“Maremuto blues” (Giovane Holden Edizioni) di Luigi Pagano
«Il pluridecorato generale de Gullé, lucido stratega e ferreo comandante, di ritorno da una carnefìcina nella lontana Africa, in nome della Santa Regina – Dio la salvi! – venne sconfìtto da un invisibile male annidatosi tra le pieghe oscure del cervello, lasciando una moglie senza fìgli, e da quel giorno anche senza marito. Rosa de Galvi, la vedova, ripudiò l’eredità, a suo dire troppo sporca del sangue degli indigeni africani, e lasciò duemila acri di terra, una villa di centoventi metri quadrati, diciotto cavalli, otto mucche, cinque pecore, due cani e qualche altro animale brado, ai suoi tre inservienti e a un maggiordomo di nome Harold. Viaggiò per l’Europa intera prima di fermarsi in un paesino del Baden-Württemberg in Germania, dove prese in gestione una locanda nei pressi del lago Maremuto. La chiamò locanda delle Houen. Dopo due anni, Rosa de Galvi ne aveva fìn sopra i capelli di quel posto: immobile, si direbbe. Era diventato ormai una meta di pellegrinaggio per uomini vinti da un destino ostile: giungevano in quel luogo laico di attesa e silenzio con la speranza di trovare riparo e calore. Riparo e calore che Rosa de Galvi era ben lieta di offrire. Il tempo, intanto, scivolava muto e Rosa de Galvi era sempre avvolta da un velo bigio di malinconia.Così alla fìne decise: sarebbe andata via da quel posto. Molto prima di quando si pensasse».
(Luigi Pagano, Prologo, in Maremuto blues, Giovane Holden Edizioni, p. 9)
Questo il fascinoso incipit di un romanzo che narra, con linguaggio lineare e sognante, le storie intrecciate di alcune anime infelici che, per varie ragioni, non hanno vissuto pienamente la propria vita. Stiamo parlando di Maremuto blues (Giovane Holden Edizioni, pp. 82, € 12,00) di Luigi Pagano, vincitore della terza edizione del Premio letterario Giovane Holden.
Maremuto è «un immenso, enorme lago, una tavola immobile d’acqua bigia», in un luogo fuori dal tempo, dove «il cielo è un eterno crepuscolo». Alla locanda di Houen, a Maremuto, arriva chi ha subito una perdita troppo grande, chi si è abbandonato alla rabbia e alla violenza, chi ha perso l’appuntamento con l’amore: insieme, in una dimensione surreale, i protagonisti ritrovano la speranza.
Qualcuno di loro potrebbe stare a proprio agio in un romanzo di Kerouac; ad esempio Hector, che «regala canzoni alle ragazze che vuole conquistare. Canzoni d’altri, regala. Non sa nulla di scale, modi e note, ma ne percepisce il feeling che esse trasmettono». E gli stilemi, l’ambientazione e l’atmosfera possono invece richiamare alla memoria Oceano mare di Baricco. Ma non per questo il romanzo perde di originalità, anzi l’autore riesce in meno di cento pagine a coinvolgere il lettore in un mosaico affascinante che lentamente si ricompone, fino al poetico finale.
Nel romanzo la musica è palpabile, emerge attraverso le parole, è un blues struggente interrotto da assoli rock che sembra accompagnare in sottofondo la lettura, gli spazi anche fisici tra i paragrafi sono come lunghi silenzi, in questo libro che è anche da ascoltare.
L’immagine: la copertina di Maremuto blues.
Viviana Viviani
(LucidaMente, anno VI, n. 69, settembre 2011)