L’idea della Human Library, nata nel 2000 in Danimarca, è stata esportata in 70 Paesi nel mondo: la lettura di un testo viene sostituita da un dialogo di circa 30 minuti con chi desidera raccontare la propria storia di emarginazione
Un libro inteso quale storia da ascoltare e non quale insieme di pagine da leggere. È questo il principio secondo cui funziona la cosiddetta “libreria umana”. La Menneskebiblioteket (Human Library, “biblioteca umana”), nata a Copenaghen, ha confermato un’opinione diffusa: un testo non si giudica dalla copertina ma dai contenuti. Analogamente, una persona non si valuta dal primo sguardo ma dalla sua storia.
Un ruolo essenziale, poi, lo gioca l’emozione che scuote e risveglia il nostro animo umano, provocando una sollecitazione fisica che induce a porci delle domande. L’ideatore di questa particolare iniziativa si chiama Ronni Abergel: a séguito della perdita di un amico che è stato pugnalato, egli è diventato un attivista nonviolento. Nel 1988 è diventato cofondatore della Ong Stop The Violence Movement. Tale organizzazione – riconosciuta a livello nazionale per il suo straordinario lavoro con i giovani – è l’embrione della Human Library Organization, fondata nel 2000 insieme a un gruppo di attivisti. Lo scopo è sfidare gli stereotipi allontanando i pregiudizi e favorendo il dialogo. La Human Library apparentemente sembra una biblioteca come tante altre in Danimarca: il “lettore” trova, nel catalogo – un abstract –, il titolo che sintetizza la storia che poi andrà ad ascoltare; non a leggere. Può quindi scegliere, in modo esemplificativo e non esaustivo, fra le seguenti tematiche: “la donna islamica”, “il nudista”, “il ragazzo gay”, “il senzatetto”. Definito il titolo, ha inizio una conversazione – di circa 30 minuti, uno di fronte all’altro – fra il “lettore” e il protagonista della storia.
Non si tratta quindi di un monologo in cui il “primo attore” si racconta esclusivamente, quanto piuttosto di un dialogo che ha lo scopo di favorire la socializzazione e l’abbattimento delle barriere che, spesso, la diffidenza erige senza motivo. Di più: dal 2003 la Human Library ha ottenuto il riconoscimento dal Consiglio d’Europa quale prassi per far subentrare la comprensione all’intolleranza. L’idea è stata considerata vincente; tanto che, negli anni, è stata esportata in ben 70 Paesi in tutto il mondo.
Oggi il progetto – integrato nelle scuole superiori – è stato realizzato, tra le altre, anche in nazioni molto diverse tra loro, quali Ecuador, India, Indonesia, Israele, Mongolia, Pakistan, Perù, Sudafrica e Tunisia. In Italia, dal 2015 è attiva la Human Library Toscana, fra le poche ad aver ottenuto il riconoscimento da parte dell’organizzazione internazionale. Nello Stivale le “biblioteche viventi” sono presenti, fra le varie città, pure a Bergamo, Firenze, Milano, Palermo, Roma, Torino, Treviso e Verona. In esse non si trovano testi cartacei ma “libri viventi”: individui che, consapevoli di essere oggetto di stereotipi e pregiudizi, desiderano narrare la propria esperienza di vita allo scopo di sgretolare il muro che percepiscono fra loro e gli altri. Ascolto e incontro si traducono nel prestito del tempo occorrente per il dialogo: il lettore diviene ascoltatore; il bibliotecario è il mediatore fra catalogo e lettori. Sul sito The Human Library si possono reperire le istruzioni sull’accesso alle varie “biblioteche umane” nonché le modalità di candidatura della propria storia.
Emanuela Susmel
(LucidaMente 3000, anno XVI, n. 189, settembre 2021)