Nel saggio “Lotte e libertà” (Città del Sole) Giorgio Castella commemora le figure, a lungo dimenticate, di tanti antifascisti calabresi. E il “triennio rosso” 1946-1949
Molti furono i meridionali che si opposero al fascismo e all’occupazione nazista dell’Italia (per esempio, i cittadini partenopei che presero parte alle Quattro giornate di Napoli del 27-30 settembre 1943). E anche nel profondo Sud della penisola l’esercito tedesco si lasciò andare a crudeli repressioni di massa, per lungo tempo obliate dalla storiografia ufficiale. Ci riferiamo, in particolare, alla strage di Castiglione di Sicilia (Catania) dell’agosto 1943 (16 morti e 20 feriti) e a quella di Rizziconi (Reggio Calabria) del 6 settembre 1943, che provocò 17 morti e 56 feriti (cfr. Fabrizio Gregorutti, Le due stragi ignote, in www.poliziotti.it).
Tra coloro che si batterono contro il nazifascismo ci furono anche tanti calabresi, come testimonia Lotte e libertà. Storie di donne e uomini antifascisti (Città del Sole, pp. 160, € 12,00), un saggio a carattere memorialistico scritto dal sindacalista dello Spi-Cgil Giorgio Castella. Protagonisti dei ricordi di Castella sono personaggi spesso umili e sconosciuti, che si opposero al fascismo fin dagli anni Venti (Angelo Daniele, Pasquale Creazzo, Francesco Ierace, Francesco Malgeri, Nicola Mancuso, Francesco Pronestì, Leonardo Raso, Francesco Russo, Fortunato Seminara, Luigi Sofrà) o che presero parte alla Resistenza nel Nord Italia (Gerolamo Galluccio, Salvatore Galluzzo, Michelangelo Giovinazzo, Italo Guerrazzi, Francesco Sergio). Molti di questi antifascisti pagarono con la vita il loro ammirevole coraggio.
Collegata alla lotta antifascista fu l’insurrezione che scoppiò il 6 marzo 1945 a Caulonia (Reggio Calabria) contro i latifondisti locali sostenitori del vecchio regime. La rivolta fu guidata dal sindaco comunista Pasquale Cavallaro e portò alla proclamazione dell’effimera Repubblica rossa di Caulonia, rimasta in vita per cinque giorni. Il paese fu presto riconquistato dalla polizia e i ribelli arrestati, ma alla fine pochi di loro vennero puniti. Come ricorda l’autore, infatti, solo «due persone furono condannate per l’uccisione del parroco, mentre Pasquale Cavallaro fu condannato, come mandante, per istigazione alla violenza».
Castella estende il proprio sguardo oltre la Seconda guerra mondiale, mettendo a fuoco la lotta per la terra e i diritti sociali che animò le campagne meridionali nell’immediato dopoguerra. Si trattò di un “triennio rosso” che dal 1946 al 1949 investì la Basilicata, la Calabria, la Puglia e la Sicilia, ma che si concluse tragicamente con lo spargimento di tanto sangue innocente. Oltre alla strage di Portella delle Ginestre (Palermo) del 1947 e a quelle di Melfi (Potenza) e Torremaggiore (Foggia) del 1949, la violenza degli agrari e delle forze di polizia provocò altresì la morte di quattro braccianti calabresi: Giuditta Levato, Angelina Mauro, Francesco Nigro, Giovanni Zito. La prima cadde il 28 novembre 1946 a Calabricata, frazione di Sellia Marina (Catanzaro); gli altri furono trucidati a Melissa (Crotone) il 29 ottobre 1949. Il loro sacrificio non fu del tutto vano, perché il governo De Gasperi varò nel 1950 la Legge Sila n. 230 e la Legge stralcio n. 841, con le quali venne attuata una pur limitata riforma agraria che comportò l’assegnazione a circa 113 mila famiglie contadine di quasi 760 mila ettari di terre.
Il saggio di Castella rende giustizia a tanti lavoratori che seppero battersi con dignità per i propri diritti e si chiude con un capitolo dedicato ai “nuovi terroni”, ovvero agli operai extracomunitari che vivono spesso in condizioni di indigenza e di sfruttamento disumani. L’autore descrive, in particolare, le gesta dei braccianti stagionali di Rosarno, protagonisti nel dicembre 2009 di una clamorosa protesta contro i soprusi della ’ndrangheta locale. Come ha giustamente scritto nella Presentazione del libro Francesco Adornato, Lotte e libertà è dunque il resoconto di «un’epopea nobile ed esaltante […] utile soprattutto alle generazioni attuali perché riannodino il filo della memoria verso il loro futuro, così faticosamente costruito dai loro padri e dai loro avi attraverso sacrifici individuali e lotte di classe».
Le immagini: la copertina del libro; foto dell’autore (fonte: http://vimeo.com).
Giuseppe Licandro
(LM MAGAZINE n. 28, 20 gennaio 2014, supplemento a LucidaMente, anno IX, n. 97, gennaio 2014)
Quello che si consuma a Predappio è un reato, che le istituzioni tollerano ormai da troppi anni. E purtroppo non è questa l’unica occasione in cui ciò accade. Basti pensare a quanto successo pochi giorni fa in occasione della morte di Erich Priebke, quando gruppi di neonazisti hanno omaggiato il boia delle Fosse Ardeatine con slogan e saluti romani. Pochi giorni dopo ricorreva il settantesimo anniversario del rastrellamento del ghetto ebraico di Roma, durante il quale 1023 persone furono deportate ad Auschwitz. Si salvarono solo in 16. Mussolini e il fascismo sono responsabili, alla stregua di Hitler e del nazismo, di questo crimine. Forse questi individui che ammirano così tanto il duce, queste cose non le ricordano, o peggio ancora provano indifferenza al riguardo.