Depositata in Cassazione da Associazione Coscioni, Exit e Uaar una proposta di iniziativa popolare per venire incontro alla volontà di scegliere degli italiani. Eccone il testo
Nel 1998, nel suo libro La morte opportuna. I diritti dei viventi sulla fine della loro vita (pubblicato in Italia da Avverbi edizioni, pp. 288, € 14,00), Jacques Pohier scriveva che «l’eutanasia volontaria non è una scelta tra la vita e la morte, ma una scelta tra due modi di morire».
Da allora è passato quasi un quindicennio e, mentre in tutto il mondo civile – compresi i Paesi a maggioranza cattolica – la questione del fine vita è stata affrontata con mentalità aperta e proposte di legge avanzate, in Italia si è rischiata l’approvazione del retrogrado e famigerato “ddl Calabrò” (vedi in fondo i link agli articoli di LucidaMente sulla tematica). Scampato, vista la fine della legislatura, il pericolo maggiore, lo scorso 21 dicembre, a Roma, presso il Palazzaccio della Cassazione, è stata depositata una proposta di legge di iniziativa popolare avente come oggetto il rifiuto dei trattamenti sanitari e la liceità dell’eutanasia. I promotori sono l’Associazione Luca Coscioni, Exit e l’Uaar (Unione degli ateri e degli agnostici razionalisti). La data non è casuale: infatti, il 20 dicembre 2006 si spense Piergiorgio Welby, a lungo impegnato sulla tematica eutanasia. Punti caratterizzanti della proposta sono l’assoluto rispetto della libertà di scelta del paziente (espressa anche attraverso testamento biologico) e la depenalizzazione dell’eutanasia. Affinché il nuovo Parlamento italiano possa esaminare la proposta presentata, occorre che essa sia sottoscritta da 50.000 firme. Il testo completo della proposta è riprodotto di seguito.
Rifiuto di trattamenti sanitari e liceità dell’eutanasia
Relazione – Ben oltre la metà degli italiani, secondo ogni rilevazione statistica, è a favore dell’eutanasia legale, per poter scegliere, in determinate condizioni, una morte opportuna invece che imposta nella sofferenza. I vertici dei partiti e la stampa nazionale, invece, preferiscono non parlarne. Niente dibattiti su come si muore in Italia, tranne quando alcune storie personali si impongono: Eluana e Beppino Englaro, Giovanni Nuvoli, i leader radicali Luca Coscioni e Piero Welby. Oggi, chi aiuta un malato terminale a morire – magari un genitore o un figlio che implora di porre fine alla sofferenza del proprio caro – rischia molti anni di carcere. Il diritto costituzionale a non essere sottoposti a trattamenti sanitari contro la nostra volontà è costantemente violato, anche solo per paura, o per ignoranza. La conseguenza è il rafforzamento della piaga tanto dell’eutanasia clandestina che dell’accanimento terapeutico. Per rimediare a questa situazione, proponiamo poche regole e chiare, che stabiliscano con precisione come ciascuno possa esigere legalmente il rispetto delle proprie decisioni in materia di trattamenti sanitari, ivi incluso il ricorso all’eutanasia.
Art. 1 – Ogni cittadino può rifiutare l’inizio o la prosecuzione di trattamenti sanitari, nonché ogni tipo di trattamento di sostegno vitale e/o terapia nutrizionale. Il personale sanitario è tenuto a rispettare la volontà del paziente ove essa: 1) provenga da soggetto maggiorenne; 2) provenga da un soggetto che non si trova in condizioni, anche temporanee, di incapacità di intendere e di volere, salvo quanto previsto dal successivo art. 3; 3) sia manifestata inequivocabilmente dall’interessato o, in caso di incapacità sopravvenuta, anche temporanea dello stesso, da persona precedentemente nominata, con atto scritto con firma autenticata dall’ufficiale di anagrafe del comune di residenza o domicilio, “fiduciario per la manifestazione delle volontà di cura”.
Art. 2 – Il personale sanitario che non rispetti la volontà manifestata dai soggetti e nei modi indicati nell’articolo precedente è tenuto, in aggiunta ad ogni altra conseguenza penale o civile ravvisabile nei fatti, al risarcimento del danno, morale e materiale, provocato dal suo comportamento.
Art. 3 – Le disposizioni degli articoli 575, 579, 580 e 593 del codice penale non si applicano al medico e al personale sanitario che abbiano attuato tecniche di eutanasia, provocando la morte del paziente, qualora ricorrano le seguenti condizioni: 1) la richiesta provenga dal paziente, sia attuale e sia inequivocabilmente accertata; 2) il paziente sia maggiorenne; 3) il paziente non si trovi in stato, neppure temporaneo, di incapacità di intendere e di volere,salvo quanto previsto dal successivo art. 4; 4) i parenti entro il secondo grado e il coniuge siano stati informati della richiesta e, con il consenso del paziente, abbiano avuto modo di colloquiare con lo stesso; 5) la richiesta sia motivata dal fatto che il paziente è affetto da una malattia produttiva di gravi sofferenze, inguaribile o con prognosi infausta inferiore a diciotto mesi; 6) il paziente sia stato congruamente ed adeguatamente informato delle sue condizioni e di tutte le possibili alternative terapeutiche e prevedibili sviluppi clinici ed abbia discusso di ciò con il medico; 7) la tecnica di eutanasia rispetti la dignità del paziente e non provochi allo stesso sofferenze fisiche. Il rispetto delle condizioni predette deve essere attestato dal medico per iscritto e confermato dal responsabile della struttura sanitaria ove saranno attuate le tecniche di eutanasia.
Art. 4 – Ogni persona può stilare un atto scritto, con firma autenticata dall’ufficiale di anagrafe del comune di residenza o domicilio, con il quale chiede l’applicazione dell’eutanasia per il caso in cui egli successivamente venga a trovarsi nelle condizioni previste dall’art. 3, comma 5 e sia incapace di intendere e volere o manifestare la propria volontà, nominando contemporaneamente, nel modo indicato dall’art. 1, un fiduciario, perché confermi la richiesta, ricorrendone le condizioni. La richiesta di applicazione dell’eutanasia deve essere chiara e inequivoca e non può essere soggetta a condizioni. Essa deve essere accompagnata, a pena di inammissibilità, da un’autodichiarazione, con la quale il richiedente attesti di essersi adeguatamente documentato in ordine ai profili sanitari, etici ed umani ad essa relativi. Altrettanto chiara ed inequivoca, nonché espressa per iscritto, deve essere la conferma del fiduciario. Ove tali condizioni, unitamente al disposto di cui al precedente art. 3, comma 7 siano rispettate, non si applicano al medico ed al personale sanitario che abbiano attuato tecniche di eutanasia, provocando la morte le paziente, le disposizioni degli articoli 575, 579, 580 e 593.
Ricordiamo che sulle tematiche del fine vita LucidaMente è intervenuta più volte. Ad esempio, con: Quando Martini difese Welby «…e alla fine / ce l’hai fatta, / l’hai liberata, / e quel purosangue d’una puledra / ha saltato gli steccati / e via!» Il testamento biologico? Intanto, fallo on line! “Testamento biologico. Istruzioni per l’uso. Il punto della situazione in Italia e a Bologna” Un 2011 in LiberaUscita “Sospesi tra terra e cielo” Sul testamento biologico un’operazione antidemocratica Corpo, potere, idea, testamento biologico Alla fine, “L’ultimo gesto d’amore” Temi di fine vita: un nuovo metodo Da Luca Coscioni a Eluana Englaro Il dominio del potere su anime e corpi Prepotenza “cattolicista” e carte di autodeterminazione Andarsene con dignitàDa Luca Coscioni a Eluana Englaro
Inoltre, a cura della nostra rivista e dell’associazione LiberaUscita, nel 2007 è stato dato alle stampe Non sono un assassino. Il caso “Welby-Riccio” francese (Prefazione di Mario Riccio, Introduzione di Giancarlo Fornari, inEdition editrice/Collane di LucidaMente, pp. 176, € 15,00) di Frédéric Chaussoy, traduzione di Je ne suis pas un assassin, edito in Francia da Oh! Editions. Per saperne di più: La vicenda di un giovane, della madre e di un medico; “In Francia affetto e simpatia, in Italia…”; “Non sono un assassino”: quando prevale l’umanità; “Occorre rispettare il volere dei malati”; Il caso Humbert e l’anomalia italiana; Video della presentazione in prima nazionale di “Non sono un assassino” di Frédéric Chaussoy.
(r.t.)
(LucidaMente, anno VII, n. 84, dicembre 2012)
Trovo a dir poco confuso l’argomentare di coloro che negano il nostro diritto alla autodeterminazione. Si appellano all’umanità e ne sono assolutamente privi nel perseguire l’elogio del salvifico dolore riconoscendo a questi una naturalità che disconoscono alle azioni tese ad evitarlo.Si scagliano contro la pretesa protervia dell’uomo e della sua scienza, poi vorrebbero che questi rimanga schiavo dello strapotere delle macchine e della condanna alla immortalità vissuta come vuoto involucro privo della dignità del vivere e del relazionare. Chiari accenni alle derive eugenetiche mostrano il valorizzare l’essere umano come incapace di scelte corrette ma anzi prodromiche di un presunto male sempre peggiore, che solo l’adeguarsi a scelte di altri (sempre uomini) insigniti, chissà perché, come portatori di verità può evitare. L’abuso della parola naturale è l’eclatante prova dell’ipocrisia e dell’opportunismo dei ‘nemici’ del nostro diritto ad autodeterminarci.