Siamo così abituati a considerare gli animali come semplici bestiole da compagnia o di cui cibarsi che sottovalutiamo il loro apporto nella nostra vita quotidiana. Con la sua seconda opera Spiriti affini. Come lo straordinario legame tra uomini e animali può cambiare il modo in cui viviamo (Impronte di Luce edizioni, pp. 330, euro 16,00) Allen M. Schoen intende puntare l’attenzione su un legame spesso considerato unilaterale. Un rapporto, quello fra uomo e animale, che, invece, potrebbe cambiare radicalmente il nostro modo di vivere e portarci a un nuovo livello di evoluzione.
Un veterinario “alternativo”
Allen M. Schoen è stato uno tra i primi veterinari ad applicare, a partire dagli anni Ottanta, l’uso delle medicine alternative agli animali: omeopatia, fitoterapia, chiropratica, agopuntura e medicina cinese in genere si affiancano di diritto alla medicina convenzionale. La maggior parte delle situazioni in cui Schoen si è trovato coinvolto sono migliorate tenendo in considerazione anche lo stato psicologico dell’animale, oltre a quello fisiologico, e puntando sullo stretto legame che gli animali avevano con i propri compagni umani e viceversa. L’amore e la forza che specie diverse sanno infondersi non è una chimera e Schoen lo dimostra con aneddoti ed esperienze di cui è stato testimone. Nonostante gli studi universitari gli impartissero la credenza che gli animali fossero senza anima e non provassero le nostre stesse emozioni, il veterinario statunitense andò oltre e scoprì un mondo d’amore incondizionato, come quello di Scott e King, uniti da un filo impalpabile nella gioia e nel dolore. Scott era un adolescente con serie difficoltà a camminare, King era un pastore tedesco gravemente malato: entrambi vivevano per la vita dell’altro e il dolore di uno era il peggioramento dell’altro. Al dottor Schoen spettò il compito di alleviare il dolore di King e allorché, con l’agopuntura, migliorò la mobilità del cane, anche Scott ne trovò giovamento. Con il tempo, Scott migliorò a vista d’occhio mentre King ne seguì pazientemente i progressi. Quando il ragazzo riuscì finalmente ad andare al college, King smise di resistere: «King sapeva che ormai stavo meglio – disse Scott – quindi sentiva che il suo compito era finito. Mi stava dicendo che io sarei stato bene ma che lui non poteva riprendersi. Si era lasciato andare».
La teoria non è tutto
Risulta evidente come uomini e animali possano trarre un indiscutibile vantaggio dallo stare insieme. Esistono connessioni e legami che trascendono dai principi della scienza occidentale, non hanno senso dal punto di vista medico e non hanno una chiara spiegazione razionale: ciò che incide è la qualità dell’interazione, l’amore e la fiducia che ci si scambia reciprocamente. Ma questo, purtroppo, esula dalle lezioni impartite dall’università: «L’addestramento intensivo alla facoltà di veterinaria – scrive l’autore – aveva contribuito a instillare in me un processo di pensiero dogmatico concentrato sull’elaborazione di una diagnosi e di un piano terapeutico basato su medicinali e chirurgia. La maggior parte di noi arriva alla laurea fiducioso che questo sia tutto ciò di cui abbiamo bisogno per curare un animale».
Con il tempo e l’arrivo di Megan nella sua vita, Schoen capì che esistono diversi metodi per curare una malattia: la nutrizione, l’esercizio, l’amore, la compassione e, soprattutto, la formazione di legami con le altre specie. Megan è stata la sua compagna, la sua migliore infermiera e la sua assistente a quattro zampe con una vaporosa pelliccia dorata: «Mi aiutò a realizzare che le altre specie hanno molto da offrire all’umanità. Megan mi ha insegnato che la guarigione è ben più che farmaci e chirurgia. Lei mi ha guidato nell’aprire il mio cuore dopo che si era chiuso studiando alla scuola di veterinaria, dove i sentimenti e le emozioni degli animali non venivano riconosciuti».
E noi cosa facciamo per loro?
L’autore ci spiega come molte delle problematiche dell’animo umano possano venire messe in luce, e successivamente risolte, grazie al rapporto con l’animale: «In un caldo week-end estivo del 1978 ero di turno in ambulatorio in una giornata con molto da fare, quando Billy, un mite adolescente con difficoltà di apprendimento che viveva in una città vicina, entrò nel mio ufficio gridando a squarciagola, seguito da sua madre. Lo avevo già incontrato: sul posto era ben noto per le sue ottime qualità di conduttore di capre; era un ragazzo che sarebbe potuto facilmente cadere in una fessura della società se non fosse stato abbastanza fortunato da scoprire la propria speciale connessione con i suoi animali preferiti. Sembrava in grado di capire le capre. La cosa più sorprendente era che esse sembravano in grado di capire lui».
Ma se loro si prendono tanto cura di noi, noi facciamo altrettanto per loro? Secondo Schoen dovrebbe essere una questione di logica, cuore e rispetto: «Fin dagli inizi della civiltà, noi umani ci siamo considerati i custodi di tutti gli animali. Ma non siamo semplicemente contadini che si prendono cura del loro bestiame per ricavarne del cibo per se stessi o mandriani che si occupano dei loro cavalli per scopi utilitari. Il nostro ruolo di custodi va molto più in profondità. Se osiamo accettare che gli animali sono qualcosa di più di quegli automi descritti da Descartes, che sono in grado di pensare, che hanno emozioni, allora ci rendiamo conto che abbiamo un altro livello di impegno e responsabilità nei loro confronti: rispettarli e prenderci cura di loro in quanto esseri viventi con le proprie vite interiori, e non solo in quanto creature dotate di corpi fisici. È assolutamente imperativo che condividiamo questo bellissimo pianeta Terra con ciascuno dei suoi abitanti – a due zampe, a quattro zampe, con le pinne, con le ali o le scaglie – in modo rispettoso e premuroso».
Per altre notizie sul libro di Schoen e sul catalogo di Impronte di Luce edizioni, ricco di pubblicazioni sui nostri amici animali: http://www.improntediluce.it/.
L’immagine: la copertina del libro di Allen M. Schoen.
Jessica Ingrami
(LM MAGAZINE n. 16, 15 aprile 2011, supplemento a LucidaMente, anno VI, n. 64, aprile 2011)