In un proprio documentato libro autoprodotto, i cattolici Aurelio Pace e Carlo Di Pietro denunciano il tentativo di imporre una nuova ideologia “politically correct”
Maltrattando i celeberrimi versi di Metastasio, potremmo affermare «che ci sia nessun lo dice, dove sia qualcun lo sa»… Stiamo parlando della ineffabile “teoria gender”, i cui “canoni” cercheremo tra breve di far comprendere al lettore. Sembra invece che la conoscano – e bene – Aurelio Pace e Carlo Di Pietro, i quali si son presi la briga di investire tempo per scrivere e denaro per autopubblicare il loro documentatissimo e non trascurabile volumetto.
Il titolo del libro (260 pagine, 22 capitoli, 2 appendici, quasi 300 note e un centinaio tra foto, immagini e documenti) è Gender. Ascesa e dittatura della teoria “che non esiste”. Ulteriore sottotitolo: La storia, l’evoluzione, i dati, la verità. Gli autori sono due quarantenni di Potenza, fieramente cattolici, appassionati, ma che tengono a ribadire – e lo fanno di continuo nella loro opera – di essere tolleranti e rispettosi nei riguardi della cosiddetta comunità Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali, transgender), oggi forse divenuta Lgbtqi (con aggiunta di queer – “gli indefiniti” – e intersessuali), e dei suoi diritti. Pace è consigliere regionale in Lucania. Di Pietro è giornalista. Un punto di svolta nelle loro vite è fornito dalla mozione presentata al Consiglio regionale della Basilicata il 21 luglio 2015 e approvata con voto trasversale.
In sintesi, tale mozione impegna la giunta regionale affinché nelle scuole lucane non sia introdotta «la “teoria del gender”», si diffonda l’articolo 29 della Costituzione che riconosce la «famiglia come società naturale fondata sul matrimonio», «si educhi a riconoscere il valore e la bellezza della differenza sessuale», «si educhi al rispetto del corpo altrui ed al rispetto dei tempi della propria maturazione sessuale ed affettiva». Tale mozione ha suscitato molte polemiche, soprattutto nella parte riguardante la teoria gender, che, secondo taluni, è un’invenzione tesa a scatenare l’intolleranza verso i “diversi”, altrimenti definita, con temine di moda, “omofobia”.
Pace e Di Pietro, pertanto, hanno scelto di difendersi e contrattaccare col loro volume. E noi, come affermava Confucio, riteniamo che non esista libro che non valga la pena di essere letto e dal quale non si possa imparare qualcosa. I due autori, a volte con qualche ripetizione, affermano che: la teoria gender esiste, eccome!, ben consolidata; molteplici sono state le devastazioni umane, psicologiche, culturali, laddove tale pensiero ha preso piede (ad esempio, il caso di Bruce Rainer, finito suicida); è costante l’aggressione – anche nei confronti di omosessuali – verso chi la pensa diversamente (casi Povia e Luca Di Tolve, Dolce e Gabbana, Guido Barilla, Iva Zanicchi, Pippo Franco, ecc.): l’insulto più lieve è quello di “oscurantista”, mentre, al contempo, si viene associati a… nazismo o antisemitismo; è in atto un indottrinamento riguardante il linguaggio, quindi un controllo, al limite della censura, di stampa e informazione (e, come affermava George Orwell, chi controlla il linguaggio, detiene automaticamente il potere).
Altre argomentazioni ruotano sulle tesi che: l’adozione di bimbi da parte dei coppie omosessuali è poco auspicabile, così come la “procreazione assistita” (vedi Genitori legittimi o a ogni costo?); la scienza non condivide l’ideologia gender; in Italia sono già in atto in molte scuole, dietro sollecitazione dello stesso Ministero dell’Istruzione, progetti e interventi di educazione sessuale basati sulla teoria “di genere” (vengono riportati circa 50 esempi); l’odio contro omosessuali e “diversi” non fa parte del cattolicesimo, ma dei totalitarismi quali nazismo e comunismo (vengono citati episodi di intolleranza, se non di sterminio, da parte di Stalin, Fidel Castro, Che Guevara, in Cina e Albania, per non dire del Partito comunista italiano; e i due saggisti accennano appena all’islam antico e odierno…); che le discriminazioni verso persone omosessuali in Italia sono poche decine all’anno e che il Belpaese, al riguardo, è uno dei più tolleranti al mondo.
Ma torniamo al punto di partenza, che, in effetti, è quello centrale: cos’è la teoria gender. Per farla breve – chi vuole approfondire può leggere il volume –, secondo tale dottrina non importa il sesso (sex), ma il “genere” (gender), che non è fissato una volta per sempre, ma è frutto delle spinte e costruzioni sociali, culturali, interiori, ecc. Addirittura esisterebbe una «fluidità di genere» (gender fluid), per cui la propria identità resta “liquida” durante tutta l’esistenza. E i “generi” sono decine… Tale teoria gender non è dimostrata scientificamente, ma, piuttosto, fa parte di un insieme di elaborazioni teoriche piuttosto discutibili che scaturiscono dal femminismo e dalle ideologie “trasgressive” e pervengono all’attuale dittatura del “politicamente corretto” (vedi Pensiero unico correct: una risata lo seppellirà?). Essa, col pretesto del «rispetto e dell’accoglienza del diverso», va diffusa e introdotta nelle scuole, coinvolgendo i bambini fin dalla primissima età, anche con pratiche quali lo scambio maschile/femminile di vestiti, giocattoli, ruoli. La macchina “didattico-pedagogica” non è mossa da poche decine di associazioni e militanti, ma da organi dell’Onu, dell’Unione europea, del Consiglio d’Europa, del governo italiano, fino ad arrivare all’invadente Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazione) con la sua Strategia Nazionale per la prevenzione ed il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere.
In conclusione, che dire? Pace e Di Pietro saranno anche poco aperti verso una sessualità libera e “trasgressiva” [vedi Niente sesso, siam italiani (e bolognesi)]: ma gliene vogliamo fare una colpa? Come sanno i lettori, la nostra personale posizione è quella libertaria: lasciamo che le persone possano godere della massima libertà di pensare e scegliere. Senza imposizioni. Il fatto che per secoli vi siano state categorie discriminate, se non perseguitate, non costituisce un merito e non dà loro il diritto di “rifarsi” con analoga violenza, se non altro ideologica. Non è lodevole sostituire dottrine e totalitarismi nuovi a quelli vecchi, né migliora la situazione (vedi I tanti, troppi pregiudizi dei “progressisti” bigotti). Potremmo anche fare una concessione e arrivare, col tempo, alla conclusione che la teoria gender sia giusta, vera, scientifica. Ma perché volerla imporre, censurando le altre voci? Mai nessuna dittatura, pertanto. Neanche di “teorie”. Nessun dogma, da qualsiasi parte esso provenga. E nessun dorma.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno XI, n. 124, aprile 2016)