Chat line, disabilità e una storia d’amore: “Pensieri dell’anima”, un racconto di Atar
Premessa
Quella che vi accingete a leggere non è una storia come tante, non basta leggerla con gli occhi e associare le parole scritte al suono che producono per capirne il senso… non basterebbe, no… bisogna leggerla col cuore e con l’anima, bisogna andare oltre le parole, bisogna far vibrare le corde del cuore per poter cogliere le emozioni che in essa sono racchiuse e che hanno fatto “vivere” i protagonisti della stessa, seppur per brevi istanti.
E’ una storia nata forse come tante, come cento, mille altre storie, ma la cui evoluzione ha prodotto una magia particolare, un’intensità di vissuto/non vissuto…
Il racconto nasce per caso, nasce in contemporanea per mano dei due protagonisti che, pur non dicendoselo, hanno voluto fermare su carta degli attimi indimenticabili e che, non avendo potuto superare il confine entro il quale avrebbero voluto spingersi, si sono trovati, nello stesso momento, a immaginarselo, per poi rileggerlo e ricordarselo così com’era stato e come avrebbe potuto essere… ed è sempre per caso che uno dei due comunica all’altra questa esigenza di aver dovuto fissare quei momenti… ed è per caso che l’altra comunica a lui di aver avuto la stessa esigenza e di aver fatto la stessa cosa… ed è per caso che i due si scambiano i racconti… ed è ancora per caso che i racconti vengono messi insieme, quasi comparati, due racconti che esprimono le stesse emozioni, che narrano lo stesso incontro, lo stesso amore visto dagli occhi dei due…
Quello che è certo è che non è un caso, certamente, che i due si siano incontrati. Sono due anime che si incastrano alla perfezione, due anime sensibili e pure, nonostante l’accaduto ed i pensieri, due anime innocenti e piene d’amore che si sono sentite e ritrovate.
Usate il cuore, mobilitate l’anima prima di leggerla: se questo verrà fatto, ne gusterete l’intensità e la profondità, andrete oltre, laddove il tempo e lo spazio non hanno confini, laddove le regole cessano di esistere perché esiste la vita, l’amore puro, oltre l’erotismo.
Pensieri dell’anima: Lu
Viene! Me lo ha detto ieri durante una delle nostre solite, lunghe, piacevoli, ricche telefonate!
Sono in fibrillazione, questa volta mi tocca dirglielo, l’altra alternativa sarebbe quella di non andare all’appuntamento, ma penso che forse questa è la prima e unica occasione per vederla.
Sono disteso sul divano, ascolto blues, un lungo lento blues, la chitarra lancinante trascina il ritmo fino allo spasmo, ipnotico, la voce nera, vibrante, racconta storie lontane nel tempo e nello spazio ma allo stesso tempo vicinissime, gli argomenti toccati sono gli stessi dalla notte dei tempi, basta chiudere gli occhi… e il tappeto musicale mi porta in mondi paralleli, quello sono io, protagonista di storie che ho vissuto, di storie che avrei potuto vivere.
Ho deciso, non glielo dico che il Luigi che lei conosce al telefono, con cui lei parla, ride, piange, fa l’amore, non muove un passo dall’età di tredici anni!
Viene e mi faccio vedere e se le piglia un colpo non me ne frega! Così impara a chattare! Tutti dovrebbero imparare! Parlare senza prima aver visto la persona non è consigliabile in un mondo fondato sull’apparire, sulla perfezione dei corpi, dove la parola “freak” per la maggior parte delle persone significa tutt’altro; un po’ come acquistare della merce a scatola chiusa, dopo vai a casa apri e pensi “Che cazzo ho comprato? Se l’avessi visto col cazzo, che l’avrei pagato… se l’avessi incontrato in un locale, col cazzo che gli avrei confidato delle cose, che mi sarei masturbata con la sua voce, le sue parole”.
No, non posso, glielo devo, lei non lo merita, con me è dolce, sensuale, morbida, in tutto questo tempo che ci conosciamo abbiamo condiviso infinite cose, la sento davvero come la mia “amica del cuore” e, come spesso ci diciamo tra noi, c’è meno dell’amore, più dell’amicizia… in effetti a noi piace complicarci la vita.
La cosa che mi fa rabbia è che, con l’avvicinarsi dell’arrivo, lei si sente più attratta da me, dopo mi odierà, di sicuro non se la sentirà di fare l’amore con un disabile, anche in me cresce il desiderio ma siccome sono abituato a non lasciarmi andare, a sognare sempre e soltanto a metà, freno! Freno! Freno!
E’ fatta, lo sa! Ovviamente la risposta è stata: “Non mi frega, voglio vederti ugualmente!”.
E sia, mi vedrai, non fosse altro per tacitare la tua coscienza, il tuo senso di colpa.
Piazza Trieste e Trento, la cerco con gli occhi, non la vedo, ci telefoniamo.
“Lu dove sei?”.
“Sono qui Ro, sono nella Rover blu”.
Non esco dalla macchina. E’ come rivivere certe sensazioni del passato: quando conoscevo una ragazza nuova le prime volte cercavo di non farmi vedere fuori dall’auto.
Ha i bambini intorno, apre lo sportello, si siede, non penso a niente, sono come bloccato mentalmente, mi guarda, o meglio mi ficca i suoi occhi dentro come se volesse trasferirmi tutte le sue sensazioni, ci riesce!
La vedo avvicinarsi, spiaccica due parole i soliti convenevoli, penso “mi piace, si è il tipo che mi piace!”.
Sento stringermi la mano, il braccio, si avvicina, mi bacia, sono confuso, non mi aspettavo certo un bacio, è dolce, le dico che ci sono i “suoi” ragazzi che ci guardano.
Finito il tempo a nostra disposizione, ci siamo scambiati dei regali, un po’ come quando i capi di stato vanno in visita in un’altra nazione.
“Ci rivediamo?”.
“Sì, ci rivediamo!”… certo che ho voglia di rivederla, di starle vicino, ridere insieme, baciarci.
Si allontana, va nella Galleria, sono in tilt. Faccio il giro della piazza, cerco di vederla: nulla, non la vedo. Purtroppo non riesco ad andare al suo albergo, non ho nessuno che mi copre, inventare una balla colossale non ci riesco proprio, l’ho sempre detto che sono la schifezza di tutti i ladri.
Non ci resta che il giorno della sua partenza, proprio il giorno della riunione del cda! Non ascolto il presidente, non ascolto i consiglieri, ascolto la mia voce interna, la voce del desiderio, della passione, da tanto non ero eccitato così.
Parto a razzo lasciandomi alle spalle tutto ciò e anche di più.
Traffico!
E che traffico!
Zigzagando tra le auto riesco a raggiungere il porto. IL PORTO! Non potevo immaginare luogo migliore per un incontro, il mare trasporta pensieri, desideri, attese, timori, andare incontro all’avventura, il rumore delle navi che attraccano, le voci concitate dei marinai che legano le funi alle bitte, immaginare le storie scritte sui volti dei passeggeri.
Lei è già sulla nave, mi vede, scende, stavolta sono più consapevole, entra in auto e con gesto naturale mi mostra i piedi gonfi… che desiderio che ho di baciarla, toccarla, quasi mi legge nella mente, prende la mia mano e se la porta sul seno, morbido seno, sudato seno, capezzolo duro, lo tocco, mi eccito, ci baciamo, anche se sono intimorito dalle persone che ci circondano e sempre dai “suoi” ragazzi che potrebbero fare la spia.
Sento la sua lingua, mi penetra, continuo a toccare il seno, mi piace… mi stendo sul sedile, incurante dei passanti, lei mi è sopra, mi piace, mi piace, si muove lentamente, sapientemente, quasi come se sapesse quello che mi piace, la accarezzo, lei continua a muoversi, ora ha aumentato il ritmo, mugugno, quasi in silenzio, sento il suo godimento, glielo leggo negli occhi, viene e si passa la lingua sulle labbra…
La realtà finisce dove ci sono i puntini sospensivi, lì inizia il sogno: stavolta ho sognato senza frenarmi!
Pensieri dell’anima: Rosa
Finalmente il grande giorno stava per giungere, Rosa guardava l’alba sorgere attraverso l’oblò di quel traghetto che ogni 12 ore faceva la spola tra Palermo e Napoli e che la stava portando proprio nella capitale partenopea, una città come le altre fino a un anno prima, ma che adesso aveva un fascino diverso…
Si preannunciava proprio una gran bella giornata quella, il sole si ergeva prepotente, mentre lei si apprestava a svegliare le ragazze che aveva l’incarico di accudire come educatrice: dovevano prepararsi allo sbarco utilizzando il bagno a turno e raccogliendo ogni cosa che appartenesse loro senza rischiare di dimenticarne alcuna.
Sentiva il cuore battere in petto sempre più forte, tentava di immaginare l’inimmaginabile ma, tuttavia, sapeva che qualsiasi cosa, anche la più banale, avrebbe suscitato in lei un’emozione che non avrebbe mai potuto dimenticare: l’avrebbe conosciuto e aveva una gran voglia di abbracciarlo, di stringerlo a sé e di farsi stringere… quante volte aveva sognato un momento simile! E poi, dopo l’abbraccio… nulla, meglio fermarsi.
Era sempre stata razionale e lucida e aveva con ogni mezzo tentato più e più volte di analizzare quel sentimento che era troppo grande per definire semplicemente amicizia ma non così grande da poterlo chiamare amore, Lu era un amore/amico o un amico/amore.
Non si spiegava con la ragione, infatti, cosa le avesse fatto percepire quelle vibrazioni che qualche volta l’avevano lasciata bagnata quando lui l’aveva provocatoriamente stuzzicata, le stesse che le avevano fatto venire voglia di allungare le mani e scostare le mutandine alla ricerca del nocciolino che le procurava l’estasi… la prima volta che era accaduto era stato dopo aver sentito la sua voce al telefono ma, quando stava per giungere al culmine, aveva ricercato il volto dell’altro, dell’uomo che in fondo amava con coscienza e con una intensità travolgente… eppure… eppure non era stata la voce dell’altro a farle ingranare la marcia, ma quella di Lu.
A un certo punto aveva smesso di farsi domande e di tentare di capire: le emozioni non si spiegano, a volte si rifiutano perché i sensi di colpa o i tabù o tutti i condizionamenti di cui siamo tristemente inzuppati ci costringono a farlo, altre volte si vivono… e basta.
Così una sera, mentre Lu era in spiaggia a inebriarsi di musica e parole e Rosa nel suo letto con un libro tra le mani a veder scorrere fiumi di parole sotto gli occhi senza leggerle, a centinaia di km di distanza, le vibrazioni avevano oltrepassato le barriere dello spazio, del tempo e degli sms e avevano dato conferma dell’esistenza di quell’indefinibile “di più”!
L’attracco, i richiami degli educatori, valigie e borsoni, sorrisi smaglianti tra sguardi assonnati, vocìo e frastuono, mille colori e l’odore acre del mare di Napoli: erano arrivati.
Rosa guardava lo scenario che le si apriva innanzi, sentiva che lì, di certo, Lu aveva potuto sentire quello stesso odore e assaporato il piacere di correre… chissà quanto tempo era passato…
“Io ci sono, sono scesa… dove sei?”.
L’emozione tradiva quella voce, rendendola malferma…
“Sto bloccato in mezzo al traffico, vengo verso te…”.
“Sbrigati, fai in fretta, sai che dipendo da altri…”.
“Ok… maledetto traffico!”.
La comunicazione si chiuse, il batticuore aprì un varco: Rosa guardava intorno le auto, cercava di scrutare i volti dei guidatori sperando di riconoscere tra i tanti l’unico volto di cui le importasse…
Di lì a poco la delusione: il pullman era già pronto!
Maledetti! Ma quando mai in un viaggio organizzato gli orari vengono rispettati?
La solita maledizione incombeva sui due: quante volte ne avevano riso insieme quando, per un motivo o per un altro, avevano dovuto interrompere una delle lunghissime telefonate nelle quali si aprivano reciprocamente, facendo fuori ogni sorta di inibizione e freno!
“Lu, sono ancora io… stiamo andando via, purtroppo, sei lontano dal porto?”.
“Non sono lontano ma impiegherò un po’ ad arrivare, la fila delle auto è lunga e lenta, mannaggia…”.
“Non posso aspettarti, lo sai, ti farò sapere più tardi dove mi trovo perché adesso non so nemmeno che direzione si prenda. Magari sarà più facile… mi spiace accidenti! Speravo di vederti subito…”.
“…anch’io… pazienza… farò un salto al lavoro ma tienimi informato!”.
Rosa seguì il gruppo, giro per la città, vista del golfo dall’alto, poi per vicoli del tutto simili a quelli della sua bella Palermo: panni stesi ovunque, colori e voci, bambini scalzi festosi col moccolo al naso. Tutto il mondo è paese!
Avevano giocato mille volte su immagini intercambiabili, su modi di dire del tutto simili, avevano scoperto le loro uguaglianze nelle differenze, le similitudini e le affinità: entrambi dal cuore grande, sensibili fino a farsi male per non farne ad altri, lui ostinato nella difesa del linguaggio corretto e non volgare, lei che lo trascinava nel gioco di parole che scadeva per colorarsi di dialetto e di vita: certe cose espresse senza eccessi non hanno lo stesso sapore e non hanno quell’effetto dirompente che si recupera nel linguaggio popolare! E lui aveva giocato, ridendo era pure scaduto in quel gioco perverso che inevitabilmente li portava ad unirsi là dove erano distanti.
Galleria Umberto, piazza Plebiscito, la Concessione: tre quarti d’ora di libertà, ciascuno col proprio gruppo, per acquisti o altro!
“Ce la fai in breve a raggiungermi?” implorò Rosa al cellulare.
“Certo, aspettami! Appena sono in zona ti chiamo”.
Ha inizio l’attesa, lunga, interminabile… Rosa sa di sentirsi felice, è sicura di sé, di ciò che sente, nessun dubbio circa quello che potrebbe provare nello scorgerlo!
La loro profonda conoscenza aveva avuto inizio quasi un anno prima e i due, a poco a poco, avevano vissuto lo snodarsi della vita dell’altro con tutte le preoccupazioni e le gioie che questa poteva apportare. Si erano raccontati in profondità e avevano imparato a volersi bene, tanto, e quando, inaspettata, era giunta l’opportunità di dare un volto a quelle voci era stata gioia immensa per Rosa, un po’ meno per Lu, che in quel frangente s’era trovato innanzi a un bivio e che, a dispetto dell’entusiasmo di Rosa, lasciava intuire un sottofondo di paura… ma paura di che? Rosa non capiva quando Lu pareva mettere i bastoni tra le ruote e, una volta, a bruciapelo e con la spontaneità di sempre chiese:
“Ma sei proprio sicuro di volermi conoscere?”.
Poi, finalmente, la rivelazione, sofferta, temuta… e la reazione di lei, inaspettata sicuramente… o forse?
Quella notte Rosa scoprì con dolore, tra fiumi di lacrime che inondarono il piccolo topolino di peluche che ostinatamente stringeva tra le mani, quanto immenso fosse il bene che provava per Lu, quanta sofferenza potesse causarle la scoperta di una così grande ingiustizia, quanta fortuna avesse avuto ad incontrarlo… soltanto tempo dopo poté comprendere a fondo quanto quell’incontro casuale avrebbe significato per lei e quanto l’avrebbe fatta crescere!
Quel segreto, mantenuto a lungo, aveva fatto sì che lei potesse essere se stessa fino in fondo, l’aveva guidata alla scoperta di un uomo speciale e infinitamente dolce senza doversi preoccupare di poterne urtare la sensibilità con interventi a sproposito: oramai era fatta! Lui conosceva lei e lei conosceva lui, nessuna parola poteva essere fraintesa e oltre al bene infinito non potevano annidarsi vittimismo o pietà che potessero minare quello che avevano costruito. Ne era sicura Rosa, lei sì, ma non poteva fare a meno di avvertire a pelle la preoccupazione di Lu: per lui era diverso, ne aveva avuto conferma più volte negli ultimi giorni! Per Lu non c’era solo la gioia di vedere Rosa, di poterla finalmente guardare negli occhi, per Lu era come superare un esame, uno dei tanti, troppi… non ci aveva ancora fatto il callo e, forse, non lo avrebbe fatto mai e a ragione: troppi gli ipocriti, troppi i paurosi.
Siamo nel nuovo millennio eppure la disabilità fa ancora paura a molti! Non siamo abituati a rapportarci con chi è diversamente abile solo perché i nostri handicap, meno evidenti a uno sguardo frettoloso ma tuttavia presenti, si possono camuffare e rendere invisibili! Stupidi, maledetti stupidi!
Rosa sapeva che lui si fidava delle sue parole ma anche che aveva imparato, nel tempo e a proprie spese, a non farsi illusioni. Le faceva rabbia tutto questo ma lo comprendeva.
Finalmente lo squillo:
“Sono vicino a te…”.
“Dove?”.
Rosa si girava intorno cercando di scorgerlo e lui dava indicazioni circa una fontana, un bus giallo… ma dov’era?
L’equivoco: lei cercava in piazza, lui era parcheggiato lungo la strada. La corsa verso l’auto seguita dalle ragazze che aveva avvisato preventivamente dell’arrivo dell’amico, eccolo, una testa si abbassa dentro l’abitacolo alla ricerca del suo sguardo: è lui!
Apre la portiera e si tuffa all’interno, un veloce bacio sulla guancia e lo sguardo, intenso, interrotto dalla presenza innocente delle ragazze… le presentazioni, il far finta di essersi incontrati chissà quante volte mentre il cuore esce dal petto. Rosa cerca le sue mani, le stringe mentre continua a fissarlo in quegli occhi bellissimi ma sfuggenti… si avverte ancora la paura del giudizio, ma basta una frase sussurrata appena per dissolvere ogni quid:
“Ho voglia di baciarti, Lu…”.
Sorriso imbarazzato impregnato di sollievo: aveva visto giusto, avrebbe potuto abbandonarsi al suo sogno, poteva finalmente slacciare le cinture di sicurezza senza timore alcuno perché lei, Rosa, era vera, era stata autentica, sempre… Rosa era “diversa”.
Le mani, l’unica parte di quei corpi che è possibile toccare senza destar sospetti, sono in quel frangente la chiara espressione di quanto ci sia dentro: si stringono, si stritolano quasi, si cercano, si rincorrono, si lasciano e si riprendono, si penetrano, si accolgono… sono mani che fanno l’amore, mani che sudano e ansimano…
D’un tratto una voce spezza l’incantesimo: è il collega di Rosa che si avvicina, Rosa fa le presentazioni dovute e lui si offre di portare con sé anche il gruppo di lei. Si rivedranno di lì a poco al luogo di raduno convenuto! Saluta e va… Rosa non crede ai propri occhi: adesso è sola. Sola per modo di dire: è su un’auto, al centro di una via supertrafficata, con l’incubo dei cappellini gialli che ronzano intorno sovrastando le testoline dei ragazzi del gruppo, ma adesso deve fare ciò che ha sognato da tempo.
“Lu, baciami…”.
Lui le sfiora le labbra e si ritrae in fretta guardandosi intorno impaurito: troppa gente, troppo in vista.
“Lu, non così… voglio la lingua, dammela”.
Lei s’avvicina, quel turchese che indossa lo abbaglia, le labbra vicine, il fiato che si mescola, le labbra unite, le lingue si toccano, si gustano, è solo un attimo… poi la paura di venir visti.
“Rosa, stai attenta… ho paura che ti scoprano…”.
“Lu, dovevo farlo… Dio come mi batte il cuore…”.
Quel gusto dolce, la lingua di lui quasi sfuggente, timorosa, e lei provocatrice, fintamente profanatrice di quel tempio falsamente controllato da lui, dalla razionalità di lui che non si allenta ma che, per un attimo, dimentica e s’abbandona al gioco vorticoso, la lingua di lei che saetta dentro e cerca irrispettosamente quella di lui all’inizio, solo all’inizio, per poi trovarsi corrisposta nell’impasto di emozioni umide e saporite… quel momento Rosa se lo porterà dentro per sempre…
Uno sguardo all’orologio: come vola il tempo quando invece vorresti si fermasse!
Scambio dei doni, passaggio di sacchetti a sorpresa: si scoprirà in seguito il comune denominatore di un sogno dal titolo Your song che passa da una parte all’altra, da Palermo a Napoli e viceversa, seppur in versione diversa, mentre un topolino dall’oscuro significato, dopo aver attraversato lo stretto, è arrivato a destinazione.
Le mani tornano a stringersi, l’emozione è sempre più forte. Bisogna andare… i due fanno l’amore con lo sguardo, un bacio sfiorato e un sussurro in contemporanea:
“Ti voglio bene… e tanto…”.
Si apre la portiera, Rosa attraversa sotto lo sguardo protettivo di Lu che la segue fino a che non la vede sparire all’interno della Galleria… Rosa sa che adesso Lu ha dissipato ogni dubbio, sa che non mentiva, sa che la sua autenticità non era mera finzione, sa che lei è davvero fatta così.
I giorni successivi, pochi del resto, furono un susseguirsi di rincorse senza potersi prendere…
Rosa, di tanto in tanto, scorgeva dentro la valigia il perizoma bianco: l’aveva cacciato dentro per lui: se fosse accaduto loro di rimaner da soli, avrebbe voluto che la guardasse a lungo con quell’indumento addosso – a lui piaceva il bianco – che glielo scostasse per scoprire appena la sua profondità in un eccitante gioco lungamente condotto a turno, che si inorgoglisse del suo essere umida… sapeva che quell’indumento, se mai tutto questo fosse accaduto, non sarebbe tornato a Palermo ma sarebbe rimasto a Napoli, muto e odoroso testimone di qualcosa di grande… poi lei, a sua volta, avrebbe voluto sentire il turgore di lui attraverso quell’indumento: sarebbe andata cavalcioni per inorgoglirsi di ciò che aveva saputo provocare… solo dopo si sarebbero abbandonati all’amore, senza ritegno, senza tabù: si conoscevano troppo a fondo per averne e per farsi imprigionare dentro schemi falsamente perbenisti!
Avrebbero dimenticato i loro amori, incuranti di quei sensi di colpa che in seguito, forse, avrebbero sgomitato per venire su in superficie per dar vita al loro “amore”, un amore strano, fatto di magia e di emozioni, un amore/non amore che aveva il diritto di essere vissuto perché la vita ci nega già troppo, un amore insolitamente pieno, privo di menzogne: a ben riflettere, un desiderio interrotto o negato era già un tradimento, dunque la frittata era fatta, tanto valeva andare fino in fondo.
Purtroppo tutto sembrava tramare contro i due: per lui i limiti della presenza a orari fissi di una donna nella sua vita, donna che tanto amava a dispetto di ciò che avrebbe voluto comunque vivere, e i gravosi impegni di lavoro in un periodo che si poteva con un eufemismo definire semplicemente “critico”; per lei quelli connessi al compito che stava svolgendo: era lì per lavoro, in compagnia di altri e aveva la responsabilità di un gruppo di adolescenti di cui non poteva liberarsi facilmente!
L’unico momento da “vivere” rimaneva quello del saluto, ammesso che lui fosse riuscito ad arrivare in tempo al porto solo alla fine di quella maledetta importantissima riunione alla quale non poteva assolutamente mancare…
La lunga fila di ragazzi, valigie e accompagnatori, in attesa di salire sul traghetto per tornare a casa, segnava la fine di un sogno non vissuto: Rosa era lì, consapevole d’aver perso un’occasione unica ma piena di speranza e quasi certa che non sarebbe andata via senza rivederlo ancora, anche stavolta per pochi minuti… le telefonate, un continuo avvisarsi delle distanze quasi insormontabili, il continuo far capolino verso l’ingresso dopo la comunicazione “Sono all’interno del serpentone di auto che porta a te…”.
Un caldo soffocante, l’opprimente sensazione di non farcela, tutto sfugge al controllo, non c’è tempo… All’improvviso, eccolo: Rosa tira un sospiro di sollievo, corre verso l’auto, un attimo e si catapulta dentro, lo bacia sulla guancia perché è l’unica parte che lui offre di sé in quel frangente… vorrebbe avvicinarsi a quella bocca ma sente che non è il momento… le mani, ancora una volta, si stringono:
“Temevo di non farcela…”.
“Anch’io temevo di non riuscire a rivederti” e mentre finiva di dirlo, Rosa piantava i piedi privi dei sandali proprio sul cruscotto:
“Guarda che caviglie! Meravigliose, vero?”.
Faceva mostra di quelle caviglie eccessivamente gonfie per lo stress di quei giorni, quasi a voler creare un’atmosfera di gioco, e non si rendeva conto di star regalando un momento di profonda intimità che sarebbe stato a lungo ricordato… l’avrebbe saputo dopo…
Gli occhi negli occhi, le mani nelle mani, scivolose, d’un tratto inaspettata, ma non insolita o strana, la richiesta di lui:
“Posso accarezzarti la pancia?”.
Lei sapeva di quella sua dolce “mania”, gliene aveva parlato qualche volta quando, senza volere, aveva narrato uno dei suoi momenti intriganti in cui una tipa un po’ eccentrica aveva fatto mostra del suo ombelico… sapeva, dunque, che quella richiesta era l’esplicitazione di tutto il fermento che c’era dentro lui e che, seppur tentasse in ogni modo di contenere, era venuto fuori, traboccante…
“Certo che puoi…” e sollevò la canotta per porgergliela, continuando a far l’amore con lui con lo sguardo e cercando di leggere dentro a quel verde… e lesse… e capì che se non avesse condotto ancora una volta il gioco questo si sarebbe interrotto: troppo timido nonostante le certezze e le conferme! Continuò a scrutare e aggiunse:
“So quello che vuoi, puoi andare… prendilo, tocca il mio seno se vuoi…”.
Lu sorrise malizioso e soddisfatto, lei aveva capito, aveva colto la sua eccitazione… la mano cominciò a farsi strada, faticando non poco per attraversare l’aderenza di quella canotta resa ancor più appiccicosa dal sudore, figlio dell’afa e dell’eccitazione di lei… si arrampicò sulla sommità del seno per indugiare attorno al capezzolo, quasi a circumnavigarlo più e più volte, prima di sfiorarlo e percepirne il turgore, per poi stringerlo, quasi a strizzarlo, mentre il respiro di lei si faceva ritmicamente più veloce.
Rosa stava lì, la testa scostata dal sedile, protesa verso lui a raccogliere e far propria ogni emozione: il cuore scoppiava mentre sentiva ritmiche pulsazioni in basso, tra le gambe, ed avvertiva il fluido caldo scorrere… avrebbe voluto dirglielo, ma forse avrebbe spezzato la magia di quell’istante, sentiva le dita scorrere sul capezzolo e avrebbe voluto poter essere nelle condizioni di liberarlo dalla prigionia per offrirlo alla dolcezza umida della sua bocca: sapeva che lui l’avrebbe trattato con dolcezza, che la sua lingua l’avrebbe sfiorato prima, leccato avidamente poi, succhiato prepotentemente in seguito per finirlo a morsi, leggeri… sentiva in quei gesti il desiderio impadronirsi di lui e sapeva che, se avesse allungato una mano, ne avrebbe avuto conferma… d’un tratto passò dal pensiero all’azione: non doveva e non poteva permettersi di andare via senza averlo fatto.
Lo guardava negli occhi e la sua mano avanzò lenta, molto lenta, fino a poggiarsi in direzione della lampo che sembrava scoppiare… lo massaggiò da sopra i jeans tesi mentre sentiva Lu ansimare e lo vedeva socchiudere gli occhi, poi anche lui capì che non poteva fermarsi: alzò la canotta di Rosa e lei si fece incontro a lui, gli prese la testa tra le mani a guidarla verso il seno, lo sentì affondare il viso, annusare, leccare, proprio come aveva immaginato, intanto con l’altra mano armeggiava faticosamente per calar giù la lampo… la cacciò dentro e immediato avvertì il calore, il turgore e l’umido emergere e sporcare le mutandine di lui… si guardarono negli occhi, un cenno d’intesa e Lu avviò l’auto alla ricerca di un posto meno popolato…
Si fermò: la gente distava non molto e non poco, ma era sufficiente perché l’opera intrapresa potesse essere portata dignitosamente a termine… il sesso di lui traboccava dai jeans e Rosa poté andar giù con la testa per affondarci il naso, per passarci la lingua attorno, e in lungo, per prenderlo in bocca e succhiarlo… poi lasciò la presa: lo voleva dentro! Era pericoloso ma estremamente eccitante, passò sopra di lui, le ginocchia piegate a mo’ di contorsionista, se lo guidò dentro e cominciò a muoversi lentamente mentre sentiva le spinte di Lu dolce prigioniero del suo peso, e lo baciò guardandolo negli occhi: lui penetrava lei giù ma lei penetrava lui su, quella bocca, oramai violata, era costretta a raccogliere e a giocare con le linguate di lei che saettavano dentro così come il sesso di lui affondava dentro lei mentre le strizzava i capezzoli… Rosa portò la sua mano sul nocciolino: aveva bisogno di toccarlo se voleva venire insieme a lui, non aveva mai capito perché non riuscisse a venire con la penetrazione, a volte si chiedeva se tutte le donne fossero come lei o se fosse anormale, ma con lui non poteva e non voleva fingere un orgasmo, lo voleva e voleva fargliene dono… andarono avanti, in un ondeggio pericolosamente impetuoso finché non arrivò l’esplosione, intensa, per entrambi, ma…
Il suono invadente e assordante della sirena echeggiò nell’aria… Rosa si scosse e… dovette guardar giù tra l’immensa fila di auto per individuare quella di Lu e la sua mano che salutava insistentemente: aveva solo sognato, mentre si avviava sul traghetto e raggiungeva il posto più alto, fino a toccare il pennone, perché lui potesse a sua volta vederla!
Prese il cellulare e fece in automatico il numero: “Lu, guarda in altro, a sinistra del pennone, sto lì, mi vedi?”.
“Quel puntino turchese sei tu? Sì, ti vedo…”.
Le mani in segno di saluto, la gioia di essersi rivisti e la struggente consapevolezza di non aver potuto andare oltre li avvolsero entrambi… nemmeno un bacio s’erano concessi:
“C’è troppa gente, Rosa, potrebbero vederti dal traghetto…”.
E lei, a malincuore, l’aveva ascoltato per pentirsene immediatamente dopo: avrebbero potuto soltanto intravvedere un puntino blu da lassù, quello dell’auto, null’altro… peccato, peccato davvero… un’altra volta, se avessero avuto ancora l’occasione di rivedersi, sicuramente sarebbe andata in altro modo, si disse Rosa, certa che anche lui, in quel momento, pensasse la stessa cosa.
Sarebbe andata così come lei aveva immaginato nel suo sogno, quello racchiuso nella parte contenuta tra i due spazi.
(Pensieri dell’anima)
Atar
“Atar” è ovviamente uno pseudonimo e, se l’autore lo ha usato, non vediamo perché aggiungere qualche notizia su di lui, come in genere facciamo nel commentare gli inediti. Diciamo solo che, come si evince da Pensieri dell’anima, è partenopeo e che un altro suo bel racconto (Il viaggio, di genere e tematiche analoghe, è comparso sul n. 20 (aprile-maggio 2005) di Scriptamanent.net (clicca qui).
IL COMMENTO CRITICO
Chi non ha mai provato la curiosità di entrare in una chat line per vedere, con poche frasi, chi si avvicina dall’altra parte cercando di avviare una interazione? Molti della mia generazione, quarantenni e oltre, trovano strano farsi influenzare da questi strumenti e continuano a preferire incontri più o meno casuali in luoghi vivi. Altri, di svariate età, hanno imparato a penetrare la rete scoprendo come sia assai più facile del previsto andare oltre la realtà virtuale per ottenere incontri, per lo più erotici, con persone già orientate nella nostra stessa direzione e selezionate dal filtro di alcune domande chiave che si pongono di routine ad inizio percorso.
Io non so molto di chat line e di rete come strumento per incontrare gente, però a volte faccio qualche conversazione nascondendomi dietro un personaggio cattivo e acido che tronca le conversazioni con modi bruschi al primo cenno di risposta noiosa e banale. Cioè quasi sempre dopo poche battute! In rete lancio volentieri e senza farmi problemi quel “NO, grazie” che in giovinezza non ho quasi mai detto, ritenendo sgarbato e scortese rifiutare di uscire con chi me lo chiedeva, anche se non provavo alcun interesse specifico. Perciò viene da chiedersi se in rete si sia più veri di quanto non si riesca ad essere nella realtà o se ci si inventi “personaggi” che nulla hanno a che vedere con noi!
La ragione di questa piccola digressione iniziale sta nel fatto che il racconto Pensieri dell’anima ruota attorno ad un incontro nato proprio da un contatto in rete che presto si trasforma in conversazione telefonica e, infine, dopo circa un anno, cerca di diventare storia a tutti gli effetti.
I personaggi della storia – Lu e Rosa sono i protagonisti di questo singolare incontro che arriva, dopo una intensa conoscenza virtuale, al punto previsto, cercato e desiderato, ma lo supera senza realizzarsi, se non nella mente dei due amici-amanti. Due persone vere, autentiche, anche attraverso il mondo di internet hanno avviato un rapporto che, diversamente, non avrebbero potuto vivere perché abitano in città piuttosto lontane, perché sono entrambi sposati e perché, come si scopre leggendo, uno dei due “non muove un passo dall’età di 13 anni”. La disabilità del protagonista maschile non si pone però come fattore-guida del racconto, come spesso accade nelle storie narrate dai portatori di handicap, ma viene introdotta nel corso del racconto come momento certamente importante per Luigi che deve, ancora una volta, misurarsi col giudizio degli altri. Rosa, però, rende questo passaggio molto fluido, una risposta semplice liquida il problema ad un paio di righe della narrazione e tutto il discorso che si potrebbe fare sul disagio che investe i disabili nel momento in cui vogliono vivere la loro sessualità, finisce lì. Senza nulla togliere alla profondità del vissuto del protagonista Luigi, di cui poco altro sappiamo se non che fa un lavoro di un certo rilievo (dal momento che partecipa ad un cda), che guida un’auto, che è evidentemente di aspetto piacevole, potremmo dire che le emozioni dell’avventura che ci racconta si snoderebbero allo stesso modo anche se lui non avesse questo handicap. E forse questo è, per quanto riguarda il contenuto, l’aspetto più interessante del racconto. Si può vivere una storia d’amore, lasciarsi andare ai sogni erotici con una donna conosciuta in rete, mandare avanti la propria vita quotidiana, cercare di rubare momenti propri e inseguire il gusto del proibito anche se si è legati per sempre ad una sedia a rotelle. Ci piace vederlo così.
La struttura della narrazione – Come parere strettamente personale ci pare del tutto superflua la premessa iniziale: il racconto si percepisce nella sua profondità per quello che ci comunica in sé e non perché l’autore ci chiede di essere attenti e di “usare il cuore”. A parte questo piccolo rilievo, il testo di Atar risulta ben sviluppato secondo una struttura parallela che esprime il punto di vista di Luigi e di Rosa su quell’incontro erotico che tanto hanno desiderato e che sembrano vivere all’unisono al punto di immaginarselo più o meno uguale. Narrato in prima persona, con frequente ricorso al monologo interiore, il racconto del protagonista maschile ci proietta velocemente dall’arrivo di Rosa al sogno erotico, riferendoci lo stretto indispensabile sugli eventi che lo hanno preceduto, fra i quali anche il riferimento al suo handicap. La narrazione del punto di vista di Rosa avviene invece in terza persona, con un narratore che però è dentro la testa, le emozioni, il vissuto interiore di Rosa. Perché non tentare, ci permettiamo di suggerire all’autore, di formulare il racconto direttamente in prima persona, con la voce narrante di Rosa stessa? In ogni caso si percepisce la frenesia che anima i due cuori, si coglie tutto l’imbarazzo della situazione e il desiderio di superare tutto, le convenzioni, i tempi stretti, la folla attorno e tutta l’incredibile serie di ostacoli che frenano gli impulsi sinceri dei due amanti.
Un “amore” virtuale – Così, la storia nata da un incontro in rete, mandata avanti attraverso telefonate e adultere conversazioni erotiche non poteva che rimanere, di fatto, virtuale: gli amanti sognano a vicenda il loro amplesso in auto, vivono l’emozione masturbatoria, esattamente come avevano fatto tante volte in quel primo anno di frequentazione proibita, e si salutano da lontano, lei alla sinistra del pennone, lui intrappolato nell’auto che avrebbe potuto essere il luogo reale della loro storia d’amore. Per Lu e Rosa forse l’unico spazio di espressione rimarrà la rete: impalpabile, irreale, ma, in fondo, più vera della realtà?
L’immagine: particolare di un affresco (1570-73) del Palazzo ducale di Parma ad opera di Jacopo Zanguidi detto il Bertoja (Parma, 1544-ivi, 1574).
Angela Verzelli
(LucidaMente, anno I, n. 10, ottobre 2006)