Per Mauro Stegagno la guarigione passa «come un miele dolce nel cuore del paziente»
«Nasce insieme con quello della medicina, come strada per contribuire a migliorare lo stato di benessere delle persone. Già durante gli anni universitari mi sono accorto della necessità di fornire risposte più adeguate e ho cercato di trovare un metodo che potesse consentire l’utilizzo di strumenti più adatti nelle diverse fasi del disagio di un individuo».
«Per avere una maggiore percentuale di successo bisogna cercare di abbracciare diverse proposte terapeutiche che si devono adattare alla persona che soffre, non viceversa. L’avvicinamento alla realtà diventa fondamentale per prevenire e curare le malattie, soprattutto se si pensa che gran parte dei nostri problemi, sia esistenziali che di salute, partono dall’aspetto mentale ed emozionale. L’altro non è per noi qualcosa di negativo ma tutto ciò che leggiamo come aggressione è una nostra cattiva interpretazione dell’ambiente che ci circonda. Quindi io non distinguo più tra medicina convenzionale e non convenzionale ma parlo di medicina, di atteggiamento medico in senso olistico (vale a dire che si punta sulla persona e non sulla malattia, sulla causa e non sul sintomo, sul riequilibrio invece che sulla cura [ndr])».
Quali sono i guru che l’hanno ispirata in questo senso?
«Se riusciamo con le arti marziali a prendere le energie negative, assorbirle, metabolizzarle e, non opponendoci con la forza, a restituirle, possiamo far sì che queste non ci danneggino. Nel mio percorso ho affrontato anche il discorso nutrizionale, oltre che strutturale (“siamo quello che mangiamo”), seguendo in parte, non completamente, le orme di Ryke Geerd Hamer (medico, internista, impegnato alla clinica universitaria di Tübingen in Germania che si occupa, quale primario in ginecologia, di molti malati di cancro [ndr])».
Quanto peso hanno effetto placebo e nocebo sulla medicina tradizionale e soprattutto nella medicina non convenzionale, sia che si tratti di un consiglio, di un conforto, sia di un atto chirurgico?
«Il terapeuta non deve sostituire le proprie armi per trattare i disagi delle persone ma aggiungere frecce al proprio arco, perché il processo di salute è un processo alchemico: un continuo avvicendarsi corretto di vita e di morte (pensiamo alle cellule del sangue o della pelle). Per sostenere questo discorso, una ricerca fatta con placebo è quanto di più aleatorio ci possa essere: i risultati non sono scientifici perché strettamente legati alla relazione medico-ricercatore-paziente (cioè fortemente influenzati da una serie di variabili soggettive quali la personalità e l’atteggiamento del medico nonché le aspettative del paziente [ndr]). Il placebo non ha una sua azione ed è presente in qualunque tipo di ricerca, in qualunque tipo di effetto, ovunque ci sia interazione tra due persone; è quindi una condizione inamovibile».
Ci parli dell’associazione Amika di cui lei è presidente: di cosa si occupa e cosa offre ai suoi utenti?
«Per portare avanti la formazione dei medici e dei non medici e l’informazione alla gente sul corretto uso delle possibilità per la loro salute, undici anni fa, nel 1998, ho fondato Amika. L’associazione si basa sulla kinesiologia come metodica e diagnostica trasversale perché abbraccia tutti i campi della medicina. Si occupa del famoso triangolo della salute, cioè del lato psichico, biochimico e strutturale che sono strettamente interconnessi tra loro. Si spazia dai fiori di Bach ai rimedi omeopatici, dall’immagine e il significato degli archetipi, con tutta la simbologia che vi sta dietro, al concetto del rapporto interpersonale, quindi tutta la parte di psicologia applicata alla parte strutturale, biochimica, biologica, nutrizionale. Amika si pone come associazione che vuole portare alla conoscenza attraverso una tendenza più consapevole, come anche nella scelta “mi vaccino sì, oppure no”».
Rispetto al passato, oggi in Italia si parla sempre più di medicina non convenzionale, anche se pare che i medici tradizionali abbiano tutte le risposte. Eppure, non le trova paradossalmente riduttive in contesti istituzionali come università, ospedali, centri di ricerca?
«L’approccio alla medicina ufficiale induce il medico a lavorare per algoritmi e protocolli, quindi, paradossalmente, la visita non serve più a nulla rispetto al dato di laboratorio, chimico, ecografico, o alla tac. Si snatura il rapporto che, al contrario, nella semeiotica della medicina naturale mette l’uomo e quindi il malato, non la malattia, al centro dell’attenzione. Spesso molte patologie, come dolori o tachicardie, nascono da uno stress emozionale. Il segreto è indagare nella vita della persona, identificare il perché della malattia, che cosa l’ha generata, ma anche prevedere il background emozionale, socioculturale, economico. L’organismo col suo linguaggio comunica un messaggio attraverso il tipo di disturbo: qui sta il significato simbolico della malattia. La visione deve essere veramente globale e occorre che il medico abbia una preparazione olistica internistica, adotti cioè un trattamento che abbracci sempre in modo globale la persona per essere in grado di fornire la risposta adatta, con una flessibilità reciproca medico-paziente».
Quanto è importante, quindi, la formazione in quest’ambito affinché il modo di agire sia attento, completo e meticoloso e pertanto ci si possa affidare a specialisti con competenze specifiche?
«La formazione diventa estremamente importante anche per poter informare le persone e lasciarle libere di scegliere ciò che ritengono più giusto. Nell’ambito di questa concezione di medicina, del concetto della pratica orientale e della trasformazione delle energie, nasce l’utilizzazione delle arti marziali, soprattutto cinesi. Quindi la pratica del qi gong e del tai chi sono particolarmente adatte per la gestione della propria salute e ben si prestano al processo alchemico di crescita interna, di miglioramento fisico ma anche psicologico».
Quali sono le discipline e le pratiche di sua competenza?
«La medicina cinese come l’agopuntura e pratiche orientali come il massaggio, il tai chi, l’omeopatia e alcune tecniche diagnostiche che mi aiutano nella terapia soprattutto a individuare quali sono gli interventi più adatti nel trattare specifiche patologie. Una metodologia diagnostica e in parte terapeutica che utilizzo, si basa su tecniche di kinesiologia applicate, sistema che valuta gli aspetti strutturali, chimici e mentali della salute. (Una delle più nuove e più interessanti forme di medicina non convenzionale, in quanto riesce grazie al suo approccio molto delicato ed ecologico a riorganizzare la persona in base al proprio specifico disagio [ndr])».
Che cos’è il tai chi medico e qual è l’orientamento alla prevenzione che la vostra scuola segue grazie a questa disciplina?
«Non possiamo migliorare la nostra vita e la nostra salute se prescindiamo da un aspetto e da un percorso spirituale. Il tai chi medico è una forma di pratica e di ginnastica cinese, con diversi stili e forme. In particolare, nella nostra scuola, “La via dei dieci passi e delle sette porte”, abbiamo acquisito il tai chi del dottor Pol Lam, un medico cinese-australiano campione mondiale di tai chi negli anni ’90, che insieme a un equipe di esperti ha messo a punto una serie di sequenze, di movimenti e di forme specifiche per certe patologie. C’è quindi il tai chi per l’osteoporosi, per l’artrite, quello cardiovascolare, per la postura, per la prevenzione delle cadute, etc.».
Una scuola che offre antichi insegnamenti e diverse discipline. Qual è l’idea fondatrice e come spiega la corrente filosofica applicata alle arti marziali?
«Abbinando al tai chi alcune parti come il qi gong, da cui il tai chi deriva, soprattutto quello di stile sun e alcune pratiche di meditazione e di visualizzazione riprese dalle lezioni del maestro Li Xiao Ming (direttore del Centro di ricerche di qi gong dell’Università di Pechino), intrecciando i saperi e gli insegnamenti di questi due maestri, abbiamo fondato la nostra scuola che porta avanti questa pratica del tai chi, del modo di muoversi, di respirare, ma soprattutto del modo di vivere e di essere. Qi gong deriva da qi, energia, e gong, lavoro costante e determinato. Infatti l’ideogramma del gong è rappresentato da un aratro e dal tendine di un muscolo, quindi esso rappresenta l’impegno costante per il rafforzamento dell’energia, del proprio qi, della propria salute. Il qi gong non è una pratica di per sé, non è un movimento, ma applicato alle arti marziali ha dato origine al tai chi chuan o al kun fu ju nelle tecniche di difesa. Ma il qi gong è questa pratica costante, una forza di volontà, un’energia interna che diventa fondamentale, per cui si riesce ad arrivare a dei livelli di salute e di equilibrio emozionale invidiabili».
Che rapporto c’è tra medico e paziente? E lo dico in senso positivo: già considerare il paziente in quanto persona non può influire tanto quanto i fiori di Bach?
«La grande terapia è il rapporto medico-paziente. Se si riescono a creare le condizioni per un rapporto giusto, l’intenzione terapeutica può accarezzare e trasferirsi come un miele dolce nel cuore del paziente. Una medicina così praticata diventa medicina dell’uomo: il medico impara dal paziente e viceversa. Questo processo di armonizzazione e di feeling che passa necessariamente attraverso il cuore è la grande pietra filosofale, utilizzata dagli alchimisti per trasformare il piombo in oro».
Per informazioni in rete:
• http://www.medamika.com/ita/index.htm
• http://www.taichiforbetterhealth.it/
L’immagine: Mauro Stegagno.
Viviana Dasara
(LucidaMente, anno V, n. 49, gennaio 2010)