- LA LEGISLAZIONE DI SOSTEGNO DEL SINDACATO
Il diritto sindacale italiano si caratterizza per l’esiguità degli interventi legislativi e per la mancata attuazione delle disposizioni costituzionali sulla registrazione dei sindacati e sul contratto collettivo con efficacia generale, nonché sulla regolamentazione del diritto di sciopero. Ciò ha indotto a parlare di formazione extra-legislativa delle regole del diritto sindacale, affidate alla autonomia collettiva, agli orientamenti giurisprudenziali.
Dalla più ridotta presenza di norme legislative il tratto dominante è, tuttavia, quello promozionale, cioè a dire di sostegno e di ausilio per i sindacati dei lavorati.
A partire dal 1970, con lo Statuto dei lavoratori, l’operazione di sostegno si è, invece, spostata nei luoghi di lavoro. Alcune organizzazione sindacali maggiormente rappresentative si sono viste riconosciute, dall’art. 19 St. lav., una posizione del tutto preferenziale in materia di organizzazione e di azione sindacale in azienda, potendo ivi costituire apposite rappresentanze sindacali aziendali (Rsa), legittimate ad indire assemblee e referendum tra i lavoratori, ad usufruire di locali per riunioni, di permessi per i propri dirigenti…
Successione, nella legislazione cosiddetta di “emergenza” e poi di “crisi”, il s.m.r. (sindacato maggiormente rappresentativo) è stato chiamato a partecipare alla gestione della crisi economica, tramite:
- la stabile integrazione in appositi organismi pubblici di gestione del mercato di lavoro;
- l’attribuzione della legittimazione a stipulare determinati contratti collettivi con clausole anche derogatorie rispetto agli standard legali di tutela dei lavoratori;
- il riconoscimento di diritti di informazione su varie problematiche aziendali.
La politica legislativi di promozione e sostegno del sindacato si collega alla considerazione del ruolo assunto dalle forze rappresentative dei lavoratori nel contesto di una società pluralistica; si riconnette altresì all’esigenza delle moderne società industriali, a base democratica, di ottenere un minimum di consenso da parte delle forze sociali nei confronti del sistema: di qui il riconoscimento e il sostegno di organizzazioni, che, in quanto aggregazioni di ampie fasce di lavoratori, possono costituire un fattore di squilibrio o di stabilizzazione del sistema stesso, nella misura in cui possono assumere posizioni massimaliste e di radicale contestazione o, invece, di responsabile consapevolezza degli equilibri generali dell’economia.
Perché si realizzi uno scambio tra il sostegno fornito dalla Stato al sindacato e un atteggiamento responsabile nei confronti delle istituzioni è necessario che i soggetti collettivi protetti, siano realmente rappresentativi di ampi gruppi sociali o di interessi rilevanti, siano cioè in grado di fornire, in contropartita dell’atteggiamento di favore, un effettivo controllo e una relativa stabilizzazione del conflitto sociale o quanto meno di impedire un suo svolgimento secondo forme eversive o scardinanti.
La ratio stessa della politica promozionale contiene in sé la necessità di una delimitazione selettiva dei soggetti collettivi protetti. Questa necessità è stata a lungo soddisfatta dal richiamo alla figura del “sindacato maggiormente rappresentativo” quale unico destinatario del sostegno legislativo e politico.
La rappresentatività indica dunque l’idoneità del sindacato a esprimere e tutelare l’interesse collettivo di un’ampia fascia di lavoratori senza distinzione tra iscritti e non iscritti; la rappresentanza evoca, invece, il potere del sindacato di compiere attività giuridica (specie contrattuale) in nome e per conto dei soli iscritti.
- GLI INDICI RILEVATORI DELLA MAGGIORE RAPPRESENTATIVITÀ
L’ elevato numero di iscritti, cioè un criterio meramente numerico, pur costituendo un criterio significativo, non poteva bastare per conferire una patente di “maggiore rappresentatività”, senza la chiamata in causa di altri requisiti, che dottrina e giurisprudenza hanno così individuato:
1) l’equilibrata presenza in un ampio arco di categorie professionali, non potendosi considerare la maggior rappresentatività una confederazione concentrata solo in alcuni settori o in una sola categoria;
2) la diffusione su tutto il territorio nazionale;
3) l’esercizio continuativo dell’azione di autotutela con riguardo a diversi livelli e a diversi interlocutori;
4) la reale capacità di influenza sull’assetto economico e sociale del Paese.
In concreto, la giurisprudenza ha ritenuto maggiormente rappresentative le tre confederazioni Cgil, Cisl e Uil.
Il criterio della m.r. è stato oggetto di accese discussioni nella dottrina giuslavorista, poiché considerato veicolo di sostegno arbitrario del legislatore a favore del sindacato confederale “storico” (Cgil, Cisl e Uil), con esclusione immotivata delle altre forze sindacali.
Si è sostenuto, in particolare, che la m.r. costituiva un criterio selettivo basato su indici oggettivi e concretamente verificabili, idoneo cioè a descrivere la situazione di fatto dell’universo sindacale.
In pratica, in tal modo si consentiva anche ai sindacati inizialmente privi dei requisiti sostanziali richiesti, la possibilità di accedere ai benefici legali previo il raggiungimento di quella stessa condizione oggettiva sintetizzata nella forma della maggior rappresentatività. Questa interpretazione è stata successivamente avvallata dalla Corte costituzionale.
- IL SINDACATO RAPPRESENTATIVO NELLA VERSIONE ORIGINARIA DELL’ART.19 ST.LAV.
L’art 19 Statuto dei lavoratori non è l’unica norma in cui si esprime il favore dell’ordinamento nei confronti del s.m.r., ma è certamente la più significativa.
L’art. 19 nella sua formulazione originaria, consentiva la costituzione di rappresentanze sindacali aziendali (Rsa), titolari di una serie di incisivi diritti e poteri nei luoghi di lavoro nell’ambito: a) delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale; b) delle associazioni sindacali, non affiliate alle predette confederazioni, firmatarie dei contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell’unità produttiva.
L’operazione politica perseguita dal legislatore del 1970 era a sostegno dell’attivismo sindacale entro le aziende, ma a condizione che tale attivismo fosse guidato e mediato da organizzazioni sindacali esterne alle stesse aziende e molto rappresentative, come tali capaci di collocare le rivendicazioni in un orizzonte strategico responsabile e di più ampio respiro. Il tutto con un obbiettivo di istituzionalizzazione o sindacalizzazione della contestazione operaia divampata in quegli anni.
A partire dai primi anni Novanta, si è assistito però alla crisi del concetto di s.m.r che ha rivelato la propria inadeguatezza ad esprimere l’universo sempre più ampio, frammentato e complesso del lavoro dipendente.
- L’ART. 19 St. LAV. DOPO LA MANIPOLAZIONE REALIZZATA DAL REFERENDUM DEL 1955
I suddetti e contraddittori esiti applicativi dell’art. 19, rivelando un vistoso deficit di democrazia, portarono ad una rivisitazione dei criteri di costituzione delle rappresentanze sindacali in azienda: nel 93 un Accordo interconfederale istituì la Rsu (rappresentanza sindacale unitaria) come forma rappresentativa alternativa alla Rsa; nel ‘95 un referendum parzialmente abrogativo dell’art. 19 St. lav. spostò il criterio identificativo della rappresentanza sindacale sul piano della sottoscrizione di contratti o accordi collettivi di qualsivoglia livello applicati nell’unità produttiva interessata.
In sostanza, il sostegno normativo tende a dirigersi non più a favore di strutture aziendali legate a sindacati “esterni” maggiormente rappresentativi, bensì in favore di soggetti individuati in base a una più oggettiva, diretta e riscontrabile circostanza: la sottoscrizione di contratti collettivi applicati nell’unità produttiva; criterio di effettività empiricamente verificabile ed immune da apprezzamenti discrezionali.
Dal punto di vista tecnico il referendum del 11 giugno 1995 comportò l’abrogazione di alcuni segmenti lessicali dell’art 19 e precisamente dell’intera lettera a) e degli aggettivi “nazionali e provinciali”: la norma risultante autorizza la costituzione dei r.s.a “nell’ambito delle associazioni sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità produttiva”.
L’art. 19 propone un modello di “canale unico” di rappresentanza nei luoghi di lavoro, vale a dire di rappresentanza che riflette al tempo stesso le istanze dei lavoratori e quelle delle organizzazioni sindacali. La norma attribuisce, infatti, il potere di iniziativa della costituzione della Rsa ai lavoratori occupati nella singola unità produttiva, con lo scopo di evitare che modalità di costituzione e designazione dei rappresentanti sindacali siano monopolizzate dalle organizzazioni sindacali. Tuttavia si richiede che la Rsa presenti un qualche collegamento con una organizzazione sindacale rappresentativa, in quanto firmataria di contratto collettivo applicato nell’unità produttiva.
L’esigenza di vincolare l’organismo aziendale ad entità sindacali esterne all’azienda e a struttura associativa si ricollega ad almeno due considerazioni. Anzitutto l’opportunità di evitare iniziative di gruppetti di lavoratori, di piccolo corporativismo, magari strumentali al solo godimento dei vantaggi del titolo III dello Statuto dei lavoratori (locali, bacheche, permessi…).
In secondo luogo, va considerata la necessità di promuovere interlocutori stabili con i quali il datore di lavoro possa proficuamente, e sia pure conflittualmente, dialogare, evitando la proliferazione incontrollata di una molteplicità di rappresentanze scaturenti dall’organizzazione spontanea dei lavoratori, prive di qualsivoglia collegamento con organismi sindacali più stabili e accreditati.
Quanto al filtro selettivo costituito dalla sottoscrizione di contratti collettivi non è sufficiente la mera firma successiva di un contratto collettivo oggetto di trattativa (e conclusione) da parte di altri sindacati, ma occorre l’effettiva partecipazione al procedimento formativo del contratto, che sola è garanzia di adeguata forza e rappresentatività del sindacato. L’art 19 nella sua nuova formulazione, si presenta priva del richiamo limitativo al livello nazionale o provinciale del negoziato sindacale; sicché oggi anche la sottoscrizione di un contratto collettivo di livello aziendale è sufficiente ad integrare il requisito dell’art. 19.
Inoltre è la Corte costituzionale ad affermare che “non è sufficiente la stipulazione di un contratto qualsiasi”, ma ha sottolineato che deve trattarsi di un “contratto normativo”, il quale regoli in modo organico i rapporti di lavoro, almeno per un settore o un istituto importante della loro disciplina, anche in via integrativa, a livello aziendale, di un contratto nazionale o provinciale già applicato nell’unità produttiva.
È stato osservato che il requisito dell’applicabilità del contratto collettivo non deve necessariamente conseguire dall’iscrizione del datore di lavoro all’associazione stipulante, bastando l’applicazione di fatto e spontanea del contratto ai lavoratori occupati nell’unità produttiva di riferimento; inoltre la stipula di un contratto collettivo legittima la costituzione di Rsa solo nei limiti di durata del contratto collettivo stesso.
- PROFILI DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE DELL’ART. 19 ST.LAV.
L’art 19 ha suscitato numerosi dubbi di legittimità costituzionale sollevati sia dalla dottrina sia dalla giurisprudenza, ma superati tutti dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 54 del 1974 e n. 344 del 1988.
Nella sentenza n.54 del 1974, la Corte si era interrogata, anzitutto, sulla compatibilità del beneficio selettivo con il principio di libertà dell’organizzazione sindacale sancito dal 1° comma dell’art 39 cost in favore di qualsivoglia O.S.; aveva così rilevato che l’art.19 e il titolo III St.lav. non interferiscono con la libertà sindacale, ma aggiungono alle prerogative di libertà direttamente derivanti dalla norma costituzionale ulteriori privilegi e benefici.
La delimitazione dei soggetti privilegiati in una sfera che è ulteriore rispetto a quella garantita dall’art 39 Cost., innesca al limite un diverso problema di legittimità ex art 3, 1° comma Cost, in ragione del trattamento discriminatorio fatto a talune realtà sindacali. Anche qui la Corte ha, però, precisato che l’art 19, pur avendo diversificato la posizione giuridica delle organizzazioni sindacali, non ha arrecato alcuna lesione al principio in esame, essendo la differenziazione di trattamento giustificabile in base a un criterio razionale e consapevole. Che è poi quello di far corrispondere ad un’effettiva capacità di rappresentare gli interessi sindacali l’attribuzione di specifici ed incisivi diritti, con piena coerenza tra criterio discriminante e sua rilevanza.
Nella sentenza n.334 del 1988, la Corte costituzionale ha, invece, dovuto confrontarsi con un ulteriore rilievo di costituzionalità (ex art 39), sollevato in virtù del riferimento della rappresentatività al livello confederale, piuttosto che categoriale e dunque riferibile solo all’originaria dizione dell’art. 19. In quell’occasione i giudici hanno confermato la legittimità della disposizione statutaria, da un lato, interpretando il riferimento costituzionale al livello di categoria come dipendente e funzionale al procedimento di stipulazione dei contratti collettivi con efficacia erga omnes; dall’altro, ribadendo che non vi può essere lesione del principio di libertà sindacale, laddove il legislatore, nel disporre il conferimento di diritti ulteriori rispetto a quelli assicurati alla generalità delle associazioni sindacali, favorisca “un processo di aggregazione e coordinamento degli interessi dei vari gruppi professionali al fine di ricomporre le spinte particolaristiche in un quadro unitario”.
Chiamata successivamente a pronunciarsi sulla legittimità dell’art 19 post-referendum in riferimento agli art. 2, 3, 39, 1° comma Cost., la corte ha sciolto ogni dubbio con le sentenze n. 492 del 1995, n. 244 del 1996 e n. 345 del 1996. In effetti, l’assoggettamento della Rsa all’accreditamento negoziale del datore ha fatto dubitare alquanto della compatibilità della norma con i principi di libertà sindacale e di uguaglianza, ben potendo il datore condizionare con il suo potere l’autonomia dei sindacati ed altresì discriminarne alcuni, pur rappresentativi.
Nelle sentenze n. 492 del 1995 3 n.244 del 1966, la Corte ha asserito che lo strumento negoziale, allargato alla contrattazione aziendale, ben può funger da criterio esclusivo di rappresentatività, stante la sua idoneità a valorizzare l’effettività dell’azione sindacale, misurare adeguatamente la forza di un sindacato. Peraltro, la rappresentatività costituisce pur sempre una qualità giuridica attribuita ex lege al sindacato e non uno status dipendente dall’accreditamento datoriale, espresso in forma pattizia, come ventilato nelle ordinanze di remissione.
Nasce, allora, da qui l’esigenza di un’interpretazione “rigorosa” del requisito dell’art 19 Statuto dei lavoratori, tale da farlo coincidere con “la capacità del sindacato di imporsi al datore di lavoro, direttamente o attraverso la sua associazione, come controparte contrattuale”. Alla sua stregua come già accennato, non sarà sufficiente la mera adesione formale dell’associazione ad un contratto collettivo qualsiasi. Piuttosto occorrerà accertare: a) la partecipazione attiva del sindacato al processo di formazione del contratto, non bastando la mera sottoscrizione di un contratto già trattato e siglato dal altre OO.SS; b)la stipulazione di “un contratto normativo che regoli in modo organico i rapporti di lavoro, almeno per un settore o un istituto importante”. Solo così un sindacato potrà essere titolato ad accogliere nel proprio ambito Rsa costituite secondo il dettato dell’art 19 St.lav.
- LA RAPPRESENTANZA SINDACALE UNITARIA (Rsu)
La crisi del sindacalismo confederale e della nozione di s.m.r ha sollevato un ampio dibattito in ordine ad un possibile intervento legislativo di riforma.
Il modello auspicato ha trovato compiuta realizzazione con il Protocollo del 23 luglio 1993, il quale, nel delineare un sistema organico di relazioni industriali, ha rilanciato l’ipotesi di nuovi organismi rappresentativi aziendali, le Rsu, destinati ad essere, poi, disciplinati dall’Accordo Interconfederale del 20 dicembre 1993.
Le parti firmatarie hanno espressamente rinunciato a costituire una propria Rsa, secondo il modello dell’art 19 St. lav e, in alternativa, hanno prefigurato una forma rappresentativa aziendale unitaria, cui convenzionalmente hanno riconosciuto l’insieme dei poteri e delle funzioni conferiti per legge alle singole Rsa.
Diversamente dalle Rsa dell’art 19 St. lav, le Rsu si configurano quali strutture organizzate su base unitaria, elette dalla collettività aziendale. La loro costituzione è, infatti, demandata ad elezioni a cui partecipano tutti i lavoratori (iscritti e non), con ammissione alla competizione anche di liste presentate da associazioni non rappresentative ex art 19 St. lav, purché formalmente costituite con proprio statuto, nonché aderenti all’Accordo Interconfederale del ‘93 e forti della firma di almeno il 5% dei lavoratori dell’unità produttiva aventi diritto al voto.
Le Rsu sono costituite solo per 2/3 dei seggi da membri eletti a suffragio universale ed a scrutinio segreto tra liste concorrenti. Il restante terzo viene assegnato, mediante designazione o elezione, alle liste presentate dalle associazioni sindacali stipulanti il contratto collettivo nazionale di lavoro applicato nell’unità produttiva, in proporzione ai voti ottenuti .Il carattere unitario e almeno in parte elettivo della Rsu (necessariamente solo per i 2/3 dei seggi) rafforza il legame della medesima con la base dei lavoratori.
L’AI (Associazione Interconfederale) del 20 dicembre ‘93 precisa che Rsu possono essere costituite nell’unità produttive con più di 15 dipendenti e l’iniziativa è attribuita non ai singoli lavoratori, bensì ai sindacati e in modo particolare: a)alle associazioni sindacali firmatarie del Protocollo del 23 luglio 1993; b)alle associazioni firmatarie del CCNL applicato nell’unità produttiva; c) alle associazioni sindacali formalmente aderenti al contenuto dell’AI, costituite con proprio statuto ed atto costitutivo, la cui lista sia corredata da un numero di firme di lavoratori dell’unità produttiva pari al 5% degli aventi diritto al voto.
Quanto ai poteri riconosciuti alle Rsu, si segnala quello della legittimazione a negoziare per la stipula del contratto collettivo aziendale di lavoro. Le Rsu subentrano a tutte le funzioni ed i poteri conferiti alle Rsa per effetto delle disposizioni di legge, incluse quelle in tema di informazione e consultazione sindacale. Inoltre è previsto che i componenti delle Rsu subentrino ai dirigenti delle Rsa nella titolarità di diritti, permessi, libertà sindacali e tutele già a loro spettanti per effetto delle disposizioni di cui al titolo III della legge n. 300/1970.
- LE RAPPRESENTANZE DEI LAVORATORI PER LA SICUREZZA
La questione del difficile connubio tra sindacato-associazione e sindacato-movimento riaffiora in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, particolarmente con riguardo alla tutela collettiva dei lavoratori, un tempo affidata all’art 9 St. lav, ed ora devoluta agli art 18 e 19 D.lgs n. 626 del 1994. L’art. 9 St. lav. aveva per la prima volta attribuito a tutti i dipendenti, in quanto parte della comunità di rischio, un generale diritto di promozione e controllo in tema di salute e sicurezza, da esercitarsi tramite “loro rappresentanze”, senza però specificare alcunché circa la natura giuridica delle medesime ed evitando parimenti di pronunciarsi in ordine alla loro obbligatorietà.
La svolta si è avuta con l’istituzione, obbligatoria e generalizzata, nei settori privato e pubblico, del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza ad opera del D.lgs n. 626 del 1994, che ne ha disciplinato modalità di scelta e prerogative, nell’ambito di un più ampio disegno innovatore di ispirazione comunitaria, inteso a promuovere la “partecipazione equilibrata” dei lavoratori e dei loro rappresentanti alla materia della sicurezza. Si è stabilito che nelle aziende o unità produttive con più di 15 dipendenti, il rappresentante venga eletto o designato dai lavoratori tra i componenti le rappresentanze sindacali. Tra le prerogative e tutele di cui gode il rappresentante per la sicurezza vanno annoverate il diritto di informazione e consultazione preventiva sui temi dell’insicurezza, nonché la facoltà di ricorso alle autorità competenti in caso di inidoneità delle misure di sicurezza apprestate dal datore.
- IL SINDACATO COMPARATIVAMENTE PIÙ RAPPRESENTATIVO
Nella più recente legislazione di rinvio a discipline collettive in chiave di integrazione a precetti legali, la nozione di s.m.r lascia il posto sovente ad una diversa formula, quella di sindacato comparativamente più rappresentativo.
La rappresentatività comparata tenta di sopperire all’ormai scarsa selettività della maggiore rappresentatività sindacale, in fondo ereditandone la medesima finalità promozionale del cosiddetto sindacato storico. È però interessante notare come essa appaia prevalentemente incardinata a livello categoriale, diversamente dalla maggiore rappresentatività confederale.
- LA RAPPRESENTATIVITÀ NEL SETTORE PUBBLICO
La disciplina della rappresentatività assume tratti peculiari nel settore pubblico. Il criterio è qui da tempo destinato a selezionare non solo i soggetti cui attribuire il godimento di specifici diritti sindacali o da ammettere, in qualità di rappresentanti del personale, ai consigli di amministrazione o agli organi direttivi dei vari enti ed amministrazioni pubbliche, ma anche e soprattutto i soggetti cui attribuire la legittimazione a stipulare accordi collettivi.
Il D.lgs n. 396/1997 riscrive l’art 47 del D.lgs n. 29/1993 ed inserisce un nuovo art. 47bis; entrambi risultano ora trasposti nel D.lgs n. 165 del 2001 agli artt. 42 e 43 (c.d. T.U sul pubblico impiego): il nuovo apparato di regole si presenta innovativo e ambizioso.
Il legislatore, lasciandosi alle spalle la vecchia “maggior rappresentatività”, adotta una nozione di rappresentatività la cui unità di misura è la media tra dato associativo e dato elettorale, rispettivamente espressi, nel comparto o area contrattuale, “dalla percentuale delle deleghe per il versamento dei contributi sindacali rispetto al totale delle deleghe rilasciate nell’ambito considerato” e “dalla percentuale dei voti ottenuti nelle elezioni delle rappresentanze unitarie del personale, rispetto al totale dei voti espressi nell’ambito considerato”.
Dato associativo e dato elettorale rappresentano i due indici quantitativi per eccellenza: testimonianza della capacità di aggregare iscritti l’uno, e dell’idoneità a raccogliere consensi oltre alla cerchia degli associati l’altro. Cosicché la loro combinazione virtuosa dovrebbe assicurare un adeguato bilanciamento fra la vocazione associativa e quella universalistica del sindacato.
La rappresentatività appare quindi declinata sotto tre accezioni: sufficiente, comparata e complessiva:
a)la rappresentatività sufficiente corrisponde almeno al 5% della media ponderata tra iscritti e voti nel comparto o area contrattuale. Il suo possesso costituisce conditio sine qua non per l’accesso al sistema sindacale del lavoro pubblico. Ed infatti, fermo restando il principio di libertà sindacale, saranno solo i sindacati (sufficientemente) rappresentativi a godere dei seguenti diritti: accesso alla trattativa nazionale, costituzione di Rsa, formazione di Rsu, accesso alla contrattazione integrativa e alla partecipazione sindacale;
b)la rappresentatività comparata è, invece, utile alla ripartizione delle restanti prerogative sindacali, che spettano a tutti i sindacati (sufficientemente) rappresentativi in proporzione alla loro rappresentatività;
c)la rappresentatività complessiva corrisponde, infine, almeno al 51% della media ponderata tra iscritti e voti nel comparto o area contrattuale, ovvero al 60’% del dato elettorale nel medesimo ambito ed è richiesta dall’ARAN per la valida sottoscrizione del contratto collettivo.
Il quadro complessivo vede una profonda differenziazione fra lavoro pubblico e lavoro privato quanto a modelli di rappresentanza e processi di contrattazione collettiva, che può riassumersi nella seguente antinomia: nel lavoro pubblico essi dipendono sostanzialmente dalla legge, nel lavoro privato dai rapporti di forza.
- RAPPRESENTANZA E PARTECIPAZIONE DEL LAVORO PUBBLICO
Sul versante del lavoro pubblico, il problema della rappresentanza e delle prerogative sindacali nei luoghi di lavoro ha avuto un’evoluzione storica tormentata e differente rispetto alla disciplina del settore privato.
Dopo l’abrogazione referendaria del vecchio art. 47 D.lgs n. 29/1993, la materia ha comunque trovato definitiva sistemazione nel nuovo quadro di relazioni sindacali del settore, disegnato dalla cosiddetta seconda privatizzazione. Il nuovo art 47 D.lgs n. 29/1993, frutto della riscrittura del precedente ad opera dell’art 6 D.lgs n. 396/1997, introduce un nuovo modello di rappresentanza sindacale, lasciando, invece, all’art. 47Bis la materia della rappresentatività, un tempo prerogativa proprio e solo della prima norma. Ambedue le disposizioni, ad ogni modo, risultano trasposte nel D.lgs n.165 del 2001, rispettivamente agli artt. 42 e 43 ed appaiono altresì collegate tra loro, per il peculiare ruolo che l’elezione di strutture sindacali nei luoghi di lavoro gioca ai fini della determinazione della rappresentatività a livello di comparto. Sebbene il modello di rappresentanza possa sembrare a canale doppio con strutture interne elettive legificate e sindacati rappresentativi esterni, raccordati alle medesime, nonché muniti di proprie rappresentanze associative, in realtà l’opzione è ancora una volta per il “canale unico”, essendo le Rsu “destinate ad assorbire le Rsa dei sindacati che vi aderiscono”. L’art 42 D.lgs n. 165/2001, che disciplina la rappresentanza sindacale all’interno delle strutture pubbliche, rappresenta una novità nel nostro panorama sindacale, in quanto deputato ad instaurare un inedito sistema di verifica effettiva e democratica del consenso nei luoghi di lavoro. Il modello poggia sulla previsione di due diverse, ma alternative strutture di base: le rappresentanze sindacali aziendali, da una parte, e gli organismi di rappresentanza unitaria del personale dall’altra.
Le rappresentanze sindacali aziendali (Rsa) possono essere costituite dai sindacati rappresentativi ex art 43 D.lgs n. 165/2991 ed evocano solo nominalmente le strutture del pur richiamato art. 19 St. lav. La differenza più significativa sta nel fatto che le Rsa del settore pubblico non nascono dall’iniziativa dei lavoratori, ma sono immediata e diretta espressione dei sindacati in possesso della rappresentatività minima del 5%, peraltro a prescindere dal fatto che siano firmatari di contratti collettivi applicati nell’ente o nell’unità amministrativa, com’è nell’art 19 St.lav.
Quanto agli organismi di rappresentanza unitaria del personale, l’art 42, 3° comma consente di istituirli ad iniziativa anche disgiunta dei sindacati rappresentativi nel medesimo ambito costitutivo delle Rsa, mediante elezioni aperte a tutti i lavoratori.
Le Rsu sono elette a suffragio universale e voto segreto con apertura del meccanismo elettorale anche ad organizzazioni sindacali non rappresentative. Anche a queste ultime si attribuisce la facoltà di presentare liste purché, come visto per il settore privato, costituite in associazione con proprio statuto e formalmente aderenti agli accordi disciplinanti elezioni e modalità di funzionamento delle Rsu. A tali requisiti, l’AQ ha aggiunto quello del rispetto delle norme sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali ed il possesso, anche da parte dei sindacati rappresentativi, di un modesto numero di firme di lavoratori.
La ripartizione dei seggi deve avvenire per il legislatore secondo il “metodo proporzionale”. È infine previsto l’obbligo di periodico rinnovo delle rappresentanze in parola, “con esclusione della prorogabilità”. Venendo ai poteri dell’organismo elettivo, rileva l’art 42, 6° comma, D.lgs n. 165/2001, che attribuisce una riserva di competenza ex lege alle Rsu sui distinti, ma contigui piani della contrattazione integrativa e della partecipazione.
- IL SINDACATO RAPPRESENTATIVO E LE PUBBLICHE ISTITUZIONI
Il sindacato (maggiormente o comparativamente) più rappresentativo appare presente e favorito anche in una serie di istituzioni o sedi pubbliche, dove non interviene in mera rappresentanza del personale occupato. A riguardo bisognerà distinguere:
a) la presenza di organi di carattere prevalentemente consultivo o di collaborazione rispetto all’esercizio dei poteri tipici dello Stato. Tra questi il già citato Cnel; le commissioni operanti presso la regione o le province con competenze specifiche in materia di collocamento e mercato del lavoro, la Commissione di conciliazione delle controversie di lavoro;
b) la partecipazione di tipo cogestivo in organi direttivi di enti pubblici destinati a svolgere attività in favore dei lavoratori: si pensi agli enti previdenziali, agli enti cosiddetti para-sindacali, ai patronati di assistenza. In tali sedi i rappresentanti sindacali non si muovono in una zona di ausiliarietà e di consultazione, ma acquisiscono la funzione di co-amministratori.
c) la partecipazione alle politiche di formazione professionale, mediante la costituzione di organismi paritetici bilaterali;
d) la partecipazione informale del sindacato all’indirizzo politico generale nei due aspetti dell’attività legislativa e della politica economica e programmatica: il confronto degli organi legislativi e dell’esecutivo con le organizzazioni sindacali più rappresentative del mondo del lavoro è già da tempo un passaggio obbligato per tutte le più importanti scelte di politica legislativa ed economica.
12. IL SINDACATO RAPPRESENTATIVO E LA CONTRATTAZIONE
Il nostro ordinamento non riconosce al sindacato rappresentativo una posizione privilegiata in sede
di contrattazione collettiva nel settore privato, restando affidata alla dinamica dei rapporti di forza l’individuazione dei soggetti contraenti, l’apertura della trattativa ed i relativi esiti. Va però chiarito che:
a) le tre maggiori confederazioni Cgil, Cisl, Uil, si trovano investite di un monopolio di fatto, delle trattative con le forze governative sui grandi temi che investono l’economia del paese, come gli Accordi Interconfederali;
b) alcune leggi conferiscono al solo sindacato (maggiormente o comparativamente) rappresentativo il potere di derogare, in via contrattuale, ad alcune norme di legge, rimettendo alla valutazione di quest’ultimo l’opportunità o meno di mantenere, specie in settori in crisi, certi vincoli garantistici di tutela del singolo dipendente;
c) nel settore pubblico il legislatore, all’atto della “privatizzazione-contrattualizzazione” del rapporto di lavoro, ha riconfermato il sindacato rappresentativo nel ruolo di interlocutore contrattuale esclusivo della p.a.
13. LA CRISI DELLA RAPPRESENTATIVITÀ SINDACALE E LE PROPOSTE DI RIFORMA
Dalla metà degli anni Ottanta il sindacalismo confederale registra una grave crisi di rappresentatività, cioè una perdita della capacità di esprimere in modo credibile gli interessi di un ampio spettro di lavoratori. Molteplici sono le cause, che possono distinguersi in strutturali (o endogene) e funzionali (o esogene). Tra le prime vanno annoverate la rivoluzione tecnologica, la terziarizzazione crescente dell’economia, l’accesa competitività nazionale. Tra le seconde va annoverato, invece, il passaggio ad una contrattazione ablativa o in perdita, cioè distributiva di sacrifici, nonché il riproporsi periodico di forme di competizione interna al sindacalismo storico.
La perdita di rappresentatività del sindacalismo confederale si è dunque tradotta in una crisi della nozione di maggiore rappresentatività “presunta” del vecchio art 19 St.lav, intesa quale modulo tecnico giuridico della rappresentanza; il che ne ha favorito una riforma, all’insegna di un rafforzamento della legittimazione consensuale del sindacato.
Di fronte al vuoto normativo post-referendum, le reazioni del settore privato e di quello pubblico, sono state, però, differenti. Nel privato, il sistema ha messo in atto strategie di adattamento contingente alle novità intervenute, senza disdegnare il ricorso a soluzioni ingegnose, ma dubbie, come quella della rappresentatività comparata. Nel pubblico, il legislatore ha, al contrario, messo a punto un sofisticato intervento di riforma e, nell’intento di restituire trasparenza e selettività alla nozione di rappresentatività, l’ha riqualificata in senso quantitativo: frutto di un virtuoso mix tra consenso associativo e consenso elettorale, essa appare ora funzionale all’emersione del principio maggioritario, sulla falsariga del modello proporzionalistico dell’art. 39, seconda parte, Cost.
Vi è infine chi ha rilavato che, nel nuovo millennio, di fronte a trasformazioni sociali, economiche e politiche così profonde da minare alle fondamenta “la funzione stessa del rappresentare”, gli strumenti del diritto e della legge possono ben poco. Di qui l’esigenza di ripensare il ruolo e l’identità stessa del sindacato, magari immaginando una sua diversificazione funzionale, essenziale in un contesto come l’attuale, dominato da complessità, frammentazione e differenze. In quest’ottica potrebbe essere auspicabile un rafforzamento del ruolo partecipativo del sindacato, probabilmente utile per interpretare al meglio quella stessa nuova dimensione “positivamente individuale, di qualità di “mestiere” che pervade ormai frequentemente il rapporto di lavoro.
Alessandro Saggini
(LucidaMente, anno XV, n. 170, febbraio 2020)