Osvaldo Valenti e Luisa Ferida: divi del cinema diventati famosi tra gli anni Trenta e Quaranta, tanto ricchi e conosciuti quanto misteriosi; personaggi non solo nei film, ma, visto il loro temperamento astruso, anche nella vita, stroncata dai partigiani cinque giorni dopo la Liberazione. Una coppia di cui molto si è detto, tanto da divenire oggetto di leggende e racconti fantasiosi. La vera storia di questi due “attori del fascismo” è l’oggetto del volume Gioco perverso. La vera storia di Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, tra Cinecittà e guerra civile (Lindau, pp. 275, € 21,00) di Italo Moscati.
La ricerca di Italo Moscati – Questi, sceneggiatore, regista e scrittore, è stato già autore dei volumi I piccoli Mozart e Sophia Loren. La storia dell’ultima diva, editi da Lindau, e Anna Magnani, Vittorio De Sica, Pasolini passione, editi da Eri-Ediesse. Moscati, imbattutosi nella coppia Valenti-Ferida durante la lavorazione alla serie televisiva Stelle in fiamme (1989), dedicata alle coppie del cinema, rimane affascinato dalla loro storia e dà inizio a una ricerca basata sulla raccolta di testi e testimonianze rilasciate da chi li ha conosciuti personalmente al fine di approfondire la loro biografia e, quando possibile, spiegare episodi enigmatici.
Cinema e fascismo – L’autore descrive la vita dei due divi contestualizzandola nei luoghi del cinema fascista che li hanno visti calcare le scene, vivere momenti difficili e di gioia: Roma, e – dopo che un incendio aveva distrutto Cines, il principale complesso cinematografico italiano fino ad allora – Cinecittà, inaugurata il 21 aprile 1937 alla presenza di Mussolini, che considerava il cinema una preziosa forma di comunicazione; Venezia, “una Cinecittà alternativa”, divenuta il centro cinematografico della Repubblica Sociale Italiana, in cui la coppia si trasferì per continuare le realizzazioni di pellicole in seguito alla caduta del Regime fascista (25 luglio 1943) e all’aggravarsi della guerra; Bologna, luogo che per ben due volte li vide perdere un figlio, dunque particolarmente infausto per la coppia, e infine Milano, città in cui hanno conosciuto la morte.
Luisa Ferida – Moscati, inoltre, presenta la coppia Valenti-Ferida analizzando non solo gli episodi fondamentali della loro vita, ma anche gli aspetti caratteriali, partendo dall’infanzia. Luisa, originaria di Castel San Pietro, tra Bologna e Imola, era una donna bella, ma dal carattere difficile, ribelle, di gran temperamento. A soli nove anni, rimasta orfana di padre, venne mandata dalla madre in collegio dove trascorse otto anni rinchiusa e costretta a recepire insegnamenti in modo severo. Fu proprio tra le mura dell’istituto, tuttavia, che scoprì il teatro e proprio grazie ad una delle suore educatrici. Una volta lasciato il collegio, si introdusse nell’ambiente teatrale (recitò con Ruggero Ruggeri e Paola Borboni) e dopo alcune esperienze esordì sul grande schermo. Fu solo nel 1937 che incontrò Valenti sul set del film che l’ha consacrata al successo, Un’avventura di Salvator Rosa, di Alessandro Blasetti, famoso regista del tempo.
Osvaldo Valenti – Osvaldo Valenti, nato a Istanbul il 17 febbraio 1906 e trasferitosi in Italia con la famiglia nel 1915 a causa dello scoppio della Prima guerra mondiale, era un uomo carismatico e poliglotta. Fin da piccolo era un provocatore, ribelle e spericolato. Dopo aver concluso gli studi in Legge cominciò la sua carriera di attore a Berlino, dove riscosse grande successo. Trasferitosi nuovamente in Italia, continuò la propria vita di attore nella capitale, tra cene in fastose ville private, dosi di cocaina, giochi d’azzardo e amori fugaci. La storia d’amore della Ferida con Osvaldo, tuttavia, all’inizio non fu delle più semplici, in quanto Luisa, nel momento in cui incontrò l’attore, era ancora legata sentimentalmente al produttore Checchino Salvi, di quattordici anni più grande di lei, nel quale aveva trovato una sorta di figura paterna. Ma Salvi si ammalò gravemente e morì nel 1941, dopo essere stato assistito fino all’ultimo dalla Ferida, nonostante le sofferenze, le gelosie e le prevaricazioni alle quali egli sottoponeva la giovane attrice.
L’ambigua adesione alla Repubblica di Salò – I due però non vissero felicemente a lungo in quanto, oltre alla sofferenza causata dalla morte del figlio appena nato, con lo scoppio della Seconda guerra mondiale le difficoltà si fecero sempre maggiori. Valenti, nel tentativo di salvare la propria sorte e quella della compagna, nella primavera del 1944 entrò come tenente nella Decima Mas, corpo militare della Rsi che operava in collaborazione con i tedeschi e che si distinse soprattutto per le spietate operazioni antipartigiane. Il compito di Valenti era quello di procurare mezzi e rifornimenti alla Decima, ruolo che seppe svolgere alla perfezione. Trasferitosi quindi con la Ferida a Milano, l’attore entrò in contatto con Pietro Koch, noto aguzzino e torturatore di partigiani, responsabile di una banda fascista che nel capoluogo lombardo si era impadronita di Villa Triste, abitazione nei pressi dell’ippodromo di San Siro. All’interno della villa erano rinchiusi partigiani catturati dalla polizia fascista che venivano sistematicamente torturati.
La fine – La Ferida e Valenti videro con i propri occhi le prigioni in cui erano rinchiusi i partigiani e le drammatiche condizioni in cui questi versavano. Tali visite suggerirono a Osvaldo un nuovo piano: entrare in contatto con i partigiani per capire veramente chi fossero e se poteva trarne qualche utilità. Il gioco si fece pericoloso: all’improvviso arrivò la notizia che Villa Triste era circondata e che Koch era stato arrestato insieme ad altri suoi complici. L’attore, tentando di avviare delle trattative nella speranza di salvarsi, decise di affidarsi a Nino Pulejo, comandante della Divisione partigiana Matteotti. I partigiani, tuttavia, vista la posizione politica ambigua degli attori, così come la loro frequentazione di quell’ignobile luogo di dolore, li accusarono, seppur senza prove concrete e schiaccianti, di collaborazionismo e di tortura verso i prigionieri di Villa Triste. Fu così che questa volta i due attori non riuscirono a salvarsi e, dopo un processo sommario, la notte del 30 aprile 1945 vennero fucilati a Milano, in via Poliziano. Finiva così la vita e la lunga storia d’amore di due attori, divenuti icona del cinema italiano del periodo bellico degli anni Quaranta, e beniamini di gente semplice, tra cui molti partigiani, come quelli che li uccisero. Finiva così anche il cinema dei “telefoni bianchi”, che Moscati, attraverso la biografia della coppia di divi, ha saputo raccontare con semplicità ma pure con dovizia di particolari.
L’immagine: la copertina del libro di Italo Moscati.
Deborah Muscaritolo
(LucidaMente, anno II, n. 21, settembre 2007)