Il “politicamente corretto” irrompe sulle nostre tavole: vanno banditi mafalde, tripoline, africanetti, moretti e altre innocenti delizie per il palato…
Da qualche tempo le vestali del “politicamente corretto” hanno preso di mira una nota casa produttrice di pasta che ha riproposto formati d’epoca utilizzati ancor oggi e in catalogo presso vari pastifici: ci sono, ad esempio, le tripoline, che richiamano alla mente la conquista della Libia nel 1911, e ci sono le mafalde (o mafaldine), che ricordano le bionde e ondulate trecce della povera principessa Mafalda di Savoia, morta in un lager tedesco nel 1944.
Ma, soprattutto, ci sono le “abissine” (horribile dictu!), che i benpensanti collegano a Graziani, Badoglio e all’aggressione fascista all’Etiopia del 1935! Ci sembra che, dopo le accuse rivolte a Giuseppe Verdi (l’Aida, secondo la regista olandese Lotte de Beer, sarebbe un «concentrato di sessismo e di razzismo»), si stia passando il limite del buon senso. Avere nella propria lista di prodotti tripoline, mafalde e abissine non significa certo essere colonialisti né nostalgici della monarchia (finora nessuno era mai arrivato a tale illazione). Significa solo, come ha scritto Massimiliano Tonelli, continuare a produrre formati storici di pasta secca, che semmai vanno tutelati e protetti, non certo stigmatizzati. Nel Ferrarese c’è un ristorante che propone il “pollo all’abissina”. È gestito e frequentato da noti razzisti? E la rosseggiante Coop, che vende le “erbette negus”, è forse corriva rispetto al razzismo strisciante che si infila tra gli alimenti (“negus” era l’appellativo del monarca etiope)? Anche i pizzaioli, poi, devono stare attenti. In fondo, ogni pizzeria che ha in menù la “margherita”, così chiamata in onore della consorte di Umberto I, sta surrettiziamente facendo propaganda per Casa Savoia o è evidentemente nostalgica dei tempi del Regno che fu… con grave pericolo per le istituzioni democratiche e repubblicane!
A Bologna gli studenti universitari, quando avevano qualche soldo, per festeggiare un esame andato bene, si fermavano alla pasticceria “Impero” di via Indipendenza: devono ora recitare il “mea culpa”? E che dire degli “africanetti” di San Giovanni in Persiceto (tipici biscotti a base di zucchero e uova) o dei “biscotti del re” di Altedo? I primi si chiamano così perché venivano spediti ai nostri soldati in Africa orientale (ahi, ahi) e i secondi in quanto furono assai graditi, nel 1918, da Vittorio Emanuele III (il discutibile personaggio che favorì l’ascesa di Mussolini e che firmò le famigerate e, quelle sì, davvero disgustose leggi razziali) in visita ad Altedo.
Oltre tutto, c’è anche un problema politico: i “biscotti del re” hanno ottenuto la Deco (Denominazione comunale di origine) da parte del Comune di Malalbergo (di cui Altedo è importante frazione, nota agli automobilisti per lo svincolo autostradale) e per gli “africanetti” l’amministrazione comunale di San Giovanni in Persiceto ha provveduto alla registrazione del marchio! Tutti Comuni dell’Emilia rossa! Che vergogna! D’altronde, a seguito di una vivace campagna antirazzista, una nota industria dolciaria svizzera ha eliminato il “moretto”, dolcetto al cioccolato dalla denominazione non politicamente corretta. E, dopo una lettera di protesta di un famoso sceneggiatore pubblicata sul Los Angeles Times, HBO Max – il servizio streaming di HBO – ha deciso di togliere dal catalogo online il film Via col vento per le «raffigurazioni razziste sbagliate allora e sbagliate ancora oggi» (vedi anche Black lives matter, quale cultura c’è dietro?). Quanti subdoli razzisti e neocolonialisti ci sono in giro… A quando le manifestazioni di protesta contro la Regione Sardegna, rea di recare sul vessillo regionale i celebri quattro mori bendati?
Mario Gallotta
(LucidaMente 3000, anno XVI, n. 185, maggio 2021)
La Unilever ha eliminato dal catalogo lo shampoo per capelli “normali”. Il termine “normale” sarebbe “non inclusivo” e indurrebbe “a un concetto ristretto di bellezza”.
Penso che, a questo punto, i produttori vinicoli debbano modificare la denominazione del vitigno “Negroamaro”, che puzza di razzismo. E anche la casa produttrice di carte da gioco “Teodomiro Dal Negro” potrebbe finire nel mirino dei sacerdoti del “politicamente corretto”…
Fra un po’ censureranno anche Senghor, che parlava di “négritude”. Sarebbe più “politically correct” parlare di “néritude”?
E potremo ancora dire “fumare come un turco”? O Erdogan minaccerà vendetta?
A Napoli, per Carnevale, ho visto su una bancarella, con tanto di cartellino, le “lingue di Menelik” (o di Menelicche), con riferimento a Menelik II, il “Negus Neghesti” (“re dei re”) d’Etiopia dal 1889 al 1913.
Suddetta lingua consiste in un tubo di carta che contiene un’anima di fil di ferro, schiacciato ed arrotolato. Basta soffiarvici dentro e questa si svolge e s’allunga di scatto. Appena si smette, questa ritorna – grazie all’anima di ferro, nella posizione arrotolata. Solitamente dal lato dell’imboccatura viene messo un fischietto, associando il fischio all’allungamento della “lingua”.
Povero “bancarellaro”! Forse adesso qualcuno lo considererà un razzista, denigratore dei poveri etiopi!
Ormai le assurdità non hanno limite
Chi ha citato la poetessa Ada Negri in un post su Facebook si è visto bloccare il profilo su intervento degli amministratori del social network. Motivazione: “Rimuoviamo i post che attaccano le persone in base a razza, etnia, nazionalità, religione di appartenenza, orientamento sessuale, genere o disabilità”.
Stessa sorte per chi ha citato Toni Negri o monsignor Luigi Negri (arcivescovo Emerito di Ferrara-Comacchio).
E pure una concessionaria di Treviso (Negro Automobili) ha subito la stesso trattamento…