L’escalation di suicidi da parte di piccoli imprenditori con debiti finanziari non può ancora essere ignorata dalle istituzioni
Il 2012 verrà ricordato dai bolognesi come l’anno delle lacrime versate in conseguenza di gravi e dolorose perdite di vite umane: personaggi pubblici e molto amati come Lucio Dalla e Stefano Tassinari, ma anche comuni concittadini che hanno deciso arbitrariamente di porre fine alla loro esistenza. Francesco Fabbri, 46 anni, ingegnere e proprietario di una ditta edile a San Lazzaro di Savena: a inizio anno si è ucciso a séguito di una crisi economica dell’azienda, che non gli ha permesso di pagare i tributi fiscali richiestigli da Equitalia.
Giuseppe Campaniello, 58 anni, artigiano: un mese fa si è dato fuoco davanti all’Ufficio tributario dell’Agenzia delle Entrate di Bologna in conseguenza delle sue gravi condizioni finanziarie. Risulta strategica la scelta della location nella quale Campaniello ha deciso di porre fine alla propria vita in seguito a una richiesta di denaro – seppur di entità non troppo elevata – che non poteva onorare e dalla quale non poteva sottrarsi. Piero Marchi, 48 anni, proprietario di un negozio di elettrodomestici: il 7 maggio si è impiccato nel retro della sua bottega bolognese perché non avrebbe potuto pagare una cartella esattoriale di 20.000 euro.
Un capitolo a parte, ma non per questo meno doloroso, è rappresentato da Maurizio Cevenini, 58 anni, consigliere provinciale e comunale, persona distinta e molto stimata dai bolognesi: pochi giorni fa si è gettato dal settimo piano della palazzina della Regione, terminando la propria corsa dopo un volo di una trentina di metri (vedi il ricordo di LucidaMente, Un pensiero affettuoso per Maurizio Cevenini). Gli inquirenti stanno vagliando le ipotesi del suo gesto che ha lasciato attoniti i familiari, gli amici e la gente comune: azione che sembrerebbe essenzialmente legata a uno stato depressivo. Tralasciamo questo caso per soffermarci, di séguito, sugli altri.
Si tratta di soggetti che hanno evidentemente pensato che vi fosse un’unica soluzione, tanto definitiva quanto drammatica, ai loro problemi finanziari: la fuga da una vita che – così hanno creduto – non lasciava loro alcuno scampo. La fuga da Equitalia, per la precisione: l’essersi sentiti smarriti e abbandonati anche e soprattutto dalle istituzioni non li ha fatti ragionare sulla possibilità di una soluzione alternativa a quella più estrema, quella dalla quale non si torna indietro. A séguito di questi decessi i bolognesi hanno versato lacrime amare, soprattutto in considerazione dell’ammontare del debito che, in tutti e tre i casi, non supera i 20.000 euro. Fra l’altro, la cronaca di questi giorni riporta svariati atti di protesta contro diverse sedi in cui è dislocata la società italiana incaricata della riscossione dei tributi.
L’allarmante reiterazione dei suicidi – non solo nel Bolognese ma anche in altre regioni italiane – dissipa ogni dubbio: non si tratta di disperati gesti isolati. Del resto, la recessione economica italiana sta portando via via a un progressivo aumento della pressione fiscale, da una parte, e alla diminuzione dell’occupazione, dall’altra. In più, la congiuntura economica – anche europea – non lascia ben sperare in una veloce normalizzazione della situazione. Appare quindi comprensibile come un numero sempre maggiore di artigiani e commercianti in primis – oltre che di lavoratori dipendenti che sono stati licenziati – si sentano esasperati (vedi l’editoriale di LucidaMente del mese di maggio, Le persone si suicidano, lo stato non fa nulla): purtroppo, infatti, la richiesta del pagamento di tributi e di altre pendenze, che prima della crisi veniva regolarmente soddisfatta, non si esaurisce con il venir meno delle entrate finanziarie.
Non è nostra intenzione indagare in questa sede risvolti morali del gesto, né giudicare chi lo ha commesso: ci piacerebbe, piuttosto, lanciare tre appelli. Il primo lo rivolgiamo a chi versa in condizioni economiche disperate e non sa come pagare i propri debiti: occorre rompere quanto prima la pericolosissima catena dei suicidi che sembra si stia rafforzando in questo ultimo periodo. È necessario non emulare – nemmeno per protesta – chi ha pensato di risolvere i propri problemi fuggendo dalla vita. Perché aggiungere altra angoscia a chi resta? Non bisogna dimenticare infatti che i debiti non si estinguono con la morte del debitore.
Il secondo appello lo rivolgiamo alle istituzioni affinché non ignorino il reiterarsi di questi gesti estremi e, in particolare, collaborino a un cambiamento dell’approccio culturale verso le piccole imprese: come può passare una cultura “anti imprenditoriale” che tende quasi a castigare il coraggio di individui che hanno deciso di rischiare in proprio pur di creare nuovi posti di lavoro per sé e per altre persone? Il terzo appello è un invito ai mezzi di comunicazione a riflettere su una questione di fondamentale importanza: al fine di contribuire all’interruzione di questa catena di suicidi, non varrebbe forse la pena smorzare un po’ i toni? Chiediamoci quale, tra la sete di scoop o la vita umana, rivesta maggiore importanza…
Le immagini: scene di partecipazione al Raduno delle vedove dei suicidi a Bologna.
Emanuela Susmel
(LM EXTRA n. 28, 15 maggio 2012, supplemento a LucidaMente, anno VII, n. 77, maggio 2012)
Signore e signori, ecco a voi: la Death Economy
non ho letto interventi o critiche da parte di parlamentari cioè di gente che siede in parlamento e che ha diretto potere di presentare disegni di legge, di modificare e rendere equa, visibili, giusta e pubblica la procedura esecutiva che mette in atto Equitalia per recuperare il dovuto. Innanzitutto vengono chiesti interessi usurari e la procedura di vendita all’asta dei beni colpiti dal pignoramento esattoriale è degna di una banda di malfattori. La carenza di pubblicità consente una vera e propria svendita dei beni del povero debitore ed attorno alle vendite all’asta esattoriali si creano delle vere e proprie organizzazioni delinquenziali di gente che compra a prezzi vili. Bisogna intervenire per modificare la legge esattoriale.