Il prossimo 17 aprile si terrà il referendum sulla durata delle trivellazioni entro 12 chilometri dalla costa. Secondo i promotori, un’occasione per far cambiare rotta al nostro sistema energetico
Il 17 aprile 2016 si svolgerà il referendum per decidere se, alla scadenza delle concessioni, si dovranno sospendere o no le trivellazioni per estrarre gli idrocarburi nei tratti di mare compresi entro 12 miglia dalla costa (22,2 chilometri). In origine i referendum erano sei, proposti da dieci Consigli regionali – Abruzzo (poi ritiratosi), Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna, Veneto – contro il decreto Sblocca Italia, che ha consentito un maggiore sfruttamento dei giacimenti di metano e petrolio e ha tolto alle Regioni parte dei poteri decisionali.
L’8 gennaio scorso, tuttavia, la Corte di Cassazione ha annullato cinque dei sei quesiti referendari, perché la Legge di stabilità del 2016 ne ha accolto parzialmente le richieste. L’unico referendum sul quale voteremo riguarderà la durata di 21 concessioni concernenti le trivellazioni marine, così distribuite in ambito regionale: 7 in Sicilia, 5 in Calabria, 3 in Puglia, 2 in Basilicata, 2 in Emilia-Romagna, 1 nelle Marche, 1 in Veneto. Si chiederà, nello specifico, l’abrogazione dell’articolo 6, comma 17, terzo periodo, del Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, Norme in materia ambientale, che è stato poi modificato dal comma 239 dell’articolo 1 della Legge di stabilità 2016, limitatamente alle seguenti parole: «per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale». La normativa vigente, infatti, consente che le trivellazioni proseguano fino a quando il giacimento non sia completamente esaurito, mentre il referendum propone che esse si concludano appena le concessioni saranno scadute (vedi www.notriv.com).
Affinché sia valida la consultazione, è necessario il raggiungimento del quorum del 50% più uno degli aventi diritto al voto. Il governo Renzi – favorevole all’astensione – non ha voluto accorpare in un unico election day le votazioni del 2016 e c’è il rischio che, anche a causa dello scarso interesse dimostrato dai mass-media, l’affluenza alle urne risulti bassa, il quorum non si raggiunga e l’esito sia invalidato. I promotori della consultazione popolare, quindi, ritengono fondamentale pubblicizzare il più possibile la scadenza del 17 aprile per evitare che, col trucco dell’astensionismo, sia vanificato uno strumento democratico fondamentale come il referendum.
È bene chiarire che, anche in caso di vittoria del “Sì”, continueranno le trivellazioni sulla terraferma e sulle piattaforme marine che si trovino a oltre 12 miglia dal litorale. Tale voto, quindi, riveste soprattutto un valore politico, poiché impegna le scelte in materia energetica che si dovranno compiere in futuro. Secondo i promotori del referendum, infatti, a causa della miopia della classe dirigente, nel Belpaese s’investe poco nel rinnovabile (solare, eolico, ecc…), mentre si continuano a utilizzare senza freni gas e petrolio. Il nostro sistema comporta, da un lato, la dipendenza economica verso gli Stati produttori d’idrocarburi e, dall’altro, forti condizionamenti politici da parte delle lobby petrolifere. Le trivellazioni, inoltre, non possono risolvere i problemi energetici dell’Italia, perché le riserve dei nostri mari equivalgono a sette o otto mesi di consumi, mentre quelle di gas appena a sei mesi. Ci sono, infine, altre gravi questioni indotte dalle trivellazioni, dalla fuoriuscita di greggio dalle piattaforme ai danni alle specie marine prodotte dall’Air gun, la tecnica per l’ispezione dei fondali per mezzo della quale si scarica aria compressa in acqua e si provocano onde a bassa frequenza.
Per sensibilizzare l’opinione pubblica si è costituito il Comitato nazionale Vota Sì, per fermare le trivelle che comprende Adusbef (Associazione difesa utenti servizi bancari e finanziari), Arci (Associazione ricreativa e culturale italiana), il sindacato Fiom-Cgil, Greenpeace, Lav (Lega anti vivisezione), Legambiente, Libera, Lipu (Lega italiana protezione uccelli), Slow food Italia, Touring club italiano, Unione degli studenti, Wwf e altre associazioni ambientaliste. Greenpeace, in particolare, ha recentemente illustrato i danni causati dalle trivellazioni marine, riportando i dati di un monitoraggio effettuato dall’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) per conto dell’Eni, dai quali si evince che i campioni di acqua prelevati vicino alle piattaforme presentano alte concentrazioni di idrocarburi, di metalli pesanti cancerogeni come cromo, nichel, piombo e anche di arsenico, cadmio, mercurio (vedi Antonio Cianciullo, Greenpeace: “Contaminato il mare vicino alle trivellazioni” in www.repubblica.it).
Le immagini: mappa delle trivellazioni marine in Italia (fonte: https://triskel182.wordpress.com); manifesto di Greenpeace a favore del “Sì”.
Giuseppe Licandro
(LucidaMente, anno XI, n. 124, aprile 2016)