Il nostro lettore traccia le differenze tra l’Italia e gli altri Paesi: il rischio del nepotismo
Spett. le redazione,
in Italia, dopo la riforma universitaria firmata dal Berlinguer ministro e in pieno vigore dagli ultimi anni Novanta fino a pochi mesi fa, ci fu un incremento del numero dei professori universitari, pari a quello di tutto il Nord America nello stesso periodo di tempo (Usa e Canada).
Perfino tecnici di quinto, sesto e settimo livello che a vario titolo operavano nelle università, essendo laureati con qualche incarico d’insegnamento, diventarono in massa ricercatori e professori universitari. Nello stesso periodo, in tutta Italia, la qualità della ricerca scientifica e della didattica universitaria approdò agli ultimi posti nel mondo. La riforma Gelmini del 2011 dà l’impressione di aver cambiato le regole, ma sostanzialmente lascia tutto come prima. Il punto più debole di questa riforma riguarda i criteri delle assunzioni di un professore universitario.
All’estero, si diventa docente universitario avendo superato un importante dottorato di ricerca. Col titolo di dottore di ricerca, ci si presenta a un concorso per la docenza universitaria e tre sono le possibilità. O si vince il concorso e si passa nei ruoli superiori. O non si vince il concorso e si fa altro, in altri settori. Oppure si ripresentano i titoli presso un’altra università.
Invece, in Italia, chi è respinto in un concorso universitario, in un modo o nell’altro rimane nel dipartimento nel quale ha conseguito il dottorato, utilizzando borse di studio, a volte di oscura provenienza. Si rimane nel dipartimento per anni, aspettando che un docente muoia, vada in pensione, o lo si costringa ad andare via col mobbing. Si vogliono premiare i migliori e i più meritevoli? Allora il reclutamento deve avere regole serie, tempi certi e concorsi equi. Si faccia funzionare nel frattempo l’agenzia di rating Anvur.
Invece, cosa accade? Che i singoli dipartimenti preparano delle liste di tutti coloro che possono presentarsi nei successivi concorsi, avendone i titoli. Però, a decidere chi ha questi titoli è il consiglio di dipartimento, dove comandano i soliti baroni, baronetti e truffatori a vario titolo. Si vogliono premiare i raccomandati e aggravare il fenomeno del nepotismo? Allora, sarà meglio assumere un povero disgraziato in mezzo alla strada. Almeno, si fa un’opera di carità.
Giuseppe Costantino Budetta
(LucidaMente, anno VII, n. 75, marzo 2012)
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