I progressi telematici di cui beneficiano oggi i ragazzi li sottopongono però al rischio di cadere vittime del mondo reale, anche se racchiuso sotto le vesti virtuali di un computer
La navigazione in internet rappresenta, per le giovani generazioni, una potenzialità di risorse senza precedenti; ma anche – se utilizzata impropriamente – una fonte di enorme pericolo, che configura anche reati penali. I ragazzi di oggi accedono alla rete con una facilità estrema, sintomatica di un radicale cambio generazionale: l’informatica e la telematica sono ormai ben ancorate al loro dna. Gli adulti devono esserne consapevoli. Tramite internet, i ragazzi aprono la loro mente con una destrezza inimmaginabile per le generazioni precedenti; allo stesso tempo, però, sono costantemente esposti a un rischio tanto pericoloso quanto sottovalutato.
Lasciarli da soli con la connessione accesa equivale ad abbandonarli temporaneamente nella stazione ferroviaria di una metropoli: parola della Polizia di Stato, che da qualche tempo sta organizzando incontri nelle scuole medie inferiori e superiori per sensibilizzare gli adolescenti sul tema. Il rischio maggiore è costituito dai social network: Facebook, LinkedIn, Twitter, WhatsApp sono quelli più gettonati. I bulli dell’era ante-internet erano costretti a mettere la loro faccia nelle azioni commesse: molestie e offese verbali, plagio, progressiva emarginazione dal gruppo della vittima prescelta. Individui singolarmente tranquilli; ma che, una volta inseriti in un branco, si coalizzano per annientare chi – pensano – non è degno di far parte della loro “tribù”. I bulli di oggi agiscono sul web in maniera anonima, spesso nascondendosi all’interno di un gruppo oppure dietro un falso profilo, talvolta “rubato” a ignari innocenti. La vittima cibernetica subisce un vero e proprio stalking on line: minacce scritte, e-mail insistenti, diffusione ad ampio raggio di fotografie – di cui è l’involontario protagonista – con contenuti riservati o modificati tramite appositi programmi.
Troppo spesso capita che ragazzi particolarmente sensibili non accettino una situazione imbarazzantepiù grande di loro e considerino la morte l’unica via di uscita. Andrea, 15 anni, lo scorso novembre si è impiccato con una sciarpa: veniva chiamato “il ragazzo dai pantaloni rosa” e additato come “inaffidabile perché omosessuale”. A posteriori, la madre ha cercato di dare un significato a un soprannome che era costato la vita al figlio: un paio di pantaloni stinto dalla lavatrice per un lavaggio sbagliato; lo smalto rosa sulle unghie per evitare che se le mangiasse, dovendo suonare il pianoforte; un quaderno con la copertina rosa.
Quando le fotografie postate in rete ritraggono atteggiamenti intimi aventi come protagonisti minori, sul web si consuma un vero e proprio reato: la pedopornografia (vedi al riguardo anche due altri articoli pubblicati su LucidaMente, Il “sexting” contagia anche gli italiani. Minorenni compresi e …Fino alla “cybersexual addiction”). È allarmante ma doveroso rendersi conto che i tempi sono cambiati: oggi sempre più ragazzine minorenni inviano al fidanzatino di turno o all’amica del cuore immagini che le ritraggono in atteggiamenti “erotici”. Poi si stupiscono se, nel giro di qualche ora, quelle stesse fotografie hanno fatto il giro – con tanto di nome e cognome – del mondo web; e si scandalizzano se qualcuno porge loro le immagini stampate. Non si spiegano il motivo della loro diffusione, avendole esse inviate a una sola persona. Molti non sanno che la rete altro non è – purtroppo – che il mondo reale racchiuso nello schermo di un computer. Né sono consapevoli del fatto che le immagini postate sui social network non sono più eliminabili.
La Polizia riceve sempre più di continuo denunce di persone perseguitate via web. Pur potendo risalire al codice univoco del computer dal quale è partito il messaggio oggetto di querela, in numerosi casi può fare ben poco: spesso risulta infatti come le fotografie siano state postate dalla stessa persona che, accompagnata dai genitori, denuncia il reato. Soltanto in quel frangente si viene a conoscenza di una verità sconcertante: in un momento di particolare confidenza, la vittima aveva inviato le proprie credenziali di accesso all’amica – così lei aveva ritenuto – del cuore.
Le immagini: in apertura, da www.skuola.net; logo contro il cyberbullismo e loghi di alcuni social network.
Emanuela Susmel
(LucidaMente, anno VIII, n. 88, aprile 2013)