La colta “Prefazione” di Giorgio Frabasile a “Viaggi inattesi” (Edizioni Amande) di Giovanni Nebuloni
Ci siamo già occupati di Viaggi inattesi (Edizioni Amande, pp. 210, € 14,00), sesto, avvolgente, labirintico, vertiginoso romanzo di Giovanni Nebuloni, fornendone un assaggio («…i luoghi dove più si addensava l’energia dell’universo»). Stavolta offriamo al lettore per intero la colta Prefazione al libro di Giorgio Frabasile, che si sofferma soprattutto sulla poetica del Fact-Finding Writing, con una sorprendente ricchezza di citazioni.
Con un romanzo come questo, il lettore intende, consciamente o no, entrare in un altro ambiente, costruire da sé un castello lasciandosi guidare dalla struttura narrativa, o trascorrere qualche ora spensierata, oppure conoscere. Analogamente, lo scrittore riporta in forma più o meno bella eventi reali, accadimenti contemporanei, come per esempio faceva Truman Capote o come accade per un giornalista che romanza fatti di cronaca. Oppure, può pescare nella storia come faceva Alessandro Manzoni. Lo scrittore può essere anche un manierista che cerca di scrivere best-seller soltanto per vendere, anche se Michael Chricton diceva: «Potrei inventare con facilità un libro per entusiasmare i critici, entusiasmare milioni di persone invece è difficile». Lo scrittore può riversare sulle pagine – cartacee o digitali e per l’autore non c’è differenza – i propri sentimenti o le emozioni, o liberare la sua fantasia per una produzione che, magari, trova giustificazione soltanto in se stessa.
Come il lettore, anche lo scrittore può scrivere allo scopo di conoscere, e questo è ciò che esattamente fa Giovanni Nebuloni, con la sua Fact-Finding Writing, la scrittura conoscitiva, o scrivere per conoscere. L’idea di questo nuovo approccio, di questa corrente letteraria, sorse in lui con l’Eureka di Edgar Allan Poe, con l’istinto e il talento dello statunitense, un Maestro per molti, di sondare l’ignoto, il misterioso. Dopo aver ponderato le espressioni di persone illustri – fra i molti altri Dante, Leopardi, Dostoevskij, Verne, Asimov, Lawrence Durrell e da ultimo lo stesso Chricton –, Nebuloni, scrivendo il quarto romanzo, Dio a perdere (2011, Prospettiva Editrice), s’accorse d’aver scritto per conoscere già dal primo romanzo, La polvere eterna (2007, Edizioni di LucidaMente), col secondo, Fiume di luce (2008, Il Filo) e il terzo, Il Disco di Nebra (2008, inEdition). Con il quinto romanzo, Il Signore della pioggia (2012, I libri di Emil, Odoya Edizioni), la Fact-Finding Writing era ormai consolidata e ora, questo sesto romanzo, Viaggi inattesi, non fa che ribadire gli intendimenti ddello scrittore.
Milan Kundera affermava che «La conoscenza è l’unica moralità del romanzo». Albert Einstein: «La fantasia è più importante della conoscenza», e Anatole France: «La conoscenza non è niente, l’immaginazione è tutto». Ma il romanzo si basa più sulla fantasia e Walter Benjamin potrebbe convalidare: «La tecnologia non è la conoscenza profonda della natura, ma la relazione fra la natura e l’uomo». Per Italo Calvino, «Scrivere è nascondere qualcosa in modo che poi venga scoperto». Per Nebuloni, la scoperta deve avvenire prima e, in fondo, con la Fact-Finding Writing non ha fatto altro che formalizzare quanto era presente – non individuato, e tantomeno delineato – in diversi scrittori. Ritiene che l’essere umano è in sintonia con il mondo intero e pensa che tutti noi desideriamo sapere perché siamo su questa terra, o la ragione per la quale siamo solamente un infinitesimo dell’universo e qual è il fine del cosmo e della vita. Sappiamo che non riusciremo mai a conoscere le risposte. Eppure, in cuor nostro, speriamo sempre di pervenire a una definizione, o di acquisire ulteriore conoscenza. Giovenale: «Tutti desiderano possedere la conoscenza, ma relativamente pochi sono disposti a pagarne il prezzo».
Di là dalla religione che si fonda, purtroppo, solo sulla fede – cioè non su di una realtà tangibile, documentabile e riproducibile – speravamo di riuscire a fornire una qualche risposta con la filosofia, un’attività spirituale morta e sepolta, tuttavia, da prima delle espressioni conclusivamente inconsistenti di Martin Heidegger. Credevamo di raggiungere un obiettivo con la scienza, dalla matematica (Ludwig Wittgenstein: «I numeri non sono fondamentali per la matematica») all’astrofisica. Ma già Galileo Galilei diceva che la scienza è una lavagna che si scrive alla sera e che si cancella alla mattina. Le varie teorie si susseguono incessantemente, si confutano a vicenda e fra cinquanta anni la relatività ristretta e la relatività generale, e anche la meccanica quantistica (Richard P. Feynman: «L’elettrodinamica quantistica descrive una natura assurda») saranno almeno in parte confutate. Non scherzosamente, Einstein asseriva: «Quando un uomo siede un’ora in compagnia di una bella ragazza, sembra sia passato un minuto. Ma fatelo sedere su una stufa per un minuto e gli sembrerà più lungo di qualsiasi ora. Questa è la relatività». Sempre il grande fisico: «La teoria è quando si sa tutto e niente funziona. La pratica è quando tutto funziona e nessuno sa il perché. Noi abbiamo messo insieme la teoria e la pratica: non c’è niente che funzioni e nessuno sa il perché!». E Sigmund Freud: «È impossibile conoscere gli uomini senza conoscere la forza delle parole».
Secondo Giovanni Nebuloni e la sua Fact-Finding Writing, l’unica attività conoscitiva di cui disponiamo e che consenta di comprendere è la parola, precisamente la parola scritta. La scrittura non dimentica mai di servirsi della religione, della filosofia, della scienza, anche dell’esoterismo. In pratica, di tutto lo scibile che si trova sottomano e la scrittura, non tanto la parola in generale, è ciò che, del resto, consente di differenziarci da un gatto o da un dispositivo artificiale. È ciò che ci ha permesso di evolverci, a partire dai primi ideogrammi, i cunei, i pittogrammi. Il nostro narratore milanese scrive “semplicemente” col proposito di conoscere. Anche con trasporto di scienziato, vuole offrire agli altri qualcosa di assimilabile a un antibiotico per lo spirito, che da qualche parte, in qualche forma, forse c’è.
Nella Fact-Finding Writing c’è anche un ribaltamento di alcuni canoni letterari, i quali sentenzierebbero che “lo stile è tutto”. Nebuloni privilegia innanzitutto la storia e, “visto” che siamo nell’epoca delle immagini, il suo stile tiene d’occhio anche il terzo occhio, il cinema, più che il teatro. Suo proposito è anche quello di avvicinare il linguaggio cinematografico al linguaggio letterario. Afferma che nella pagina scritta o sullo schermo scritto, l’attore si può paragonare allo stile della scrittura e lo sceneggiatore e il regista alla trama. Nel suo lavoro di romanziere, i personaggi vengono “ripresi” come da una telecamera, con cui s’addentra però anche nell’interiorità, dentro la psiche. Cosa d’altro canto difficile da rendere nel cinema, se non con tecniche particolari e questo è un vantaggio della letteratura rispetto al cinema. Nei suoi personaggi, s’immedesima come fa un attore alla Strasberg o alla Stanislavskij con le parole del copione. Da questa “ottica”, Nebuloni è un buon attore, ma anche uno sceneggiatore e un regista.
Inoltre, nei suoi romanzi c’è il respiro internazionale proprio del villaggio globale. Va decisamente oltre gli stereotipi, le ricorrenti classificazioni di moda, per esempio “garbato” e “brillante”, in quanto la vita non sempre è cortese o vivace e spigliata. Esistono Marcel Proust o Thomas Mann, ma anche, allo stesso livello come “scultori” del mondo, Dashiell Hammett, Raymond Chandler, Henry Miller o Charles Bukowski. Per Giovanni Nebuloni, la letteratura è assimilabile alla scultura, perché il materiale c’è sempre, presente nell’autore, il quale deve dare soltanto una forma al blocco di marmo che a una prima scorsa è il suo essere. Il suo stile è personalissimo. Con riferimenti alla pittura, la sua scrittura è più espressionista che impressionista e vorrebbe che per il lettore la pagina diventasse “una videata da leggere” – non solo mediante dispositivi digitali –, uno “schermo di carta” che si possa piegare fisicamente.
Le sue storie sono sempre nuove e il messaggio non è mai banale. Non parlano della trita, desueta condizione della donna o, perché no, dell’uomo, del solito serial killer variamente mascherato, di uno stucchevole rapporto fra persone, del drago e delle ninfe. Le innovazioni stilistiche, ponderate e in costante evoluzione, sono numerose: dalla forma dei dialoghi – a volte spontanea, senza interventi da parte sua, proprio come avviene in un film –, alle descrizioni scorrevolissime, all’assenza di time-out o pesi morti. Tutto quanto sopra esposto si riflette naturalmente in questo Viaggi inattesi. Un’altra sorprendente narrazione il cui nucleo – da intendere come il nucleo di un corpo quale la Terra – è costituito da un’organizzazione criminale internazionale, che avrebbe voluto portare l’universo sulla terra… Ci sarebbe altro da dire… ma lo spazio e il tempo… qui sono limitati… Non resta altro che leggere… per conoscere.
(Giorgio Frabasile, L’eccellenza della Fact-Finding Writing come forma conoscitiva, Prefazione a Giovanni Nebuloni, Viaggi inattesi, Edizioni Amande, Casier, 2013, pp. 6-9)
La nostra rivista si è spesso occupata della produzione narrativa di Giovanni Nebuloni. Ecco un elenco degli articoli già pubblicati, a firma di vari redattori: «…i luoghi dove più si addensava l’energia dell’universo» «La testa era collegata a fili che pendevano dall’alto» Realtà e finzione nel “fact-finding writing” Una tela di mistero tessuta da religioni, servizi segreti e amore Nel ventre profondo della divinità Dalla metropolitana alla steppa mongola Un oscuro enigma di 3500 anni fa Un rapido succedersi di abili e sorprendenti colpi di scena «Il “doppio” può essere la morte» La polvere eterna di Giovanni Nebuloni«È una ”kippot”, non devi toccarla!»
Emanuela Susmel
(LucidaMente, anno VIII, n. 87, marzo 2013)