilatare le gioie e far gemmare la sterilità del mondo contaminato dal buio del Male e dalle ombre delle convenzioni sociali.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno VIII, n. 89, maggio 2013)