Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha approvato il corridoio autostradale, ma i rischi per la biodiversità sono altissimi. Secondo le associazioni ambientaliste, «le procedure non rispettano la direttiva Habitat»
La procedura autorizzativa del corridoio autostradale Tirreno-Brennero (Ti-Bre) non rispetta le prescrizioni della Direttiva comunitaria Habitat a tutela della rete Natura 2000 e della biodiversità. Questa la denuncia, raccolta in un corposo dossier che sta per essere inviato alla Commissione europea, fatta dalle associazioni Legambiente, Lipu-BirdLife Italia e Wwf Italia.
L’analisi fornita alla Commissione europea dalle tre associazioni si concentra sul progetto esecutivo del primo lotto dell’opera, che ha appena ottenuto l’approvazione da parte del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e che darà il via libera ai lavori nei prossimi mesi. Il primo lotto collegherà nel Parmense la località Fontevivo, a 2,5 chilometri dall’intersezione tra l’A1 e la A15, con quella di Trecasali, interrompendosi dunque dopo soli 10 chilometri nel bel mezzo della pianura padana, senza centrare, paradossalmente, l’obiettivo più importante: collegare l’Autocisa con l’autostrada del Brennero. Ma è anche l’impostazione complessiva dell’opera a essere completamente anacronistica – sottolineano le associazioni.
Mentre tutti i Paesi d’Oltralpe potenziano il ferro e i valichi su rotaia per ridurre inquinamento ed emissioni, l’Italia pensa ancora di collegare il porto ligure al Brennero con un’autostrada; stravolgendo peraltro il cuore dell’agroalimentare di qualità dell’Emilia-Romagna. Un’opera, il primo lotto, che, oltre a essere largamente incompleta (e dunque già inutile di per sé), impatterà in modo grave sulla biodiversità del territorio interessato, dove si trovano due siti della rete Natura 2000 (i Sic-Zps “Area delle risorgive di Viarolo, bacini di Torrile, Golena del Po” e “Basso Taro”), formati da ambienti tipici della pianura padana come zone umide, filari e prati stabili.
Habitat particolarmente ricchi di specie come, tra le altre, il falco cuculo (con la più importante colonia italiana, totalmente ignorata negli studi di incidenza del progetto) e altre numerose specie nidificanti di uccelli di interesse comunitario e tipiche degli ambienti agricoli, nonché altre specie minacciate tra pesci (come la cheppia, che rischia l’estinzione), rettili e anfibi. L’opera distruggerà anche un prato stabile, un ambiente ormai raro in tutta la pianura padana. Pertanto, Legambiente, Lipu e Wwf denunciano superficialità, approssimazione e scarsa evidenza pubblica dei tre studi di incidenza (limitati peraltro alla fase di “screening”) elaborati ben 11 anni fa, nel 2005, e da allora mai aggiornati.
Tali studi non riportano, per esempio, gli impatti sulla fauna e sugli habitat, ignorano gli impatti cumulativi e, di conseguenza, sottostimano le numerose incidenze dell’opera sui siti Natura 2000. Lacune gravissime, in chiara violazione dell’articolo 6, paragrafi 3 e 4, della Direttiva Habitat 92/43/CEE, alla luce anche della procedura “Eu Pilot” (6730/14/Envi) aperta due anni dalla Commissione europea proprio in merito al non rispetto della Valutazione di incidenza in Italia. «Le autorità competenti – scrivono Legambiente, Lipu e Wwf– avrebbero dovuto quantomeno chiedere che venissero redatte nuove Valutazioni di incidenza, se non dare già da subito parere negativo all’attraversamento dei siti Natura 2000 da parte di un’opera di tale entità senza le appropriate misure di mitigazione e, se del caso, misure di compensazione».
(n.m.)
(LucidaMente, anno XI, n. 128, agosto 2016)