All’interno della collana di saggistica Gli itinerari del pensiero della inEdition editrice/Collane di LucidaMente, segnaliamo “Chi per la Patria muor / Alma sì rea non ha”. Il patriottismo in musica da Rossini a Verdi (pp. 88, € 12,00), scritto dallo scultore e narratore, nonché melomane, Francesco Cento. Si tratta di un bel saggio sul rapporto tra opera lirica, musicisti, librettisti, eroi, imprese e popolo nel Risorgimento italiano, preceduto da un’interessante Prefazione di Franco Arato.
Vediamo come lo studioso presenta la pubblicazione.
L’opera lirica come autentica Biblia pauperum per i patrioti che nell’Ottocento andavano sillabando il Verbo del Risorgimento italiano. Questa suggestiva chiave di lettura sta alla base del nuovo libro di Francesco Cento, scandito in quattro tappe: dal teatro preverdiano alle vicende della Repubblica romana (1849), da La battaglia di Legnano all’avventurosa parabola del poeta e librettista Salvadore Cammarano. Chi conosce il Cento romanziere (Litàlia, inEdition editrice, 2008) si troverà a proprio agio nel seguire l’erudizione dell’appassionato di musica e di poesia, che da anni ha in cantiere (e presto stamperà) un corposo Dizionario Donizetti.
La musica e il teatro, dunque, come scuola per un popolo semialfabeta. Singolare come sin dagli anni Venti dell’Ottocento i librettisti di Rossini e Donizetti, certo ignari dell’imminente rivoluzione nazionale, si vedessero attribuire intenzioni politiche ogni qualvolta arrischiavano parole come “popolo”, “patria”, “tiranno”: è il caso del Guglielmo Tell di Rossini (che si avvaleva di un libretto francese ispirato a Schiller), che la censura pontificia sterilizzò in un innocuo Rodolfo di Sterling. Ma quando, con il Quarantotto la storia conobbe un’accelerazione, quell’alleanza tra arte e politica divenne quasi ovvia.
Papa Pio IX fu per breve tempo invocato, anche in versi, come possibile liberatore d’Italia, ma divenne presto nella memoria popolare il tiranno fuggiasco sbeffeggiato da Goffredo Mameli: “Viva l’Italia, e il popolo / e il papa che va via, / se andranno in compagnia / viva anche gli altri re!”. La stagione della Repubblica romana diede occasione all’unico melodramma pienamente politico di Giuseppe Verdi, La battaglia di Legnano, su versi di Cammarano, rappresentato per la prima volta al teatro Argentina di Roma il 27 gennaio 1849.
Di là dalla riuscita, non sempre felicissima, della musica, fu il libretto ad accendere l’entusiasmo del pubblico: i cittadini milanesi in lotta contro il Barbarossa si sovrapponevano ovviamente ai meno fortunati patrioti delle Cinque giornate. E il più convenzionale dei triangoli romantici (il soprano Lida, contesa tra il tenore Arrigo e il baritono Rolando) si scioglie eccezionalmente in un concertato a tre, dove Amore e Morte sono redenti dalla Patria: “Non mente, error nefando / saria mentir spirando, / chi muore per la patria / alma sì rea non ha” (e appunto spirando, Arrigo bacia il Carroccio, cui spesso veniva associato, in scena, l’anacronistico ma applauditissimo tricolore).
Se, come Cento ricorda, la fama di un Verdi tutto politico è usurpata, è però vero che nel suo nome, per la prima e forse ultima volta, gli italiani si ritrovarono uniti, dalla profonda Calabria alla Milano cosmopolita, a cantare, per dirla con Manzoni, “tutti assorti nel novo destino, / certi in cor dell’antica virtù”.
(Franco Arato, Prefazione a “Chi per la Patria muor / Alma sì rea non ha”. Il patriottismo in musica da Rossini a Verdi di Francesco Cento, inEdition editrice/Collane di LucidaMente)
L’immagine: la copertina del saggio di Francesco Cento.
Marco Papasidero
(LucidaMente, anno IV, n. 40, aprile 2009)