«Un mondo arcaico»: l’Introduzione alle deliziose novelle di Rocco Chinnici
Così Rino Tripodi, col suo saggio Il mondo arcaico e magico di Rocco Chinnici, introduce Racconti incantati di Rocco Chinnici (pp. 98, € 12,00), seconda uscita nella collana di narrativa La scacchiera di Babele delle Edizioni di LucidaMente.
I racconti che state per leggere – diciannove, più la Prefazione dello stesso autore, la quale può intendersi come un vero e proprio, bellissimo, racconto memoriale, quindi per un totale di venti – vi colpiranno innanzi tutto per il loro sapore d’antico, quasi di arcaico.
Questa percezione scaturisce sia dalle vicende narrate, ambientate in una realtà contadina che sta per sparire (e in alcune zone d’Italia questo è già avvenuto da tempo), sia dallo stile di Rocco Chinnici, caratterizzato da alcuni stilemi.
L’ovattata stupefazione, i vibratili calori e la magica atmosfera fuori dal tempo, appartenenti ad un mondo contadino arcaico e caritatevole, sono forse le caratteristiche più costanti della raccolta.
Tra Aci Trezza e Macondo
Belmonte Mezzagno, definito Il paese delle favole, finisce per essere un microcosmo a sé stante, a metà tra Aci Trezza e Macondo, senza la durezza del primo e il surrealismo fantasmagorico del secondo.
Nell’insieme, infatti, si delinea un affresco corale: la folla di personaggi – quasi simile a quella de I Malavoglia – e la molteplicità delle vicende, frammentate nei vari racconti, costituiscono, complessivamente, un’unità, come se variegate tessere di un mosaico venissero a delineare un disegno riconoscibile: Belmonte Mezzagno.
È bello trovare un uomo, uno scrittore, così ben inserito nel suo luogo natìo, che, quindi, egli tanto ama e conosce.
E che conserva alcuni valori atavici – grandi e piccoli – importantissimi, che ben traspaiono dai suoi racconti: il rispetto per bambini e anziani (L’ignoranza e l’ingegno, Melo e il pescespada, Il vecchio Pietro, Il vestito nuovo), il rapporto con gli animali (L’orso solitario, Carminiddu, La brocca nuova), il senso della fatica e del lavoro (Il sapore delle cose semplici), il rifiuto dell’ipocrisia (L’amore dei due fratelli).
I ricordi d’infanzia: Chinnici come Battiato
Bellissima, un vero gioiello narrativo, è la stessa Prefazione con cui il narratore apre la raccolta. Un testo che sfiora la poesia, con l’inserimento di ricordi espressi in dialetto.
Una scelta che ci ha ricordato quella del musicista catanese Franco Battiato, anch’egli straordinario nel riportare alla luce i ricordi lontanissimi della propria infanzia (Mesopotamia):
“Lo sai che più si invecchia / più affiorano ricordi lontanissimi / come se fosse ieri / mi vedo a volte in braccio a mia madre / e sento ancora i teneri commenti di mio padre / i pranzi, le domeniche dai nonni / le voglie e le esplosioni irrazionali / i primi passi, gioie e dispiaceri”.
Quindi, segni di gesti famigliari, riecheggiati con affetto e dolcezza (Mal d’Africa):
“Dopo pranzo si andava a riposare / cullati dalle zanzariere e dai rumori di cucina; / dalle finestre un po’ socchiuse spiragli contro il soffitto, / e qualche cosa di astratto si impossessava di me. / Sentivo parlare piano per non disturbare […]. Con le sedie seduti per la strada, / pantaloncini e canottiere, col caldo che faceva. / Da una finestra di ringhiera mio padre si pettinava; / l’odore di brillantina si impossessava di me. / Piacere di stare insieme solo per criticare”.
In alcuni casi, la memoria e il paesaggio sono rafforzati da Battiato anche mediante l’uso del dialetto (Veni l’autunnu):
“Veni l’autunno / scura cchiù prestu / l’albiri peddunu i fogghi / e accumincia ‘a scola / da mari già si sentunu i riuturi / e a’ mari già sentunu i riuturi. // Mo patri m’insegnau lu muraturi / pi nan sapiri leggiri e scriviri / è inutili ca ‘ntrizzi / e fai cannola / lu santu è di mammuru /e nan sura. // Sparunu i bummi / supra a Nunziata / ‘n celu fochi di culuri / ‘n terra aria bruciata / e tutti appressu o santu / ‘nda vanedda“.
Similmente fa Chinnici: “Vju e guardu lu paisi, / quannu ancora /avìa li balàti /e la genti, fora, / ‘ntra li strati, / sutta lu suli cucenti, / parrari junciuta, / mentri all’umbra / di ‘na manu jsata, / ‘na vicchiaredda / cuntannu joca / a lu carmuciu ‘mbambulatu, / ca cu lu sguardu assenti, / curri / ‘ntra dda fàula ‘nvintata “. Ed è subito evidente quel gusto nell’ascoltare storie e nel narrarle, che costituisce la prima motivazione poetica, l’ispirazione primaria dello scrittore.
Né manca la chiara denuncia – quasi sdegnata – della brutalità dei tempi moderni, dominati dalla fretta:
“La genti, ca tannu / parrava, / ora, fui ‘n fretta“.
E la conseguente nostalgia del passato:
“jornu senza méta, / cursa sfrinata. / Quantu valuri avia, / oh carmuciu…! / dda manu jsata“.
Appartengono pie namente, in effetti, alla sfera della memoria racconti come La trottola nuova, così come vari riferimenti, sparsi qua e là in altri testi della raccolta.
Le ascendenze letterarie
Nei Racconti incantati possono ritrovarsi numerosi richiami alla nostra letteratura, in particolare al genere novellistico.
Seguendo un ordine cronologico, e partendo dal passato, potremmo iniziare addirittura da I fioretti di san Francesco, per la purezza quasi evangelica, l’ingenuità, il candore di alcune delle storie di Chinnici. Per non parlare dello spontaneo, leggero moralismo presente in molte di esse (Il seme dell’inganno; Amici di un tempo; Il vecchio Pietro), che talvolta si concretizza nel motto di apertura o di chiusura:
“La scienza non ha fine;
l’ignoranza può non aver confini“.
Oppure:
“Tintu chidd’omu ca mori pi li funci,
pirchì a stu munnu ‘un c’e cristu ca lu chianci“.
In Carminiddu, addirittura, compaiono gli animali benevoli, simili agli uccelli di francescana memoria:
“[…] bisognerà fare qualcosa, pensò lesta la gazza, e cominciò, nel suo linguaggio, a chiamare più animali che poteva. Sembrò un miracolo: in un batter d’occhio, sotto la grande quercia si radunò un numerosissimo gruppo d’ogni genere d’animali, improvvisando un bellissimo concerto. L’uomo raccolse le ultime forze e guardò tutti: dal coniglio allo scoiattolo, dall’allodola al cuculo. Poi abbassò lo sguardo, ed una lacrima bagnò Igor, intento a leccare il corpo di Carminiddu, che sussurrava grazie, spegnendo gli occhi commossi, nel vedersi circondato da quel grande e sincero amore d’animali”.
Il gusto del racconto, la beffa, l’intreccio inaspettato, ci riportano, invece al Decameron di Boccaccio. A questo proposito esemplare è L’ignoranza e l’ingegno, in cui compare, tra l’altro, un narratore di secondo grado (la nonna).
E, parlando di Sicilia, quali sono i due maggiori novellieri della ricchissima letteratura dell’isola? Verga e Pirandello.
Del primo Chinnici riprende certi andamenti stilistici, la presentazione ex abrupto dei personaggi in taluni racconti, a volte il discorso indiretto libero, la coralità di cui dicevamo sopra, tipica de I Malavoglia.
La presenza del secondo nel nostro autore, che è anche scrittore drammaturgico, si avverte appunto proprio nella teatralità di certe scene, nei dialoghi, nelle riflessioni dei personaggi. Jettatura ricorda alla lontana, se non altro per l’argomento centrale, La patente del genio girgentano, e tutta la vicenda narratavi è facilmente trasportabile in una rappresentazione teatrale. Non è pirandelliana la denuncia dell’ipocrisia dei rapporti sociali ne L’amore dei due fratelli? L’enigmatica Iana non è simile alle ermetiche novelle, esistenzialiste, dell’ultimo Pirandello?
E lo stesso rapporto autore-personaggi, esplicitato nella Prefazione, ci riporta allo scrittore di Agrigento:
“[…] uno come me, abituato a scrivere, invece, su personaggi nati dalla propria mente che non hanno né tempo, né dimora. Per loro mi trovo ad essere tutto: “madre” in quanto li ho partoriti, padre per aver indicato loro la giusta via, o, meglio, quella a me più congeniale”.
Paesaggi da fiaba
Ma, andando alla ricera delle ascendenze più remote e archetipiche, nei racconti di Chinnici troviamo la fiaba, vale a dire la base ancestrale della narrativa, con la costante presenza del magico, dell’incantato, della vicenda iniziatica (Il frutto del senno).
Si ammiri questo straordinario paesaggio fiabesco (Il paese delle favole):
“Vedevo, in quell’azzurro profondo, una valle incantata: vasti prati fioriti, dai colori stupendi, e un rigagnolo d’acqua che scendeva lento da pendii rocciosi, formando tantissime cascatelle e dando musica ad un melodico gorgoglio che mi trascinava sempre più lontano. M’accorsi di un albero che sovrastava la valle; mi avvicinai e vidi che aveva degli strani frutti… sembravano sorbe; sì, proprio così, sorbe. Tanta gente era lì indaffarata a raccoglierne grosse manciate… qualcuno prendeva il frutto e lo metteva in bocca assaporandoselo”.
E, ancora, sempre tratta da Il paese delle favole, molto suggestiva, nella sua soffice e avvolgente magia, nel suo ritmo che la rende simile a una poesia, è la seguente descrizione:
“La campana della chiesa suona l’Ave Maria trascinandomi fuori dal piccolo borgo. Il sole è da poco tramontato e si vedono i comignoli fumare; nell’aria si sente l’odore di caldarroste, mentre la nebbia scende lenta, incappucciando la cima dei monti e avvolgendo in un fascino misterioso questo piccolo paese delle favole”.
E l’episodio dell’albero ne L’amore dei due fratelli ci riporta nientemeno che alla Bibbia e a re Salomone.
Tematiche e personaggi
Abbiamo cercato di individuare alcune tipologie dei racconti di Chinnici e, quindi, di suddividerli in cinque sezioni. Ovviamente, spesso le tipologie sono miste, nel senso che nella stessa novella possono riscontrarsi più tematiche.
Comunque, semplificando: nella sezione I richiami della memoria, alla quale si potrebbe aggiungere la stessa Prefazione, leggerete alcuni racconti incentrati sul recupero del passato, luminescenza lontana eppure calda e avvolgente. Ne I miracoli dell’anima, improvvise epifanie danno il senso della vita, della morte, delle scelte importanti, degli affetti, illuminando tutto con adamantina chiarezza. La sezione Il fascino della fiaba travalica la realtà per pervenire al meraviglioso e all’irreale, abbagliante e musicale come una danza enigmatica. Ne Il piacere di narrare l’espansività fabulatoria dell’autore si effonde in tutta la sua ricchezza e vivacità irrefrenabile. Infine, i Racconti morali hanno l’obiettivo di denunciare le malvagità, le stupidità, le manie degli umani, offrendo, però, anche, tra gli interstizi narrativi, un insegnamento positivo.
A sostanziare le tematiche, una moltitudine di personaggi.
Appartenenti prevalentemente al popolo, sono anche di vario livello sociale: semplici lavoratori della terra o piccoli possidenti; altolocati, come ne Il sorriso della felicità o Il sapore delle cose semplici, o perfino indefiniti, come in alcune storie fiabesche.
Le tecniche narrative
Chinnici è bravo nell’utilizzare diverse tecniche narrative.
Dal lirismo di Iana, al racconto entro il racconto, come ne L’ignoranza e l’ingegno, nel quale l’ambiente della nonna e dei bimbi è avvolto entro ovattate, vibratili, intimità, mentre il secondo livello narrativo presenta uno svolgimento mosso e imprevedibile, attraverso traiettorie centrifughe, illusorie e sfuggenti.
Dalla presenza del narratore interno non protagonista (L’amore dei due fratelli), alla prevalenza del dialogo (C’è sempre da imparare).
Particolare è l’uso molto frequente del punto e virgola.
Il siciliano, anche quando non vengono usati alcuni termini dialettali, è presente in alcune movenze stilistiche, in certa sintassi, negli stessi dialoghi dei personaggi.
Tuttavia, per concludere, possiamo certamente riprendere una delle annotazioni iniziali: la caratteristica principale dello scrittore è il piacere del narrare, con un brulicante scorrere di personaggi e di storie, l’intrecciarsi delle trame entro una mobilissima ottica narrativa, un arioso sospiro di favola e di umanità.
L’immagine: la copertina della raccolta di racconti, con l’illustrazione Attrezzi (colori acrilici e olio) di Germana Luisi.
Rino Tripodi
(LucidaMente, anno II, n. 3 EXTRA, supplemento al n. 13, 15 gennaio 2007)