Atmosfere sospese e oniriche nel nuovissimo, coinvolgente romanzo di Roberto Pazzi (“D’amore non esistono peccati”, Barbera Editore), con alcune “passioni celebri”. L’immaginario ci salverà?
«Che luogo rivelava di essere il Mon repos dalle così severe abitudini, dall’aspetto esterno così aristocratico eppure triste? Si lasciava aprire come un carciofo, dalle foglie più dure e puntute dell’apparenza, all’esterno, a quelle via via sempre più tenere, molli, dolci, fino al cuore dell’Eros. E mi stregava a poco a poco, come nella ragnatela il ragno sa invischiare il volo della mosca curiosa…».(Roberto Pazzi, D’amore non esistono peccati, Siena, Barbera Editore, 2012, p. 74)
Un uomo immemore della propria identità e del proprio passato si ritrova in un lussuoso hotel sul mare – il Mon repos, appunto. Un po’ come l’io narrante de La misteriosa fiamma della regina Loana di Umberto Eco, egli dovrà cercare di recuperare tutto se stesso attraverso re-incontri “culturali”. Solo che, a differenza del protagonista del romanzo dello scrittore piemontese, si troverà proiettato in una realtà misteriosa, sfuggente e onirica; e i suoi contatti non apparterranno alla cultura di massa, ma a quella “alta”. Questa, in sintesi, la vicenda narrata, attraverso una scrittura affascinante e baroccheggiante, da Roberto Pazzi nel suo diciottesimo romanzo, D’amore non esistono peccati (Barbera Editore, pp. 292, € 14,90).
La voce narrante della vicenda ri-conoscerà grandi coppie di “amanti” del passato, quali Abelardo ed Eloisa, Paolo e Francesca, Romeo e Giulietta (che si rivolgono a lui chiamandolo «Mercuzio»), Napoleone e Giuseppina Bonaparte, Oscar Wilde e “Bosie”, Marcel Proust e Alfred Agostinelli, Marguerite Yourcenar e Grace Frick… Amori “normali” e un po’ meno, ma tutti bellissimi, visto che, come affermava Vittorio Sereni (citazione posta a epigrafe del libro): «D’amore non esistono peccati, / s’infuriava un poeta ai tardi anni, / esistono soltanto peccati contro l’amore». E, secondo l’altra epigrafe del volume, citazione proprio di Wilde, «le sole persone reali sono le persone che non sono mai esistite». Ma, come spesso avviene nei sogni, tutto sarà così uguale, eppure così diverso rispetto al reale… fino all’arrivo di una donna, Erica.
L’atmosfera che circonda il personaggio è diafana, evanescente, sospesa. Inizialmente prevale il disorientamento e l’afonia («La memoria a fiotti sgorgava, ma subito cadeva. E l’amnesia mi riacciuffava. Chi era questa creola pensierosa? La mia bocca pronunciava vari nomi senza riuscire a emettere un suono. Tutti i nomi si equivalevano adesso, nella totale afonia. […] Mi veniva un forte sospetto, che la lingua fosse cambiata, che stessi parlando un idioma ormai incomprensibile»). Le prime pagine del romanzo appaiono surreali, straniate, ambiguamente avvolgenti; l’ambiente sfocato e misterioso («Parrebbe un mare solo dipinto, se non fosse per le scaglie di luce che lo frantumano nei mille bagliori di un movimento perpetuo»).
La ri-scoperta del proprio passato è irta di insidie: «Se un uomo ricordasse tutto, ma proprio tutto, non impazzirebbe? Poca ignoranza conserva la vita, troppa coscienza la folgora». Andando avanti, egli – anche attraverso conversazioni apparentemente leggere e mondane, ma coi celebri personaggi cui abbiamo accennato – prenderà contatto con l’ambiente circostante, costituito da natura, oggetti e costumi collocati entro atmosfere retrò descritte in modo ben dettagliato, che fanno pensare a certe sequenze del film Al di là dei sogni (Vincent Ward, 1998), con un effetto di accumulazione. A tale affastellamento via via si accompagna l’accatastarsi di storie e Storia, riviste secondo libere ricostruzioni, tipiche dello scrittore ferrarese.
Questa ulteriore prova narrativa di Pazzi appare colta ma di gradevole lettura, incantevolmente leggera e inquietante, rarefatta e al tempo stesso densa, tra divertissement letterario e scavo esistenziale e psicologico (l’io narrante si chiede spesso quando e come sia giunto in quel posto e conclude affermando che «l’amore chiedeva un’altra metamorfosi»). Tra i tanti messaggi del libro, due sembrano emergere e riguardano la salvezza dell’uomo odierno. Essa appare collocata nel re-incontro con il mondo dell’immaginario e della letteratura, con la speranza di ritrovare se stessi. E nell’amore: l’amore passionale, folle, estremo, fuori da ogni convenzione; anche di quell’«amore che – come scriveva sempre Wilde – non può confessare il suo nome», essendo gli uomini, e stavolta sono parole di Pazzi, «terrorizzati da chi non ripercorre i solchi già aperti dal gregge e ne segue altri». Invece, non esistono peccati d’amore…
Rino Tripodi
(Lucidamente, anno VII, n. 84, dicembre 2012)