Ridicoli lifting e umilianti pensioni, diminuzione della speranza di vita sana e problematiche “ascese al cielo”
Oggi, fin quando si è considerati bambini? Forse fino a 15 anni? E ragazzi? Trent’anni e oltre. Giovani? Almeno fino a 55 anni. Adulti (forse) lo si diventa verso i 60 anni. Anziani? Dopo gli ottanta. Vecchi? Mai. Tale assurda visione è funzionale a una economia di eterni disoccupati e precari, in cui il momento dell’autonomia (propria casa, propria famiglia, proprie responsabilità) è giocoforza rimandato all’infinito. L’assoluta schizofrenia e alienazione della nostra società è evidente peraltro anche nell’ambito della tematica della terza età.
Da un lato si diffonde un modello consumistico e superficiale di vita longeva, felice, sana, per cui via coi lifting (vedi Quel «vecchio che non piace» affatto a Luis Sepúlveda…) e con l’allontanamento-rimozione di ogni ansia di malattia, decadimento, morte; dall’altro si diffonde e avviene sempre più in anticipo la “medicalizzazione”, vale a dire la somministrazione di terapie continue (spesso con negativi effetti collaterali iatrogeni, cioè malattie causate dall’uso di medicine, che richiedono a loro volta altri farmaci, in una catena senza fine). Da un lato si canta vittoria per l’allungamento della vita media; dall’altro sono preoccupanti i dati secondo i quali, in realtà, la speranza di vita sana si sta progressivamente accorciando. Le pubblicità fanno vedere vecchi benestanti in vacanza in crociere di lusso o esotici paradisi naturali, mentre in verità gli anziani con una pensione troppo bassa persino per mangiare e curarsi costituiscono la maggioranza del loro segmento sociale. Si invita alla prevenzione, ma i tagli alla spesa pubblica e sanitaria sono pesanti a molti “nuovi poveri” ormai non possono curarsi.
Un mondo fondato sul bisogno, sulla disperazione, sull’infelicità. Per i benpensanti, specie in Italia, la vita è salvaguardata all’inizio (no aborto) e alla fine (no eutanasia). Ci si preoccupa di embrioni e macilenti corpi senza coscienza, ma non di chi è giovane, sano, forte, pieno di voglia di vivere e in grado di dare agli altri e al mondo. Nel mezzo del grande fiume senza guado è consentita invece la povertà, lo sfruttamento, la violenza, l’insicurezza sociale. A risentirne è l’idea stessa di dignità umana. In particolare di quella della vecchiaia, costretta a essere prima una caricatura di se stessa, poi uno strazio sostenuto da accanimenti medici senza via d’uscita.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno VIII, n. 87, marzo 2013)