Riguardo la legislazione su alcune tematiche come il testamento biologico, lo Stato non comunica, così l’Associazione Libera Uscita ha lanciato una propria campagna di sensibilizzazione
Uno dei cardini della giurisprudenza – sebbene esistano vari dibattiti al riguardo – è quello, notissimo e antichissimo, secondo il quale Ignorantia legis non excusat. La traduzione, più o meno letterale, è che “L’ignoranza della legge non è una giustificazione”, ovvero “la legge dello Stato non ammette la mancata conoscenza della stessa da parte del cittadino”. Volendo un po’ parafrasare e spiegare meglio, potremmo dire che “la mancata conoscenza delle legge non è una scusa valida per giustificare un atto illecito”.
Tuttavia, questo principio, per molti versi valido, viene adoperato come una clava contro i cittadini, nel senso che qualora, seppure in buona fede, una persona trasgredisce una norma dello Stato che le è ignota, la paga cara, carissima. Probabilmente anche più a caro prezzo di chi infrange la legge coscientemente e volutamente, perché quest’ultimo si sarà ben cautelato e salvaguardato dalle conseguenze del proprio atto illecito: avvocati e… commercialisti servono anche per questo. Ma se l’ignoranza della legge non è ammessa quando essa va a scapito del cittadino stesso, cosa succede nel caso contrario, ovvero quando una norma che favorisce la libertà e la dignità della persona è poco o nient’affatto conosciuta dalle masse? Senza un’adeguata informazione non può esserci vero diritto e tutela dei cittadini. È il caso delle normative sul fine vita e, in particolare, di quella di più semplice fruizione e applicabilità, la Legge 219 del 22 dicembre 2017.
Essa riguarda il testamento biologico comunemente detto, ufficialmente riconosciuto come DAT (Direttive anticipate di trattamento), attraverso le quali il cittadino, quando è ancora cosciente e in possesso di tutte le proprie facoltà intellettive, può scegliere liberamente a quali trattamenti sanitari sottoporsi. Tali volontà possono essere depositate a pagamento presso un notaio, ma – importantissimo – gratuitamente presso l’Ufficio anagrafe del proprio Comune di residenza. Ebbene, quanti ne sono a conoscenza? Quanti ne sono stati informati? Pare che persino gli impiegati di molti Comuni ne sappiano poco o nulla.
Siamo stati sommersi per più di due anni da costosi messaggi – peraltro contraddittori, fuorvianti, persino non veritieri – su pandemia, virtuosi comportamenti sanitari e di protezione, presunti vaccini, ma in quasi cinque anni nulla è stato fatto per informare i cittadini su come tutelarsi in caso di evenienze che – diciamo la verità pura e semplice – riguarderanno quasi tutte e tutti. In entrambe le fattispecie, Covid-19 e fine vita, sembra che si voglia negare la libertà di scegliere le proprie cure. Pertanto, in queste settimane è stata un’associazione che da anni si occupa delle tematiche del fine vita, Libera Uscita, a promuovere, con le proprie poche forze e anche con un pizzico di provocazione, una propria campagna sul testamento biologico, invitando i cittadini a fruire della possibilità di depositare le proprie volontà in Comune, anche nel caso si intenda prolungare in ogni modo la propria esistenza biologica. Perché pure questo è sottaciuto: lasciare le proprie DAT significa cautelarsi non solo dal subire il cosiddetto accanimento terapeutico, ma pure nel senso opposto.
È evidente che la mancanza di informazione sul testamento biologico oppure sulle cure palliative, anch’esse riconosciute da una legge dello Stato, la 38/2010, sia voluta e legata a posizioni ideologiche e di convenienza politico-elettorale, così come, a campi invertiti, è avvenuto per l’epidemia da Sars-Cov-2. Ugualmente si può dire di altri temi affini, quali la sedazione palliativa, l’eutanasia e il suicidio assistito, nonché della confusione nell’uso della terminologia. Nonostante, infatti, secondo tutti i sondaggi (compresa un’indagine commissionata dalla stessa Libera Uscita), gli italiani siano in stragrande maggioranza favorevoli a voler scegliere sulle questioni del fine vita riguardanti il proprio corpo, il peso del potere di coloro che si oppongono a tale libertà è molto forte.
Dunque, attraverso spot televisivi, inserzioni sulla carta stampata e su riviste telematiche (vedi, ad esempio, qui), il tutto a proprie spese, grazie ai fondi raccolti negli anni dalle iscrizioni dei soci o da libere donazioni, Libera Uscita ha inteso rompere il silenzio che avvolge tali tematiche, che peraltro riemergono periodicamente allorquando situazioni-limite balzano ai (tristi) onori della cronaca. Ma in questi casi il bailamme mediatico assume modalità assordanti e confuse, scorrette ed eclatanti, con l’esasperazione dei punti di vista tipica dei volgari talk show e la mancanza di una corretta informazione. In effetti, non dovrebbero proprio esistere casi-limite, ma, al contrario, la libera scelta dei trattamenti sanitari cui sottoporsi in caso di gravi malattie e del proprio dignitoso fine vita dovrebbe essere la normalità. E riguardare non l’ideologia e i pregiudizi, ma soltanto la sfera dell’umanità, della dignità, della pietà e della libertà umane. Come affermò Piergiorgio Welby, «morire dev’essere come addormentarsi dopo l’amore, stanchi, tranquilli e con quel senso di stupore che pervade ogni cosa».
Le immagini: a uso gratuito da pexels.com.
Rino Tripodi
(LucidaMente 3000, anno XVII, n. 203, novembre 2022 – supplemento LM EXTRA n. 38, Speciale Testamento biologico)