Il 17 maggio scorso la giornata mondiale contro omofobia, bifobia e transfobia è stata un’occasione per parlare di uguaglianza e soprusi e fare il punto sulla situazione italiana in merito ai diritti della comunità Lgbtq+
Ventimila: questo è il numero delle denunce che, in un anno, sono arrivate al numero verde contro l’omofobia Gay help line gestito dal Gay Center nazionale. Il 70% di esse riguardava casi di omofobia, 3.200 sono state fatte da minori e ben 400 segnalavano maltrattamenti gravi, soprattutto da parte di familiari. È proprio su questo dato che si concentra l’ultima campagna lanciata da Arcigay lo scorso 17 maggio che, attraverso le storie di quattro ragazzi discriminati dai propri genitori, ha cercato di porre attenzione su uno dei lati più oscuri dell’omotransfobia.
«Mia madre non mi sorride mai, mi disprezza e dice ai miei fratelli che sono malata solo perché sono lesbica», «I miei genitori mi tengono chiuso in casa da mesi e non mi fanno vedere e parlare con nessuno perché sono trans»: queste, e altre, sono le poche righe che condensano le vicende dei giovani scelti come campione nel video realizzato per l’iniziativa. Un’esigua testimonianza per rappresentare numeri molto più ampi in una realtà, quella italiana, che resta ancora densa di stereotipi di genere e odio nei confronti del “diverso”. Secondo la commissione Jo Cox del luglio 2017 – sull’intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni di odio – il 25% degli italiani crede che l’omosessualità sia una malattia e i numeri si alzano se andiamo a considerare chi pensa che i gay siano uomini effeminati (il 43%) e chi ritiene le lesbiche donne mascoline (38%). Inoltre, oscilla fra il 20 e il 40% circa la quota di chi ha delle riserve sul fatto che omosessuali o trans possano ricoprire cariche pubbliche (vedi anche Giornata contro omofobia: un italiano su 4 pensa che l’omosessualità sia una malattia).
Nel quadro europeo, l’Italia è 32a nella classifica di Ilga (International lesbian and gay association), che confronta i diritti garantiti dai diversi Stati alla comunità Lgbtq+. Il nostro Paese è ben al di sotto della media dell’Unione europea e mostra evidenti carenze sul piano legislativo per quanto riguarda, ad esempio, i crimini o i discorsi d’odio, o un riconoscimento ad hoc per le famiglie “arcobaleno”.
La situazione peggiora se pensiamo che, oltre alle violenze fisiche (a subirle sono maggiormente i transessuali), vanno tenute in conto anche quelle psicologiche, impossibili da censire in una statistica (leggi anche Omosessualità, figli e genitori). «Oltre agli atteggiamenti più espliciti, esiste un tipo di omofobia strisciante – ha spiegato lo psichiatra senese Claudio Mencacci a Tpi – che si declina in battute e considerazioni critiche in modo aprioristico che azzerano il dibattito e alimentano un certo tipo di mentalità». In questo panorama non mancano le posizioni di chi crede che l’omosessualità sia una rinuncia alla sessualità “normale”, pertanto una patologia che sia possibile sanare con adeguati percorsi di guarigione. La discriminazione e la violenza possono nuocere doppiamente se provengono dal proprio contesto familiare, sia se denunciate sia ancor più se taciute.
«Il mancato riconoscimento e sostegno da parte dei genitori e dei parenti in genere è per molte ragazze e ragazzi un’esperienza dolorosa – ha commentato Gabriele Piazzoni, segretario nazionale di Arcigay – e abbiamo voluto dirlo chiaramente: una famiglia in cui omofobia, lesbofobia, transfobia e bifobia non restano fuori dalla porta non può dirsi famiglia, perché fallisce clamorosamente nel dare ai figli e alle figlie il sostegno, la comprensione e l’amore di cui hanno bisogno» (vedi anche Maschile, femminile e neutro: questione di “gender”).
Le immagini: una delle foto della campagna contro l’omofobia lanciata di recente da Arcigay, tratta da gaypost.it; un’immagine sui diritti omosessuali da voglioviverecosiworld.com.
Sara Spimpolo
(LucidaMente, anno XIII, n. 150, giugno 2018)