Dal romanzo “Un prolungato presente” (Albatros Il Filo) di Renzo Rocca e Giorgio Stendoro, un brano intriso di solarità, ambientato in una magica Sorrento
Del romanzo Un prolungato presente (Albatros Il Filo, Roma 2021, pp. 360, € 16,50) degli psicoterapeuti Renzo Rocca e Giorgio Stendoro, LucidaMente ha già scritto un paio di mesi fa (leggi Una giovinezza dorata… ma non tanto). Stavolta intendiamo proporre al lettore un bel brano tratto dal libro. Si tratta quasi dell’inizio della narrazione e vi troviamo delineata l’indimenticabile figura del protagonista, il giovane Athos, col suo mondo, i suoi pensieri e ricordi. Tutt’intorno, lo splendido scenario della costa sorrentina.
È un pomeriggio assolato. Pigramente e senza avere alcuna meta, Athos s’addentra camminando nel fondovalle verso Sorrento. La luce mite del sole di maggio fa risaltare il tragitto delle nuvole sfilacciate, tinte di un incredibile rosa pallido. Una diffusa fioritura spontanea profuma l’aria di limone e accompagna il giovane lungo un’anonima stradina che sale fino ai piedi del bosco, superato il quale l’erta s’addolcisce. Non sente rumori di traffico né di voci, solo il fruscìo delle fronde degli alberi, alcuni chini l’uno sull’altro. Intorno c’è un silenzio irreale, che viene interrotto unicamente dal vivo canto di un uccello isolato appollaiato su un pino marittimo. Athos ha dinanzi agli occhi l’orizzonte che s’intreccia con la distesa del mare, e tutto si fonde in un chiarore luminoso, essenziale. Uno spettacolo. Ha la fronte spianata da una tensione quasi palpabile. Non è lucido, forse per l’insistente stanchezza dovuta alla fatica sui libri. A ripensarci, l’esame di Diritto pubblico comparato, conseguito con il massimo dei voti, non era stato particolarmente noioso. E poco importa se quello che ha studiato non l’ha certo capito del tutto. Pensa nervoso: “Al diavolo! Non sempre è utile essere il primo della classe!”.
Athos è nato venti anni prima a Sorrento sotto il segno dello Scorpione, ascendente Leone. È stato sempre contento di portare il nome del nonno paterno in onore alla sua memoria. È l’unico erede di genitori divorziati. Il padre, Daniele De Luca, è un pianista di fama mondiale; la mamma vive in Florida con il suo compagno e ufficiosamente lavora come redattrice per una casa editrice americana. Il giovane non intende affatto fare la vittima a causa della separazione. Del resto, abita in uno dei quartieri più esclusivi della città. La sua villa a due piani, dove gioca a tennis, nuota in piscina e cammina a piedi nudi, per adesso è tutta per lui. In pratica, può fare quel che desidera senza disturbare né dar conto a nessuno. Ha una regola personale: evita per quanto possibile di scavare a fondo nel proprio passato più remoto perché farlo potrebbe solo nuocergli. È troppo rischioso. Ma, una cosa, l’ha capita: solo un genio della psicologia potrebbe aiutarlo a uscire dallo stato di malessere. “Verrà pure il tempo di farmi psicanalizzare”, pensa. Tossisce, tira su con il naso, chiude gli occhi e li riapre.
Gli piace riandare con la memoria a qualche bell’avvenimento del passato. Rivede la mamma dirgli: «Se un giovane non ha carattere, deve seguire sempre un metodo». Senza rendersene conto esclama ad alta voce: «Vero!». Non è intenzionato a crogiolarsi nell’umore nero, perché non intende stravolgere la giornata. Tenta di fischiettare come fa il padre; ci riesce in parte. Tenendosi il sole alle spalle, prosegue sul tortuoso sentiero intricato di vegetazione selvaggia, che in qualche punto gli arriva alle ginocchia, e giunge a un luccicante torrente che a balzi scorre fino al mare. Come un perditempo lancia alcuni sassi per farli guizzare nell’acqua. Man mano che scende, l’aria si fa più calda e l’arsura incomincia a prenderlo. Dopo una svolta intravede scorci di campagna sfocata d’ombre e di luce, che si stende fino alle porte di Sorrento. Un paradiso terrestre, impreziosito da vari colori, che ha qualcosa di mitologico. Qui il padre ha vissuto il suo ideale di giovinezza e ora lui cerca di sviluppare il suo. Sembra una combinazione magica, messa in scena da un destino non scelto e irreversibile che, se per un motivo o per l’altro non va per il verso giusto, ti frega per sempre. Athos non ha mai avuto dubbi sul fatto che non sia possibile liberarsi dalla propria sorte. Certo ci sarà una ragione se la pensa così. Ma quale? Scuote infastidito la testa. Se aspira a una stabilità emotiva, deve subito affrancarsi da un simile burrascoso interrogativo.
La vocina dentro, quella che parla e ha confidenza solo con lui, sussurra: “Buttati a vivere la vita, anche se la percepisci come dura e difficile, e non scherzarci troppo, se vuoi crescere in fretta”. Ragionevole idea. Decide di cercare un posto all’ombra nel sottobosco. Attraversa un campetto di calcio ed evita di calpestare le piccole creature che si muovono o sbucano all’improvviso tra le macchie di spinosi cespugli e rovi di lamponi. In realtà è un fazzoletto di terra battuta davvero desolante, disseminato di sterpaglie, di fiori riarsi dal sole e assediato dalla gramigna. Inclinato verso il profilo dell’orizzonte, un tempo era un podere arato coltivato dai suoi trisnonni. Da piccolo, quando usciva da scuola, con addosso i jeans tagliati al ginocchio, disputava la partita con gli amici mettendo come pali delle porte i loro libri. Si stupisce di ridere tra sé e sé.
Un po’ più grande, invece, giocava nel campetto sportivo delimitato da uno steccato, di proprietà della chiesa. Era considerato il miglior giocatore? Forse, ma solo perché aveva il suo angolo dei tifosi, in particolare Roberto, l’amico del cuore, sua sorella Francesca, la mamma, la governante Lucia e a volte il babbo. Se segnava un gol, i suoi fans, infiammati, urlavano insieme a tanti altri della parrocchia. Insomma, un po’ di gente amica gli donava momenti di gloria transitoria. Andando avanti meccanicamente, supera una rudimentale croce di legno, che nessuno sa perché sia stata messa lì; esce dal sentiero per evitare la pendenza e incontra un’erbosa radura. Rimane lì, nel punto ideale. Si siede e appoggia la schiena all’ombra di un grosso albero. Dà un’occhiata verso l’alto per guardarne la gonfia chioma che ondeggia qua e là per l’aria, piena d’invisibili uccelli che battono le ali uno dopo l’altro. Specie quando infuriano il vento e la pioggia, quella pianta secolare dona riparo a tanti animali e non solo. Lascia cadere tali pensieri, di nessuna importanza. Sospira di piacere nel sentire l’inconfondibile odore dell’umida terra coltivata. Finalmente si gode il riposo. È davanti a un posto mitico, che trasmette una sensazione chiara di salute e di benessere. Si perde nello scrutare il cielo velato dalla calura mediterranea.
(Da Renzo Rocca e Giorgio Stendoro, Un prolungato presente, Albatros Il Filo, Roma 2021, pp. 10-14).
Le immagini: oltre alla copertina del libro segnalato, a uso gratuito da pxfuel.com.
Isabella Parutto
(LucidaMente 3000, anno XVI, n. 186, giugno 2021)