Belen, I soliti idioti e Celentano, tra ministri, gay e vescovi. Bellissima, però, Simona Atzori
A Sanremo c’è sempre qualcuno che fa arrabbiare qualcun altro. Quest’anno Belen ha fatto arrabbiare alcune donne, I soliti idioti (Francesco Mandelli e Fabrizio Biggio) hanno fatto arrabbiare molti gay, Celentano ha fatto arrabbiare tutti i vescovi. L’immagine della donna, la condizione degli omosessuali, il ruolo della Chiesa, tre temi fondamentali della realtà odierna messi in discussione sul palco dell’Ariston. Alla faccia delle canzonette.
Iniziamo da Belen, il caso più semplice. Non è facile trovare ragioni valide, al di là dell’invidia, per condannare il suo spacco tatuato. Elsa Fornero e Lucia Annunziata si sentono offese e chiamano in causa la dignità delle donne. Difficile però vedere in Belen un oggetto, e non un soggetto consapevole, dotato, oltre che di bellezza fuori del comune, di grande senso dello spettacolo. Orgogliosa del suo corpo, maliziosa ma non volgare, sfrontata quanto basta, Belen dimostra che l’esibizionismo, di certo in lei presente, non è un disvalore, ma solo una delle tante declinazioni dell’eros. Assolta, quindi, perché il fatto non costituisce reato. È vero però che il nudo femminile in tv è abusato, e ciò è indice di sessismo. Auspichiamo quindi, per Sanremo 2013, una maggior presenza di modelli e indossatori, magari non troppo vestiti: nei social network, terreno della vera libertà mediatica, il nudo maschile è sempre più presente. Meglio mostrare la bellezza in tutte le sue forme piuttosto che nasconderla.
Proseguiamo con il caso de I soliti idioti (vedi anche Rino Tripodi, Un film con “I soliti idioti”), accusati di omofobia da Franco Grillini e da molte associazioni omosessuali. Chi conosce bene la loro storia artistica sa che non è così, si tratta piuttosto di umorismo politicamente scorretto. Il duo si ispira a un format inglese, Little Britain, ancora più irriverente, che mette alla berlina ogni categoria sociale: uomini, donne, poveri, ricchi, bambini, prostitute, preti, omosessuali, neri, ebrei, obesi, invalidi. Si accanisce in particolare sulle tipologie più discriminate, non per offenderle ma per sottolineare il buonismo ipocrita con cui spesso ci si relazione ad esse. Una comicità aggressiva, dissacrante, spesso sgradevole, che può non piacere: ma non è omofobia.
Assolti quindi I soliti idioti, ma solo per insufficienza di prove. Anzitutto perché l’esperimento italiano non è all’altezza dell’originale inglese: la comicità del “dinamico duo” gira spesso a vuoto e gli intenti non sempre appaiono chiari. Poi, soprattutto, perché in Italia ci sono ancora troppo pochi diritti e troppa vera omofobia perché gli omosessuali possano apprezzare questo tipo di umorismo. Il politicamente scorretto non può essere pienamente compreso ove non sia ancora consolidato il “corretto”, politico o meno che sia, e la quotidiana lotta per l’affermazione di sé ha un comprensibile effetto negativo sull’autoironia: in Inghilterra i matrimoni gay sono realtà, in Italia non ci sono nemmeno i pacs. Little Italy non è Little Britain.
Veniamo ora alla difesa più difficile, il sermone di Celentano (vedi anche Dario Lodi, Le sparate qualunquiste di Celentano). L’ex “molleggiato” attacca la Chiesa, e fin qui – si fa per dire – tutto bene. Almeno in teoria. Inizia auspicando la chiusura di giornali come Famiglia Cristiana e l’Avvenire. Di tante argomentazioni sacrosante che ci sarebbero, lui sceglie la più discutibile: la negazione della libertà di stampa. E la motivazione appare anch’essa fumosa: questi giornali, e la Chiesa in generale, si occuperebbero troppo della politica e troppo poco del paradiso. Superando gli ostacoli del suo italiano stentato e facendo uno sforzo di interpretazione, si potrebbe essere d’accordo: Celentano invita la Chiesa cattolica a professare la fede senza farne strumento di potere. Una specie di difesa della laicità dello Stato. Ci aspettiamo quindi che, con il suo eloquio un po’ sconnesso ma comunque efficace, espliciti meglio la sua posizione: di che cosa la Chiesa ed i suoi organi di informazione non dovrebbero parlare? Quali aspetti della vita quotidiana non dovrebbero influenzare?
Ascoltiamo, ma non dice nulla di significativo. Continua a sproloquiare di Dio, del paradiso, della speranza. Come mai non approfondisce, non entra nel concreto? Perché non può. Perché è lo stesso Celentano che appoggiò il Papa nell’affermare il non diritto all’aborto delle donne stuprate in Bosnia. Lo stesso Celentano che cantò contro lo sciopero con Chi non lavora non fa l’amore o contro il divorzio con La coppia più bella del mondo. Lo stesso “fine intellettuale” che, nella sua personale contrapposizione bene/male, rock/lento, disse che i gay sono rock, ma i matrimoni gay sono lenti. Lo stesso Celentano contrario all’eutanasia al punto da mettere in discussione persino la donazione di organi da soggetti in morte cerebrale. Perché è più prete dei preti, più politico dei politici, più ipocrita degli ipocriti. Il suo attacco alla Chiesa è del tutto fasullo e strumentale: Famiglia Cristiana e l’Avvenire hanno un solo difetto ai suoi occhi, l’averlo criticato per le modalità della sua presenza a Sanremo. La Chiesa ha un solo difetto ai suoi occhi, non riconoscerlo come unico Dio, o perlomeno suo profeta.
Ma non sono più i tempi del ragazzo della Via Gluck e dei filmati shock sui cuccioli di foca: oggi, nell’epoca di internet, il pubblico è molto meno influenzabile. Sulla rete vediamo di continuo immagini di guerra, di animali uccisi, di bambini malati. Spesso non sono nemmeno vere, e ci si ritrova presi in giro, a indignarsi per un fotomontaggio. Questo ci rende, nel bene e nel male, più critici, tanto che il sermone sanremese di Celentano, nonostante gli alti indici d’ascolto, non ha riscosso gradimento né dai credenti né dagli atei. Ai vescovi poi passerà presto il malumore: si tratta di un litigio fra alleati. Ma Celentano non è assolvibile: chi pretende e ottiene carta bianca di fronte a una platea così importante deve avere in serbo parole memorabili.
Momenti memorabili invece in questo Sanremo ce li ha lasciati Simona Atzori, la ballerina nata senza braccia, la farfalla dalle ali invisibili. Con la sua splendida e appassionata danza, sulle note del violino di David Garrett, ci ha mostrato con i suoi soli movimenti, dopo tanti inutili parole su sesso, gay e Chiesa, cosa sono la bellezza oltre ogni schema, la forza di conservare il proprio baricentro, il coraggio della diversità e la fede incondizionata nella vita.
Viviana Viviani
(LM MAGAZINE n. 22, 14 febbraio 2012, supplemento a LucidaMente, anno VII, n. 74, febbraio 2012)
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