Cinquantamila persone hanno preso parte alla Marcia Perugia-Assisi, onerosissime le spese militari sul Pil italiano, ma il governo acquista altre sofisticate armi
Cinquantamila sono stati, secondo gli organizzatori, i partecipanti alla 19ª Marcia per la pace Perugia-Assisi, che si è svolta domenica 25 settembre. Tra le richieste avanzate dal corteo pacifista c’è stata quella di ridurre le onerose spese militari sostenute dalle aziende e dallo Stato italiani: infatti, l’1,7% del nostro Pil è impiegato per armare e addestrare l’esercito, mentre alla ricerca e allo sviluppo viene destinato solo lo 0,5% (il Belpaese è agli ultimi posti tra i membri dell’Ocse per gli investimenti in questi due cruciali settori). Il ministro della Difesa, Ignazio Larussa, ha annunciato nei mesi scorsi che nel corso del 2011 saranno tagliati 300 milioni di euro nel budget di spesa dell’esercito. I tagli, tuttavia, riguarderanno soprattutto il carburante, la manutenzione, i ricambi e l’addestramento del personale, mentre non sembra intenzione del governo ridurre le commesse per l’acquisto di nuove armi.
L’Italia è il secondo stato al mondo per la produzione di armi leggere e l’ottavo per le spese complessive della difesa militare, con circa 24 miliardi di euro che verranno erogati nel 2011. Come denunciato da Massimo Paolicelli e Francesco Vignarca nel libro Il caro armato (Altraeconomia), nei prossimi anni sono in preventivo gli acquisti dei seguenti nuovi armamenti: 1,4 miliardi per i sistemi d’arma della portaerei Cavour, 13 miliardi per l’acquisto di 135 caccia “invisibili” F-35, 5 miliardi per i cacciabombardieri Joint Strike Fighter , 4 miliardi per 100 nuovi elicotteri militari, 5,7 miliardi per 10 fregate Freem, 1 miliardo per 2 sommergibili e 12 miliardi per l’acquisto di sistemi digitali per l’esercito.
190.000 circa sono i soldati professionisti attualmente arruolati nell’esercito italiano e tra di loro è elevato il numero dei graduati: 600 generali e ammiragli, 2.660 colonnelli e decine di migliaia di ufficiali. Ricordiamo, inoltre, che la prima banca italiana, la Intesa San Paolo, è recentemente entrata a far parte del cartello di imprese che hanno erogato ingenti prestiti alla Lockheed Martin, azienda leader nella produzione di cluster bombs, le micidiali “bombe a grappolo”. Una cospicua riduzione, sostanziale e non meramente formale, delle spese militari (pubbliche e private) si pone con estrema urgenza e resta sempre attuale l’appello a suo tempo lanciato da Sandro Pertini, indimenticabile ex presidente della Repubblica, che nel 1978 ebbe a dire: «Svuotiamo gli arsenali e riempiamo i granai!».
Le immagini: lo stemma e la bandiera del movimento pacifista.
Giuseppe Licandro
(LucidaMente, anno VI, n. 70, ottobre 2011)
Mi piacerebbe sapere con certezza, in merito all’articolo “Svuotiamo gli arsenali e riempiamo i granai” se la banca è o non è la banca del Vaticano.
Mi occorre questa precisazione per alcune mie considerazioni.
Grazie
Gentile sig. Sordini,
colgo l’occasione per chiarire che la banca Intesa Sanpaolo è nata dalla fusione nel 2007 tra Banca Intesa e Sanpaolo Imi. Quest’ultimo istituto di credito aveva come azionista di maggioranza la Compagnia di San Paolo di Torino, una fondazione bancaria che risale al Cinquecento e che, pur essendo d’ispirazione cattolica, non ha niente a che fare con la Compagnia di San Paolo di Roma, l’istituto secolare pontificio nato nel 1920, che si occupa di assistenza, apostolato e attività di stampa. A quanto mi risulta, quindi, l’Intesa Sanpaolo non è una banca vaticana.
Cordiali Saluti
Giuseppe Licandro