L’ingegneria strutturale della diegetica è oggetto di studio della semiotica testuale e il suo campo di applicazione si concentra sulla fruibilità del libro scritto. Senza distinzione tra letteratura alta e bassa
Il “romanzo mondo”, o global novel, non è una novità dei nostri tempi; esso esiste da secoli, quando ancora non c’era la globalizzazione, anche se oggi coincide con la letteratura più popolare e di consumo.
Pensando ai testi per ragazzi tradotti in tutto il mondo e privati dei tratti locali d’origine, vengono in mente tre titoli noti: I ragazzi della via Pàl di Ferenc Molnàr che, ambientato a Budapest, prescinde completamente dallo spazio geografico e semantico-testuale; Pinocchio di Carlo Collodi, il cui tratto autoctono risulta irrilevante ai fini dell’efficienza narrativa e didattica del racconto; Cuore di Edmondo De Amicis, tradotto in tutte le lingue e diffuso in Germania come in Svezia, Ungheria e Corea. Nonostante, in questo caso, le vicende del libro siano riconducibili a luoghi definiti e precisi, il messaggio universale del testo travalica i confini nazionali, venendo recepito in qualsiasi parte del mondo. (Se vogliamo, variatis variandis, anche la Commedia dantesca è un’opera dai tratti fortemente fiorentini e italiani ma, nel suo significato ultimo e globale, essa supera ogni frontiera, raggiungendo l’intera area cristiana dell’epoca).
Il destinatario modello è, appunto, il pubblico dei ragazzi di ogni nazione. In seno alla critica letteraria odierna possiamo trovare due differenti interpretazioni di questo tipo di romanzi. Il maggior studioso italiano delle loro dinamiche spaziali, Franco Moretti, definisce “opere mondo” quei libri che fanno programmaticamente riferimento al sistema globale complessivo, in quanto cosmo conoscitivo e morale, come ultima immagine dell’antica totalità del senso. Si pensi, per esempio, ai grandi capolavori della letteratura epica moderna, da Faust a Cent’anni di solitudine. L’altro tipo di interpretazione – di cui ha parlato recentemente lo storico della lingua italiana Vittorio Coletti – riguarda quei narratori contemporanei non appartenenti a una cultura nazionale specifica e ricettibili dai destinatari di ogni Paese; i loro romanzi sono scritti per lettori mondiali, non vincolati ai propri territori e attratti da strutture novellistiche globali. Parliamo, dunque, di “opere mondo” tenendo presente quella produzione che ambisce al mercato universale, al di là dei personali tratti spaziali e locali (spazio delocalizzato).
Il “romanzo mondo” punta a destinatari il cui modello di lettura è riconoscibile ovunque, con una valenza transnazionale; si tratta di una bibliografia destinata al consumo intercontinentale, scritta – si passi il paradosso – più per essere venduta che per essere letta e il cui capostipite contemporaneo è senz’altro Gabriele D’Annunzio. Essa può essere paragonata, per la sua diffusione, al genere fantasy o mistery (e, magari, con la componente noir). In questo senso, non possiamo essere d’accordo con Pietro Citati quando, provocatoriamente, sostiene che è meglio «non leggere affatto» piuttosto che seguire un certo tipo di “letteratura mondo”, da Dan Brown a Paulo Coelho e Giorgio Faletti. Il critico fiorentino accosta, del tutto arbitrariamente e senza storicizzazione, i best seller di questi autori ai romanzi di Honoré de Balzac, Jorge Luis Borges, Charles Dickens, Franz Kafka e Lev Tolstoj, per poi calarsi all’interno del contesto temporale e storico (humus culturale) che ha permesso loro di produrre un certo tipo di letteratura. I valori culturali e artistici dell’epoca non sono gli stessi di oggi e non possono essere condivisi allo stesso modo (cfr. Pietro Citati, Dan Brown, Coelho, Faletti: best seller da non leggere, in www.corriere.it).
Al semiologo del testo interessano le strutture della diegesi, cioè il modo col quale si costruisce l’ingegneria semiotica di un libro e con cui i meccanismi della narrazione e della narratività si articolano, interagendo dentro lo stesso. Dal punto di vista ingegneristico, sono da rilevare i processi tecnici della struttura del romanzo, quali le anacronie temporali (analessi, prolessi, dissolvenze incrociate), i livelli della fabula e dell’intreccio, la sfilza dei personaggi, gli attanti, il modo in cui si genera la suspense e l’abilità del narratore nel mantenerla alta, per non annoiare il lettore. Abbiamo affrontato racconti, ritenuti capolavori da un certo tipo di critica, che ci hanno indotto, dopo pochi passi, alla “sindrome di Alfieri”, ovvero all’impulso irrefrenabile di aprire la finestra e gettare fuori il volume in questione.
In qualità di semiologi del testo siamo interessati alla “fisiologia” della narrativa, cioè ai meccanismi che consentono a una struttura di funzionare e a un’opera con un numero considerevole di pagine di non implodere, agevolando una lettura piacevole. Non importa chi sia ad avere tra le mani il libro, poiché conta l’efficacia della comunicazione scritta. Il mittente autore-narratore si rivolge a un destinatario modello che non è chiamato semplicemente a decodificare un testo, ma a svolgere su di esso un compito molto più delicato: egli lo ricostruisce, attraverso un suo personale codice di interpretazione. Un libro, per funzionare, ha bisogno di un lettore che lo faccia esistere dentro il circuito culturale in cui è immesso. Non conta, poi, se la materia narrata non è all’altezza dei valori espressi da Borges, Kafka, Manzoni e Tolstoj – che comunque sono figli della loro epoca, così come Brown, Coelho, Stephen King, Michael Crichton e altri romanzieri contemporanei – poiché l’oggetto di studio della semiotica del testo riguarda proprio le strutture del racconto, la loro efficacia nel sistema degli istituti e dei generi letterari e l’abilità tecnica dell’autore-narratore a muoversi come ingegnere delle forme diegetiche.
Per approfondire il discorso sul “romanzo mondo”, cfr.: Giuliana Benvenuti – Remo Ceserani, La letteratura nell’età globale, il Mulino; Stefano Calabrese, Il romanzo dopo il postmoderno, Einaudi; Marco Cappadonia Mastrolorenzi, Sul romanzo globalizzato, in www.filidaquilone.it; Vittorio Coletti, Romanzo Mondo, il Mulino.
Le immagini: foto di Dan Brown, Michael Crichton e Stephen King.
Marco Cappadonia Mastrolorenzi
(LucidaMente, anno VIII, n. 92, agosto 2013)
Ahi, condivido Citati!
Strutturalismo, semiotica, ecc., a furia di trattare allo stesso modo l’arte “alta” e quella “bassa”, hanno intorbidato le acque.
Lo scopo dell’arte dovrebbe essere quel fine indefinibile e prezioso che si chiama “bellezza”.