Cinquanta spaventapasseri per reclamare il verde nelle nostre città. Le opere degli artisti in mostra assurgono a simbolo di un più equilibrato rapporto tra città e ambiente naturale Località: Fabriano
Spazio: Giardini del Poio
Indirizzo: complesso del Buon Gesù
Periodo: 9-31 luglio (prorogata al 4 settembre)
Orario: 10.00/13.00 – 16.00/19.00
Titolo: Ridateci la terra, 50 spaventapasseri scendono in piazza
Artisti: Michela Baldi, Patrizia Befera, Tiziana Befera, Massimo Biagi, Claudio Bozzaotra, Mara Brera, Enrica Capone, Kelli Costa (Spiritoliberok), Giovanna Crescenzi, Publia Cruciani, Anna Del Vecchio, Gabriella Di Trani, Luigi Ferretti, Roberta Filippi, Roberta Fratini, Laura Gaddi, Anna Gorrieri, Velia Iannotta, Benedetta Jandolo, Calogero Carbone (Kalòs), Monica Lasconi, Le Barbò (Cecilia Bossi e Patrizia Bartocci), Lughia, Maria Grazia Lunghi, Fabrizio Maffei, Alessia Marchegiani, Anna Massinissa, Cinzia Mastropaolo, Gabriele Mazzara, Massimo Melchiorri, Susanna Micozzi, Enrico Miglio, Pancho Monty Ray Garrison, Fabrizio Moscè, Nabil, Massimo Palumbo, Emiliano Yuri Paolini, Rosella Passeri, Eliana Prosperi, Stefania Puntaroli, Paolo Rinaldi, Giulia Ripandelli, Rodolfo Roschini, Luigi Russo Papotto, Eugenio Sgaravatti, Franco Squadrelli, Angela Tonni Perucci, Isabella Venantini, Maria Pia Zepponi
Curatori: Anna Massinissa, Giuseppe Salerno
Organizzazione: InArte, in collaborazione con Italia Nostra
Patrocini: Regione Marche, Provincia di Ancona, Comune di Fabriano
Inaugurazione: sabato 9 luglio, ore 12.00
A Fabriano 50 spaventapasseri occupano i Giardini del Poio per reclamare il verde nelle nostre città. Le opere di numerosi artisti, in mostra con Ridateci la terra, assurgono a simbolo di un più equilibrato rapporto tra città e ambiente naturale.
Quando l’uomo mai distoglieva i piedi da terra e gli occhi dal cielo, quando lo sguardo andava oltre l’orizzonte dove tutto si ricongiunge, quando lo scorrere lento delle ore, dei giorni, delle stagioni segnava il tempo, quando i mondi dell’anima erano in sintonia con i ritmi dell’universo, quando la coscienza dell’appartenenza e della dipendenza governava il quotidiano, loro erano lì, piccola cosa, a difendere il lavoro d’ogni giorno per la sopravvivenza.
Non certo per scongiurare i nubifragi, i terremoti e le catastrofi, ma per tenere lontani gli uccelli. Quegli stessi uccelli che nell’ambiente naturale, non condizionato dalla presenza umana, propagano il seme dando vita a vegetazioni “spontanee” i cui frutti, a disposizione di tutti, sono la ricchezza della terra.
Ma l’uomo poi, sempre più chino a curare il “proprio” orticello, ha smesso, scacciati gli uccelli, di osservare le stelle, ha innalzato steccati ed ha preso, dimentico dall’antica coscienza e carico della presunzione di chi vuol sentirsi vicino al creatore, a edificare il suo mondo artificiale.
I crocevia dello scambio e dell’incontro sono divenuti rapidamente, nei secoli, tessuti urbani, megalopoli che, sottraendo la terra ai nostri piedi hanno lasciato che gli orizzonti scomparissero dietro le costruzioni.
Lontane dagli ambienti naturali, le città hanno generato luoghi asettici e scandito ritmi incalzanti che, ignorando l’alternarsi del giorno e della notte, del caldo e del freddo, hanno compromesso il rapporto indissolubile tra l’uomo e il suo habitat determinando nel profondo di ogni anima un malessere esistenziale.
La cultura fondata sulla massima specializzazione, insieme alla tendenza esasperata a frammentare, costringono tutto in recinti sempre più piccoli e tra loro privi di comunicazione. La città e la campagna, l’asfalto e la terra.
Da tempo gli uomini, prigionieri delle proprie case, non coltivano più la terra mentre l’industria, delegata dalla collettività a governare le grandi serre, non si preoccupa più degli uccelli che, non più intimoriti dagli spaventapasseri, sono braccati dai cacciatori. E gli uccelli con i loro semi si inurbano.
E mentre tra l’asfalto nascono ciuffi verdi di speranza, gli spaventapasseri tornano a reclamare la propria terra.
Giuseppe Salerno
Per informazioni:
InArte
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