Conquistando il secondo posto al Concorso Autori Italiani (Crotone, 2009), il suo primo romanzo (Il mistero dell’ostentazione della vulva, Edarc) lo aveva catapultato nel panorama letterario nazionale. La sua seconda fatica lo consacra definitivamente come una piacevole e interessante rivelazione tra gli scrittori italiani contemporanei: Sergio Grom regala al proprio pubblico Caro De Sica, (La Riflessione Davide Zedda Editore, pp. 260, euro 16,00), un romanzo intenso e leggero allo stesso tempo, costantemente in bilico tra comicità e tormento per i temi sorprendentemente attuali che tratta, seppur con delicatezza.
La trama
Mario De Santis è un maturo traduttore-interprete che ha trovato un certo equilibrio nella Storia e nella Letteratura. L’amore, con tutte le sue paure e le sue contraddizioni, lo lega a Mila Marincovich, giovane, vivace e bellissima pittrice e musicista.
La loro vita di coppia viene messa sottosopra dal ritrovamento, tra le carte del nonno materno di Mario, scrittore, poeta e matematico, di un accenno a un libro da lui scritto, ma mai pubblicato. Esiste questo dattiloscritto? E se esiste, che fine ha fatto? E che fine hanno fatto gli originali della corrispondenza epistolare che lo stesso nonno aveva avuto con Albert Einstein?
La coppia, aiutata quasi in un gioco di specchi da Marco e Lucilla, due sensibili adolescenti in lotta per liberarsi dal “marmo” culturale che li circonda, inizia, tra Roma e Napoli, una appassionante ricerca dei beni perduti, seguendo un sottile “filo di Arianna” lasciato qua e là dal vero e proprio “deus ex machina” di tutta la storia: un’anziana zia perita in circostanze misteriose alcuni anni prima…
Non solo fantasia…
Il complicato viaggio di Mila, Mario, Marco e Lucilla è un percorso di ricerca ma è anche un tragitto attraverso il quale molti argomenti e molte sfumature della vita vengono affrontate. Infatti, quello di Grom è un romanzo trasversale in grado di occuparsi di tematiche delicate, come la mafia, la morte e gli abusi, con ironia e distacco, pur ricordando al lettore che esistono e che, spesso, sono più vicine di quel che pensiamo.
I personaggi stessi sono umoristici e sarcastici e si confrontano con la realtà attuale delle cose, fatta di trasformazioni e contrasti: basta soffermarsi sulle pagine dedicate alla mamma di Mario, che parla utilizzando lo slang giovanile ed esce a cena con le proprie amiche; inoltre sarà inevitabile un sorriso nel leggere i commenti e le frecciatine ironiche rivolte ai personaggi politici; e, ancora, cosa dire dei cugini napoletani del protagonista? Asdrubale e Suntina si esprimono in dialetto stretto e si aggiungono al gruppo per l’ultima fase della loro ricerca movimentando la già intricata storia.
L’arte sopra ogni cosa
Ma il perno fondamentale e irrinunciabile dell’intero romanzo è l’arte in tutte le sue forme. In effetti, da “nipote d’arte” di Mario Viscardini, scrittore e poeta noto nell’ambiente della “scapigliatura” milanese di inizio Novecento, Sergio Grom non poteva, forse per istinto innato, esimersi dal collocare quasi al centro dell’opera la creazione artistica. L’intero romanzo, infatti, è intriso di arte, a partire dalla professione dei protagonisti, fino ad arrivare al motivo concreto che scatena la ricerca: manoscritti e opere letterarie forse scomparse, forse rubate, forse sepolte col defunto antenato. Mila, la protagonista femminile, incarna esattamente le virtù morali che dovrebbero appartenere a un vero artista e attraverso di lei l’autore lancia un messaggio potente, forse troppe volte rimasto inascoltato negli anni.
Verso la conclusione del romanzo la ragazza riesce a realizzare il sogno che insegue e da cui è affascinata da tempo, cioè entrare nei campi rom e insegnare ai giovani a credere nel proprio talento. Successivamente Mila e i suoi ragazzi riescono a esibirsi al teatro Eliseo e, al termine dello spettacolo musicale, la pittrice annuncia: «Io continuerò a suonare e ad esporre le mie opere… per chi mi vorrà sentire e vedere nelle fabbriche, nelle scuole, nelle piazze, nei teatri che si impegneranno a tenere bassi i prezzi di ingresso, a restituire la musica alla gente, a tutta la gente, alla gente normale, alle famiglie, a chi non va a teatro solo per poter esibire l’abito buono, ma che ci va vestito come va vestito tutti i giorni. La musica, l’arte non devono essere solo per pochi privilegiati, ma per tutti quelli che vogliono goderne. E soprattutto, poi, io suonerò per e con i miei bambini… la mia giovane orchestra tzigana…».
L’immagine: la copertina del libro di Sergio Grom.
Jessica Ingrami
(LM EXTRA n. 21, 15 giugno 2010, supplemento a LucidaMente, anno V, n. 54, giugno 2010)