Nel 2014 il bene è stato dichiarato “di interesse pubblico”. Il decreto di esproprio è pronto, ma la sua attuazione sembra ancora lontana
È la notte tra l’8 e il 9 maggio 1978 quando la mafia uccide Giuseppe, meglio noto come Peppino, Impastato. Dopo averlo sequestrato e tramortito in un casolare, il suo corpo viene collocato sopra una carica di tritolo sulla linea ferroviaria Palermo-Trapani e fatto saltare in aria. Gli assassini non lo uccidono con un classico agguato perché vogliono far credere che Peppino sia rimasto vittima dell’attentato che stava preparando. Peppino Impastato è un pericoloso terrorista: ecco cosa vogliono far pensare.
Durante gli anni di piombo, in una terra dove la mafia poteva orientare le indagini a suo piacimento, sembra estremamente facile far passare Peppino, candidato di Democrazia proletaria, per un attentatore. Anche il caso, una coincidenza, sembra aiutare gli assassini: il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro la mattina del 9 maggio 1978 attira tutta l’attenzione dei media e la notizia della morte di Peppino Impastato passa quasi sotto silenzio. Tuttavia, qualcosa sta cambiando. E la mafia lo imparerà presto, non può più agire (completamente) indisturbata. Nel 1984, le indagini, che in un primo momento erano state indirizzate verso l’ipotesi dell’attentato terroristico, portano al riconoscimento della matrice mafiosa del delitto. La sentenza è firmata da Antonino Caponnetto, da poco a capo del pool antimafia dopo l’assassinio di Rocco Chinnici nel 1983.
Bisogna, però, aspettare il 1988 perché tra gli autori del delitto, inizialmente attribuito a ignoti, sia individuato il boss Gaetano Badalamenti. Nel 1992 le indagini subiscono un altro stop e il caso viene archiviato nell’impossibilità di determinare i colpevoli. A seguito delle dichiarazioni del pentito Salvatore Palazzolo, l’inchiesta viene definitivamente riaperta nel 1996. Il collaboratore di giustizia indica Badalamenti e Vito Palazzolo come mandanti dell’omicidio. Nel dicembre 2000, a seguito di un esposto presentato da madre e fratello di Peppino e dal Centro Impastato, la Commissione parlamentare antimafia riconosce la responsabilità di tre carabinieri nel depistaggio delle indagini. Nel 2001 e nel 2002 sono dichiarati colpevoli dell’omicidio e condannati Vito Palazzolo e “Tano” Badalamenti.
Ma cosa ha portato Giuseppe Impastato nel mirino di Cosa Nostra? Peppino nasce in una famiglia mafiosa di Cinisi, frequenta il Liceo classico di Partinico e fin da ragazzo cerca di opporsi alla realtà corrotta nella quale vive. Durante gli anni del liceo, si avvicina alla politica aderendo al Psiup (Partito socialista di unità proletaria) e fonda il giornale L’idea socialista, sequestrato dopo poche pubblicazioni. È soltanto un ragazzo quando rompe con il padre andandosene di casa e da allora la sua posizione di denuncia contro la mafia diviene sempre più netta. Nel 1976 fonda l’associazione Musica e cultura, che diviene presto un punto di riferimento per i giovani di Cinisi. Le idee rivoluzionarie di Peppino diventano sempre più fastidiose, soprattutto quando si diffondono sulle frequenze di Radio Aut, da lui fondata nel 1977. Si tratta di una radio libera autofinanziata, come ce ne sono tante negli anni Settanta. Però Radio Aut non si limita a trasmettere musica e trattare tematiche sociali: diventa uno strumento per denunciare i traffici illegali e i crimini commessi dalle associazioni mafiose locali. In particolare, le accuse e la satira si rivolgono al potente capomafia Gaetano Badalamenti. Ma denunciare la mafia alla radio non è abbastanza per Peppino, che nel 1978 si candida alle elezioni comunali di Cinisi nella lista di Democrazia proletaria. Non arriverà al giorno delle elezioni: Cosa Nostra decide che Peppino non è candidabile.
Un anno dopo l’assassinio di Giuseppe Impastato, il 9 maggio 1979, viene organizzata la prima manifestazione contro la mafia in Italia. Già allora, questa manifestazione denuncia la crescente penetrazione della mafia al Nord e la sua azione su tutto il territorio nazionale. Una previsione che si è rivelata quanto mai azzeccata. Oggi, a 37 anni dalla morte di Peppino, il progetto di Radio Aut è mandato avanti da Radio 100 passi, che trasmette dalla casa confiscata a Gaetano Badalamenti. Il casolare dove viene ucciso Peppino è un altro simbolo di questa tragica vicenda. Lì, la famiglia ha ritrovato tracce di sangue che hanno costituito un elemento fondamentale per la comprensione della reale dinamica dei fatti e una prova schiacciante per la denuncia del tentativo di depistaggio da parte dei carabinieri.
Eppure, oggi quel casolare è chiuso al pubblico, ridotto a una discarica e in pericolo di crollo. Nel 2014, la Giunta regionale l’aveva definito “bene di interesse pubblico” e, con questa dichiarazione, era arrivato il decreto di esproprio. Ma tutto questo non ha portato ad alcun risultato. Il proprietario del casolare, al quale non importa ricordare Peppino e la sua lotta contro la mafia, ha chiuso lo stabile al pubblico e nessuna svolta sembra possibile. «Vedere quel casolare è un’emozione forte, fortissima» dichiara il fratello Giovanni Impastato ai microfoni di Radio Uno, «i giovani si legano a quella storia perché vivono quell’emozione». Privare i visitatori della possibilità di visitare il luogo dove Peppino è stato ucciso significa privarli di un passo fondamentale nel percorso della memoria. La battaglia dei famigliari di Peppino e della Rete 100 passi costituita in suo onore continua, con la stessa determinazione che li ha guidati durante i numerosi processi.
Vittoria Colla
(LucidaMente, anno X, n. 113, maggio 2015)