Un nome stravagante che non è un nome, lo strano desiderio di fuga ed evasione dalla realtà, la misteriosa presenza degli alieni. Tutti questi ingredienti sono mescolati all’interno del racconto Nonno Ufo, di Manuel Dellagiovanna. Un testo delicato e originale, con il quale l’autore interpreta la solitudine e la stanchezza di un uomo anziano, soprannominato, appunto, Nonno Ufo. Ed è proprio il desiderio di fuga del vecchietto, descritto ironicamente con il suo bastone quasi più alto di lui, a indurlo a sperare di fuggire su un altro pianeta, grazie all’aiuto degli alieni. Quella che inizialmente appare una semplice fantasia quasi puerile del nonnino – almeno agli occhi del nipote che si prende cura di lui -, nelle battute d’arresto del racconto si rivela molto più credibile di quanto ci si potesse aspettare, con un finale a sorpresa.
Che giornata triste è stata oggi. Come, del resto, da più di una settimana. Questo cielo coperto da nubi grigie e indecise sembra ovattare i rumori della città, ci opprime dentro una scatola. Le auto scivolano leggere, pare col motore spento, come se nessuno vi fosse alla guida, e la gente cammina veloce in punta di piedi, non volendo farsi notare. Tutto scorre così, apparentemente. E anch’io cammino leggero e silenzioso, ora, nella sera, verso casa di mio nonno.
Mio nonno… strano pure lui. Si chiama Nonno Ufo. No, ma che pensate, non è il suo vero nome, è solo un soprannome che gli ho affibbiato io: dovete infatti sapere che è un vecchietto un po’ particolare, con la fissa degli extraterrestri. Pensate, ha ben centotre anni, ma lui sostiene di averne centodieci. Non so se per un inconscio masochismo psicologico o perché ne sia proprio convinto. Ad ogni modo, in viso sembra una cartina geografica, e gli mancano quasi tutti i denti, tanto che fa fatica a mangiar la minestrina.
È basso, molto basso, e ogni volta che lo vedo sembra ancora più basso: il peso del mondo lo opprime. Qualche giorno scomparirà o avrò a che fare con un puffo. Povero nonno… In questi ultimi mesi, poi, è calato ancor più vistosamente, tanto che il bastone d’appoggio gli arriva al naso, e fa una fatica immane per appoggiarvisi. Si può dire ormai che è il bastone ad approfittare di lui, anziché viceversa. Ed è stanco, molto stanco. Eppure non demorde. Non so se per un antipatico scherzo del destino, ma nonostante questi fastidiosi segni del tempo, quanto a salute fa faville (certo, per avere centotre anni, s’intende)… pare eterno, Nonno Ufo.
Eccomi arrivato. Busso alla porta, ma basta un colpetto ché essa mi offra d’entrare.
“Nonno, la porta” gli faccio notare “era aperta. Nonno? Ma che fai lì alla finestra…?”.
“Aspetto”.
Aspetta…
“Aspetto che mi vengano a prendere”.
Ci risiamo. Ora si volta verso di me e quegli occhi tristi non mi stupirei se si mettessero a piangere. Sembra ancor più vecchio: oggi ha almeno centoquindici anni; e appeso al collo tiene un cartello con su scritto:
PRENDETEMI CON VOI, VE NE PREGO.
E poi:
VI DO TUTTA LA PENSIONE.
Nonno, non ne puoi proprio più di stare al mondo, eh?
Al momento di far la seconda puntura, quella della sera, mi chiede:
“Cosa c’è dentro?”.
“Che ne so, della roba. La stessa di stamattina”.
“Roba…”.
“Chimica”.
“Chimica…”.
Non capisco. Qual è il problema? Spesso non capisco quando si tratta di mio nonno.
“E non ci si può metter dentro la Red Bull?”.
Fermi tutti. Ho capito bene? La Red Bull?
“Che te ne fai della Red Bull nella puntura?”.
“Eh, così poi mi crescono le ali e me ne volo via fuori dai coglioni”.
Dovevo immaginarlo. Sempre lì si va a parare con il nonno.
“Come nella pubblicità”.
“Nonno, la vita non è una pubblicità”.
“Mh”.
Questo mugolio, senza espressione. E immediatamente dopo si riaffaccia a fissare un piccolo spiraglio di stelle, concesso dalle nubi, speranzoso, come un gatto innamorato che guarda alla luna.
Il mattino seguente, sulla soglia della porta, l’ennesima sorpresa mi accoglie: un cartello informa:
SONO FUORI A CERCARE GLI ALIENI, TORNO TARDI
Poi, più sotto, il solito avviso:
I TERRESTRI NON SONO BENVENUTI
Nonno, ma cosa mi combini…?
“Alle tre di notte, che girovagava col naso all’insù per una stradina di campagna con una torcia, e indosso questo catarifrangente arancione. Ogni tanto prendeva per i campi, e per fortuna che il signor F. l’ha notato, altrimenti chissà dove arrivava…”.
E il signor F., dietro di noi, se la ride sotto i baffi. Ma che ti ridi? Imbecille. Diventerai anche tu stufo della vita.
“Allora, promesso che non mi combini più guai?”.
E il nonno a testa bassa, appoggiato al suo bastone, che fa sì sì con la testa al comandante dell’Arma, ma in cuor suo pensa: che stufa, lasciatemi fare...
Non è la prima volta che mi fa scherzi di ‘sto tipo, ma adesso che l’ho riaccompagnato a casa, non ho il benché minimo coraggio di rimproverarlo. E lui, come a intuire, inizia a sfogarsi, in un crocevia di scuse e “cerca di capirmi”.
“Ho combattuto le crociate, la prima grande guerra, la seconda, e se vado avanti così mi ritroverò invischiato pure nella terza, e non è che ci abbia ‘sta gran voglia…”.
Sulle crociate ho seri dubbi, ma gli credo comunque, che è stufo, al mio nonnino.
“…Una volta ho rischiato di perderci una gamba, un’altra ho rischiato di crepar di polmonite, un’altra ancora ho rischiato di finire arrosto, quando uno schifoso nazista m’ha…”.
Sì, perché il nonno, come vi ho detto prima, di salute sta benone, ma può andar fiero d’una gran sfilza di “ho rischiato”, suo bagaglio di vita, orgoglioso vanto.
“…Non ce la faccio più, voglio andarmene da questo pianeta, popolato di sola cattiveria. Forse non sto simpatico a Dio, non lo so, pare che di farmi morire non ne abbia proprio idea. Basta, basta con questo mondo, ne ho viste abbastanza, sono stufo, stufo, voglio andarmene, perché se non posso morire, allora posso andare via con gli extraterrestri, perché no?, su un altro pianeta, per un’ultima grande avventura, tanto che ci faccio qua, non servo più a nulla…”.
Abbassa e scuote lentamente la testa, il nonno. Parla con un solo fil di voce. “Lasciatemi sognare, perlomeno”.
Gli avrei risposto mille belle cose, per consolarlo, e invece non ho pronunciato parola. Solo:
“Ciao, nonno, a stasera”.
E sono fuggito davanti quell’afflizione.
Che sogno ho fatto, stanotte! Eh, lo sapevo, prima o poi, a furia di sentirne parlare… Ero solo in una buia via della città, una via sconosciuta. Camminavo a testa bassa nella notte, quando in cielo un’astronave dai mille bagliori è sbucata al di sopra dei tetti delle case e si è messa a danzare, proprio in fronte a me! E io che la fissavo meravigliato, a bocca spalancata. Poi la navicella si è fatta più vicina, scivolando, finché mi è parso proprio di vedere, da una sorta di oblò, indovinate cosa? Il viso del nonno! E che bello che era! Tutto sorridente, splendeva di felicità; mi salutava con la mano e pareva ringiovanito, almeno trent’anni! Poi un altro viso angelico si è affacciato in fianco al suo e l’astronave, in un battibaleno, è sfrecciata nell’universo, lasciando una scia dorata come di stella cadente. E io felice che ricambiavo il saluto e gridavo: “Ciao, Nonno Ufo, vai a star meglio!”, e la notte era fuggita, e d’un tratto, al suo posto, era apparso, entro un cielo completamente lindo, un sole abbacinante.
Ora cammino verso casa del nonno, e ripenso a questo sogno. Anche nella realtà quel cielo cupo ci ha lasciati. La vita pare essersi ripresa, perciò, ora che sono arrivato davanti alla porta d’ingresso, l’idea di rivedere il nonno triste mi attanaglia.
Suono, ma non risponde nessuno. Busso forte forte: ancora niente. D’un tratto noto che sulla porta il cartello ammonitore non c’è più. Un brivido d’intuito mi percorre la schiena: accosto l’orecchio all’uscio nella speranza d’udir qualche rumore, ma in cuor mio so, per certo, che più nessuno verrà ad aprirmi a questa porta.
(Nonno Ufo di Manuel Dellagiovanna)
L’immagine: Arco di luce (2004) di Angela Crucitti, per gentile concessione dell’autrice. Per ammirare altre opere di questa notevole artista, si può navigare nel suo sito personale: www.angelacrucitti.com.
Marco Papasidero
(LucidaMente, anno III, n. 12 EXTRA, 15 luglio 2008, supplemento al n. 31 dell’1 luglio 2008)