Lo sconcertante episodio occorso a Raoul Bova a Catania è un valido spunto di riflessione: dove sono finiti l’educazione e il rispetto degli altri?
La maleducazione non è gradita: mai, in alcun luogo, nemmeno – e particolarmente – a teatro. Così la pensa Raoul Bova che, con Chiara Francini, dal 9 all’11 marzo scorsi ha portato in scena lo spettacolo Due di Luca Miniero. E noi ci permettiamo di condividere il suo disappunto. Vi raccontiamo l’episodio – avvenuto al teatro Metropolitan di Catania – che ha generato la sua inequivocabile reazione.
Fin dalle prime battute della commedia, le voci degli attori protagonisti sono state intervallate in sala dalle suonerie tipiche degli smartphone: WhatsApp, messaggini e chi più ne ha più ne metta. A nulla è servito il monito replicato più volte durante una pausa da un membro della produzione: «Al prossimo disturbo interrompiamo lo spettacolo». Il pubblico ha infatti continuato imperterrito a utilizzare i cellulari, testa bassa sul display, incurante di tutto. Così, al rientro degli attori da un breve intervallo, quando dalla platea è rimbalzato l’ennesimo trillo, Bova ha lasciato il palco senza troppi avvertimenti. E la Francini si è ritrovata sola, nel bel mezzo di un monologo, in attesa del ritorno di un partner ancora piuttosto infastidito. I biglietti dello spettacolo erano stati pagati: la rappresentazione teatrale è così giunta al termine, pur fra momenti di tensione in scena e voci fuori campo che intimavano di spegnere i cellulari. Ma, al momento di ricevere gli applausi finali dal pubblico, Bova ha nuovamente lasciato il palco senza più farvi ritorno.
Abbiamo più volte trattato l’argomento delle dipendenze da cellulare da parte dei giovani del nostro tempo (vedi Internet: una trappola disumanizzante?, “Tablet e smartphone da vietare ai minori di 6 anni”, Connessi 10 ore al giorno: ecco cosa fanno i giovani italiani sul web). Ci siamo interrogati fino alla noia sui motivi che possono generare comportamenti così nocivi, in primis per se stessi. Ebbene, dopo aver saputo dei fatti del Metropolitan, una delle possibili risposte ci è improvvisamente rimbalzata in testa.
Se i genitori, per primi, non riescono a staccarsi dallo smartphone, come possiamo pretendere che lo facciano i loro figli? Cosa importa se hanno pagato un biglietto – talvolta anche profumatamente – per assistere a uno spettacolo che poi non seguiranno? Ma, soprattutto, cosa importa se davanti a loro degli attori stanno mettendo tutto il proprio impegno per ricordare a memoria un’infinità di battute? E per concentrarsi sul proprio personaggio in modo da interpretarlo al meglio? Cosa conta se un regista, un produttore, uno sceneggiatore, un costumista e altre figure invisibili al pubblico hanno investito in quello spettacolo tempo e denaro? La risposta è una sola: nulla. I fatti occorsi a Catania non lasciano spazio a un’altra interpretazione. Qui non si tratta soltanto di mancare di rispetto alla cultura, quanto piuttosto all’universo delle persone differenti da noi stessi. Non ci resta quindi che constatare – con estrema amarezza – che, in quella platea, l’educazione e il riguardo sono mancati completamente. E condividere, una a una, le parole lapidarie che la medesima sera sono state scandite da un membro della produzione a chiusura della rappresentazione: «Chi non è capace di spegnere il cellulare resti a casa».
Le immagini: la locandina dello spettacolo Due e una rappresentazione grafica della dipendenza da cellulare.
Emanuela Susmel
(LucidaMente, anno XIII, n. 148, aprile 2018)
Condivisibilissimo.
Gentilissima Samuela, grazie per il suo commento.