Un libraio e tanti bizzarri personaggi ne “L’odore dei libri” di Vincenzo Caccamo
Un negozio di libri e il suo proprietario, innamorato di letteratura, che all’improvviso scompare, una folla di strampalati e bislacchi personaggi (oltre a Elio, il libraio, il Sognatore, il Maestro-scultore, Gianni, il prof. Z., il segretario comunale Riccardo Meis – sì, come lo pseudonimo del pirandelliano Mattia Pascal – lo psichiatra Savio Gentile, il magistrato Santini Giustizia, e tanti altri), e un mare di dialoghi, discorsi, parole… aventi al centro un’appassionata difesa della cultura, dell’umanità, della spiritualità, in tempi di volgarità e mercificazione di tutto e tutti.
Questo, in sintesi, il canovaccio di un’opera originale e difficile da classificare, tumultuosa e per molti aspetti bizzarra, caratterizzata comunque da un fondo umoristico e da frizzanti trovate narrative e visionarie: L’odore dei libri. Esperimenti di un libraio (Culture, pp. 152, € 18,00), di Vincenzo Caccamo, anche lui proprietario di una libreria, in Reggio Calabria, per cui, in qualche modo, nel personaggio principale del libro si incarna lo stesso autore. Il titolo scaturisce dalla mania del libraio-protagonista – comune del resto a tanti con la passione della lettura – di odorare i libri.
Il libraio: un commerciante o un intellettuale?
A un certo punto la tranquilla vita della libreria, punto di ritrovo dei più svariati personaggi che possono trovarvi la sede adatta per le loro riflessioni, viene stravolta. Entrandovi, si nota, più che dei cambiamenti, una vera e propria rivoluzione, come «la diversa disposizione dei libri sui tavoli: pochi libri nuovi, ma tante copie dei titoli reclamizzati del momento; addirittura un libro, per condizionare il cliente nella scelta, occupava un intero tavolo. Al posto della panchina e delle sedie c’erano ora dei carrelli, i libri venivano continuamente spolverati da due commessi in divisa».
Insomma, il vecchio, dignitoso negozio di libri, è divenuto una sorta di volgare supermarket. E il libraio Elio? Come abbiamo detto all’inizio, sparisce, sostituito da un “direttore” che esordisce così: «Gli affari da qualche anno vanno male. Il signor Elio invece di fare il commerciante s’era messo a fare l’intellettuale. Le due cose, studiando io da sempre materie tecniche, dico con presunzione che sono incompatibili. In-com-pa-ti-bi-li!”».
La società basata sul consumismo come antiumanesimo
La nuova situazione dà lo spunto ai vari personaggi di esporre le loro perplessità e la loro angoscia per la situazione critica della cultura che tutti noi possiamo certamente vedere sotto i nostri occhi: «La gente non fa che prendere a simbolo tutto il kitsch che l’informazione ogni giorno ci passa; ed essendo costretti noi a esistere come morti viventi in quest’epoca di globalizzazione è meglio usare la vita terrena come laboratorio antropologico e cercare contemporaneamente di espiare questa colpa senza farsi contaminare».
I nuovi mezzi di comunicazione hanno distrutto l’antico umanesimo, conducendo la società di massa verso un infelice consumismo e una vita vuota e priva di senso: «Il giornale soppiantò il romanzo, ed, aggiungo io, il cinema e non solo, mentre la radio soppiantò il teatro e il giornale. La televisione soppiantò tutto». «Tutti questi cambiamenti, senza le precauzioni necessarie, hanno reso fragili queste creature; e tanti altri oggetti luccicanti assoggettano facilmente a sé il proprietario e lo rendono schiavo, ignaro e felice, proprio di quella meccanizzazione che fa parte della vita, che vuole esser compensata dalla quantità delle cose, illudendolo di fuggire dalla realtà. […] La tecnologia ti fa vedere la realtà in maniera deformata, si ha un effetto passivo in tutti gli aspetti della vita. Tutti corrono per il puro bisogno di correre; tutti si sentono fratelli, ed il correre diventa un rito, surrogato dalla religione uccisa dalla tecnica. […] La religione del valore assoluto dei nuovi prodotti, spesso solo in apparenza necessari o utili, di cui tutti devono fruire se non vogliono autoescludersi dal consorzio umano, trasformatosi ormai in una collettività monodimensionale di consumatori e globale nel pensiero».
Il grido di dolore di Caccamo
L’angoscia per tale modello sociale disumanizzante e corrotto/corrompente spinge Caccamo a vere e proprie invettive: «È un circolo in cui tutti si illudono di essere felici consumatori per dimenticare che in realtà non sono che infelicissimi produttori di rifiuti!». Il rimpianto per i valori persi sembra non lasciare spiragli alla speranza: «Al diavolo la miserabile frenesia di voler apparire più di quel che si è! È un’autentica catastrofe! La mancanza della conoscenza porta l’essere umano a compensare la vita con la quantità delle cose. La nostra generazione ha un’unica classe sociale e tante madri: la banalità, la volgarità, la violenza, la ricchezza e la superficialità. Esse hanno sepolto e soppiantato la riflessione, la serietà, la saggezza, la povertà e la profondità».
Una piccola “biblioteca universale”
Peraltro, il libro costituisce per Caccamo anche un espediente per parlare, alla Hermann Hesse, in una sorta di nuova Biblioteca della letteratura universale, delle proprie predilezioni letterarie.
L’autore, così, nel corso della narrazione, “rilegge” alcuni immortali classici della letteratura quali Uova fatali e Cuore di cane di Bulgakov, Il fu Mattia Pascal di Pirandello, la trilogia de I nostri antenati di Calvino, La morte di Ivan Il’ič; di Tolstoj, Le notti bianche di Dostoevskij, Bartleby lo scrivano di Melville, Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde di Stevenson, La metamorfosi di Kafka, La passeggiata di Walser… E di ciascuna opera fornisce la propria personale “spiegazione”.
La Storia come macelleria senza senso
Vicende e ragionamenti dei personaggi si susseguono in modo sempre più vivace e surreale, per giungere a un finale che, ovviamente, non riveliamo, ma che si potrebbe definire “palingenetico”.
Ci piace sottolineare la fantasia narrativa e stilistica de L’odore dei libri, che ci ha richiamato alla mente l’affabulazione sfrenata, logorroica dello Zavattini de La veritàaaa, lo spirito clownesco di Palazzeschi o l’inventiva di Pennac. Del resto, come afferma giustamente Caccamo: «In letteratura, le uniche persone reali sono quelle che non sono mai esistite, e se un romanziere è così meschino da tuffarsi nella vita per cercare i suoi personaggi, dovrebbe almeno fingere di averli creati, e non vantarsi di averli copiati».
L’immagine: la copertina del libro di Vincenzo Caccamo.
Rino Tripodi
(Lucidamente, anno V, n. 59, novembre 2010)