Narrazioni tutte accomunate da un’area geografica, la provincia di Latina, e dall’elemento della fabbrica. Eppure i riferimenti continui a singoli personaggi e luoghi esistenti non confinano mai le storie in un facile localismo, ma contribuiscono a rendere più palpitante e vissuta ogni realtà descritta.
Stiamo parlando di Shaw 150. Storie di fabbrica e dintorni di Antonio Pennacchi (Oscar Mondadori, pp. 224, € 8,40), volume che comprende alcuni racconti scritti per riviste e quotidiani tra il 1986 e il 2005 e riadattati per questa pubblicazione del 2006. Lo stile impertinente è lo stesso de Il fasciocomunista (Arnoldo Mondadori), ma la brevità delle prose, in questo caso, rende la forma più essenziale ed efficace.
Oltre la fabbrica: la ricerca del “diverso” – Lo Shaw 150 non è altro che un macchinario industriale per produrre gomme. Già nel sottotitolo del libro si intuisce la volontà di allargare sensibilmente l’universo dominato dal binomio luogo-produzione, per entrare nelle periferie dell’animo (i “dintorni”) in cui l’alienazione e la finalità tecnica non arrivano. Storie che plausibilmente potremmo ascrivere all’autore – come quella del ragazzo che si innamora di una coetanea ebrea, ma viene lasciato per colpa di una domestica inacidita – sembrano dettate dalla necessità di cercare l’altro, di scoprire la diversità all’interno dei microcosmi dell’umano. Il viaggio “sentimentale” del protagonista di Avanti Savoia, Ernesto, somiglia a una partenza verso l’assunzione della responsabilità, sia politica, sia affettiva. Tuttavia, ogni personaggio di Pennacchi non giunge mai a una vera meta e, quando sembra averla raggiunta, non può fare a meno di frammentarsi, esplodere dall’interno attraverso la contraddizione (cosa vuol dire, in fondo, essere un fasciocomunista?).
L’eterno ritorno – In Nodulo cosmico il protagonista, mentre sta andando a presentare un libro a Parma, ha un attacco di cuore, proprio come era già successo a molti dei suoi amici, vivendo quindi quel problema al quale sembrava stesse sfuggendo. In mancanza di un punto di arrivo rassicurante (al di là di quelli contingenti come Parma, Torino o Cisterna), la vita, direbbe Pennacchi, ci riserva una serie di possibilità che ritornano, si riaffacciano, per essere di nuovo accolte o rifiutate, per palesarsi o mascherarsi come deja vu. Se, dunque, tutto torna circolarmente, allora non possiamo certo rimanere delusi da una carrellata di personaggi che spesso riappaiono nelle narrazioni di Pennacchi – sto pensando a Generoso Tramont, il gigante del Friuli che racconta storie sempre poco probabili. In questa prospettiva, non bisogna giudicare con troppa serietà le posizioni politiche e le “chiacchiere” (appunto, solo “chiacchiere”) che i personaggi di Pennacchi, di volta in volta, propongono: le critiche alla Democrazia cristiana (che alcuni possono più o meno condividere) sulle decisioni edilizie durante la fondazione di Latina rientrano in quel realismo di cui lo scrittore ci ha dato prova sin dai suoi esordi con Mammut (Donzelli).
L’immagine: la copertina del libro.
Luca Viglialoro
(LucidaMente, anno II, n. 7 EXTRA, supplemento al n. 21, 15 settembre 2007)